Una storia che corre su Reggio Calabria, Varese e Milano. E che storia!
L’Hip-Hop Ritorna Nell’Arte di Esa
Chiamatelo come volete, Esa, El Presidente, El Crespo o come meglio vi aggrada. Oggi la parola passa a lui, con questa intervista che è più una chiacchierata, fra divagazioni, ricordi, risate e pronostici ma con un solo protagonista: l’arte di Esa.
La tua storia si sviluppa su tre città, Reggio Calabria, Varese e Milano. Qual è la città che senti più tua come persona ma anche come artista, che ti ha dato l’impronta?
Eh, bella domanda! (ride) Ho lasciato Reggio quando avevo dodici anni. Sono vent’anni ormai che abito a Milano quindi sembrerebbe scontato dire questa. Anche se a Varese ho avuto la possibilità di realizzare il progetto degli Otierre, è questo il posto dove sono nato artisticamente. Comunque se non fossi nato a Reggio Calabria mio padre non avrebbe ascoltato Pino Daniele, quindi si può dire che ognuna di queste città ha influito sul mio percorso artistico.
Come hai iniziato e da cosa sei partito? L’incontro è stato subito con il rap?
Fai conto che l’inizio vero e proprio è stato con la breakdance, era di moda in quel periodo, è stato il primo contatto arrivato in Italia negli anni Ottanta: da pischelli a Varese si ballava la break sotto i portici, si faceva skateboard, e poi pian piano ci è venuta questa roba qua di fare rap, dapprima in inglese, già ai tempi della breakdance facevamo il rap in inglese con i miei amici, ci chiamavamo Wild Style Crew, registravamo su cassetta con basi fatte con la batteria elettronica, un giradischi e il casio che campionava 4 secondi. Era molto bello! Correva l’anno ’88-’89 forse, avevo circa 16-17 anni, ero in terza superiore.
Il writing è arrivato dopo?
Sì, per i graffiti ho cominciato con gli Otierre più o meno, c’erano Intru, Irmu e altri ragazzi che erano già attivi, e poi in quel periodo è subentrato anche Ricky, un altro ragazzo che studiava a Milano e conosceva gente come i TDK. Con lui siamo andati a delle feste dove incontravamo anche gli MNP e un po’ di crew. Quando abbiamo iniziato come OTR nacque una crew di graffiti abbastanza rilevante in zona Varese e provincia che erano gli FIC di Mastro K. E’ ed era uno tosto, venne fuori molta gente tosta da quei contesti. E’ nato tutto in maniera molto rudimentale per arrivare poi fino ad oggi.
Continuando con gli Otierre, vi siete fatti conoscere soprattutto in ambito musicale…
Con gli Otierre nel ’91-’92 siamo usciti col demo, che si chiamava 1992 l’anno della riscossa, lo vendevamo, c’erano dentro 18 tracce tutte prodotte con l’Amiga e in parte suonate con strumenti, registrato tutto sull’ottotracce a bobine, quindi tutto su nastro, e fu il primo demo che mandammo alla Vox Pop, Century Vox, Luca De Gennaro, e da lì sono sorti vari interessamenti. Ma noi ovviamente abbiamo scelto i più pazzi: la Century Vox. Nel demo, che contiene Ragganodroga, scelto come singolo con Credi come B side, erano contenuti anche altri brani. Alcuni sono finiti poi in Quel Sapore Particolare, uscito nel ’94.
A me personalmente siete arrivati con Radio Deejay. Come è nata quella collaborazione?
Radio Deejay aveva già avuto la visione che il rap poteva diventare mainstream; in quel periodo gli Articolo 31 avevano inciso già un album e avevano avuto già molto successo, e come radio seguivano molto un filone alla Jungle Brothers, alla De La Soul, davano spazio a quel tipo di suoni lì, e succede che gli Articolo vanno in tour e Albertino cerca qualcuno per continuare One Two One Two e quindi siamo finiti in radio. Nel frattempo eravamo fermi con Quel Sapore Particolare e alla casa discografica appena ci hanno sentiti con Albertino sono stati presi dal panico e hanno fatto subito uscire il disco. Questa è la storia, tante volte anche le botte di culo servono! (ride) Il bello è stato proprio che noi avevamo già tutto il lavoro pronto, noi era già due anni che dicevamo di farlo uscire, c’era la Century Vox che aveva preso la distribuzione dalla Sony, però ovviamente guardavano al genere ancora con un po’ di dubbio. Albertino è stato uno di quelli che decise di spingere: lui è sempre stato in contatto col genere, durante le sue serate ha sempre trovato lo spazio per proporre qualcosa di hip-hop e rap, come radio anche con Jovanotti; poi lì eravamo tutti molto ambientati nella scena più underground e nelle situazioni anche dei centri sociali, ci piaceva molto, venivamo da una scena prettamente militante, però allo stesso tempo ci affascinava una radio commerciale che pompava il rap…
Ricordo la nascita di programmi come Venerdìrappa, e ricordo, fra l’altro, di avervi visto anche diverse volte da Red Ronnie..
Sì. L’esperienza di Radio Deejay ci ha portato poi qualche volta sui palchi di Red Ronnie, in quel periodo abbiamo fatto anche Un Disco Per L’Estate, tutte cose che magari alcuni appassionati hanno recuperato e cominciano a trovare anche su YouTube. È una bella cosa, in questo modo diventano pubbliche, diffuse e soprattutto reperibili a documentare quel periodo, chiamiamolo germinale, del genere.
Com’è stato gestire un gruppo come gli Otierre di inizio carriera? Eravate in tanti?
Infatti il vero nome di Otierre all’inizio era Organizzazione Trasporto Ragazzi! Ci metevamo più a decidere chi pigliava la macchina, chi andava di qua, chi di là, chi veniva da Malnate, quello che arrivava da Saronno… Quindi l’Organizzazione Trasporto Ragazzi era la prima parte, il grosso era decidere quello, risolto quello basta, poi si suonava!
Di fatto, nonostante foste in molti, le vostre apparizioni televisive si limitavano a 4-5 componenti, di solito tu, Azza, Vigor, la Pina e pochi altri…
È quello che è successo a livello discografico. In Quel Sapore Particolare già eravamo una decina, mentre nelle prime robe comparivamo un po’ tutti, che eravamo parecchi di più, e poi i realtà sai cos’è? Ovviamente succede che decidi di fare i live e devi fare le prove, organizzi le prove e c’è gente che non si presenta, una roba e l’altra e si è innescata una piccola selezione naturale per arrivare poi ad una formazione pratica per andare dal vivo, con un dj, un fonico, così si gira e si suona. Anche perché c’era chi studiava, chi faceva altri lavori, ognuno con le sue robe, hai visto finchè è una roba amatoriale ovviamente la posse ci sta tutta, ma per praticità ovviamente la formazione si è ridotta. Che poi i rapporti di amicizia sono tutt’ora vivi, ancora oggi ci incontriamo, però c’era chi si impegnava di più, del tipo Vez aveva comprato i campionatori, io stavo sempre a scrivere tutti i giorni, anche Vigor ci mette i giradischi e inizia a comprare i dischi, cioè, gente che ci crede e che si mette ad investire in prima persona; anche Polare era uno che si impegnava e veniva tutte le sere, lì sul divano a scrivere, magari anche a dormire, però c’era! È ovvio che quando si va a suonare vogliono suonare tutti, però quando c’è da fare le prove eravamo quelli, si andava a letto tardi, la mattina alzarsi presto per lavorare e la sera di nuovo musica coi brotherz, e Polare era uno che non si negava, era giù con noi dal giorno 1!
Questo contatto con i media poteva distaccarvi dalla scena underground, come succede spesso, invece avete mantenuto la vostra credibilità rimanendo operativi al di fuori del mainstream. Penso ad esempio ai lavori di MixMen (poi diventato MicsMen). Ce li racconti?
Sì, quella è stata un’esigenza nostra, anche perché riuscire a fare delle pubblicazioni ufficiali era difficile, al massimo ci riuscivamo con intervalli di due anni, poi avevamo aperto molte collaborazioni, abbiamo lavorato ai dischi della Pina, dei Sottotono, abbiamo lavorato con Neffa. Lavoravamo un po’ con tutti quelli che suonavano, con tutte le entità. Il tempo per noi si restringeva, non è come oggi che vedi gli artisti che fanno un album anche ogni stagione, i mixtape servivano a quello, perchè un artista bene o male se suona tutti i giorni produce musica. Non tutta per forza al top, però si crea una roba molto dinamica, quindi anche noi abbiamo iniziato a fare i mixtape. Anche perché i dischi in fondo erano quelli, del tipo a Milano arrivavo io o altri 10 dj e avevamo tutti gli stessi dischi, se li erano comprati tutti, e quindi per far conoscere alla gente le canzoni che magari la radio non metteva abbiamo seguito le orme degli americani, nei mixtape ci finivano magari i b-side e le cose meno conosciute ma comunque da far conoscere.
Ricordo a fine anni Novanta una polemica pazzesca sui featuring tuoi…
E non mi facevo nemmeno pagare! (ride) In definitiva non si può stare a guardare quello che fanno gli altri, chi si lamentava di quello che facevo io è rimasto al palo, era tutto frutto del mio impegno, e alcuni si credevano chissà che cosa. La gente vuole divertirsi, ogni cinque anni cambiano le mode anche drasticamente e la musica un po’ le segue.
È lo stesso discorso che fecero i Jungle Brothers dopo essere stati sommersi di critiche quando uscirono a fine anni Novanta/inizio Duemila con un album in stile house…
Esatto, a loro piaceva ballare e far ballare la gente, erano nati così, e incapparono in alcuni produttori che facevano house proprio fatta in casa, cioè, era proprio una roba più vicina all’underground come tecnica, e loro ci repparono sopra, ma era una roba che loro già ballavano nei locali. Sai le critiche ci sono sempre state, poi bene o male la gente che lavorava, lavorava…
E si vedono i risultati perché siamo qui a parlarne con te.
…mentre gli altri han fatto il cash! (ride)
E buon per loro! Continuiamo con l’evoluzione e arriviamo a Gente Guasta, che poi torna Otierre nelle ultime apparizioni.
Sai, dopo tanti anni di Otierre avevamo fatto un po’ il pieno, Vigor e Vez non ce la facevano più ad andare in giro per l’Italia, e io e Polare ci siamo involuti in questo step tornando poi nella vese attuale.
Sorpassando l’ambito musicale, so che sei attivo anche con altre attività: sto parlando della Serigrafia e dei SerioBoys. Parliamo di Esa l’artista grafico, o del Crespo, di Captain Futuro, dimmi te, con chi sto parlando? Ti senti più legato alla musica o ad altre forme d’arte?
Esatto, in ogni periodo c’è un nuovo supereroe, come amo chiamarli! Adesso sto realizzando il sogno che avevo da bambino, che era quello di fare il pittore, e sono contento perché dopo tanti anni di graffiti e lavori grafici, come le copertine dei dischi che fondamentalmente curavo, esperienze come grafico e collaborazioni con editoria. Oggi mi diletto a fare della video-arte legata al concetto di graffiti e a tutto quello che ci gira intorno, ed esponiamo in gallerie, spazi indipendenti, riusciamo a vendere disegni, abbiamo fatto alcune mostre questo autunno con la Seriografia che è ufficialmente parte del Macao, un grande collettivo artistico di Milano che ha anche un suo luogo semi-ufficiale per non dire ufficiale. Una sorta di centro sociale artistico. Nel progetto ci siamo dentro io, GGT che è uno storico dei primi movimenti di graffiti e murales di Pergola, c’è dentro anche Katufus, Rastea, Santi che è un writer di Milano che spinge dai Novanta col suo stile molto funky, e da lì è nato un collettivo molto aperto. In più ho anche un’altra crew con cui sto facendo molte cose che si chiama Superground, anche questa un’associazione che presto farà eventi e laboratori, e spazia anche lì dalla serigrafia ai graffiti, c’è dentro Tawa, Raz che è un altro bravissimo pittore. A Milano stiamo bene o male riuscendo a farci apprezzare, anche in provincia hanno aperto delle gallerie che espongono disegni, alla gente piacciono i graffiti e gli piace averli anche in casa, è bello che nell’immagine collettiva ci sia spazio per i graffiti fra l’arte riconosciuta anche dai critici e dalle persone comuni.
È un po’ il segno dei tempi, basti pensare ad alcuni graffiti storici che sono diventati beni tutelati dalle soprintendenze, come è successo a Pisa con Keith Haring. E magari vedi sparire un pezzo dipinto da Phase 2 durante un Panico Totale, per restare a Pisa, coperto da chissà quale incosciente…
Panico Totale! Bella storia! Questo purtroppo è il frutto del ricambio generazionale, c’è un po’ in tutte le culture, ogni 10 anni si cambia, chi viene dopo magari si annoia quindi rivoluziona tutto. Keith Haring era più conosciuto e quotato, e poi dai, Phase è ancora in vita, fortunatamente, si può rinvitare e abbiamo una sua nuova opera da mantenere per i posteri. Quello che conta è questa attenzione nuova che stiamo riscontrando con le nostre attività.
Tornando a Milano, la tua città ha cominciato ad amare i graffiti?
Sì, Milano è stata una delle tante città da cui è partito il movimento, come nelle altre dove ci sono le università: studenti fuori sede e giovani che iniziavano e poi quando tornano a casa si portano dietro quell’esperienza diffondendo la cultura. Qui vedevi muri, vedevi treni, gente che pittava, in questo modo ha attecchito anche a Pisa ed il Panico Totale ne è stato una dimostrazione, è stata molto importante a livello hip-hop. È ll tempo che ha portato il writing come tutti i fenomeni a farsi rispettare. Una cosa quando è nuova va scoperta, prima c’è la diffidenza. Ora veniamo da un decennio dove tutto si è un po’ scollegato, ora si sta tornando un po’ all’unità e questo aiuta.
Forse l’attenzione pubblica è un po’ troppo sul rap?
Secondo me ci aspetta il ritorno del vero hip hop, stiamo per ritrovare gli elementi tutti assieme, che è la formula vincente. A livello di rap in Italia c’è tanta gente brava, io mi diverto, anche col Captain Futuro Contest volevo movimentare la parte dei liricisti che qua è un po’ meno premiata, era più in voga il discorso delle battle di freestyle. Col costest sono riuscito a ravvivare questo aspetto.
È bello vedere l’impegno di un veterano per tirare su la nuova generazione…
Ma è uno scambio alla pari alla fine, io mi diverto, gli dò qualche sfida e qualche stimolo, troviamo molti bravi giovani che si impegnano e ci sanno fare, nell’ultima edizione dovevano postare un brano e quindi richiedeva un po’ più di impegno e ci sono stati molti giovani preparati. Quelli poi che sono finiti sul mixape sono persone bravissime, rappano di brutto, hanno giusto bisogno di un palco! I ragazzi di oggi hanno Internet, hanno magari qualche fratello maggiore o addirittura qualche genitore rap, e quindi questa generazione ce l’ha nel DNA. Questi nati nel Novanta c’hanno il boom bap dentro! Poi vabbè, c’è anche ci non ci sta dentro e lo segue per moda e non ha capito di che si tratta e lo chiama zumba. Che poi lo zumba è una cosa molto bella, però non è l’hip-hop!
A proposito di giovani, so che hai una bimba, fra l’altro di poco più piccola della mia. Conta la cultura hip-hop nella sua educazione?
Mah, ad esser sinceri le piace di più lo zumba! (ride) L’hip-hop la attira ed alla fine è positività, quello che ascolto le arriverà in ogni modo, è il discorso che ti facevo prima di mio padre e Pino Daniele. Poi a livello di insegnamento è rimasto nella storia un articolo di qualche anno fa dove un giornalista diceva di aver imparato di più dai Wu Tang che a scuola, a livello di curiosità e verso il mondo, i libri, la cultura, verso il funk. A quanto pare il rap dei Novanta è didattica, fa bene.
Mentre dal 2000 al 2007-2008 cos’è successo? Perché c’è stato quel calo di attenzione e di produzione?
In realtà era iniziato già prima, ogni tot cambiano le mode e gli interessi, quando uscì Tutti Gli Uomini Del Presidente era già quel periodo lì, si fecero pochissime date, in realtà seondo me c’è un livello oltre il quale non c’è più quello che vorresti, e quando te ne accorgi devi mettere i piedi giù e ripartire. Questo ha portato carenza di struttura, poi è chiaro quando torna la moda è più facile, anch’io sono ripartito con la Funk Ya Mama con dischi come i Siamesi, e poi da lì sono partito con Captain Futuro che è tutta un’altra mentalità più vicina al blog e ad Internet, al social. Arriviamo su Soundcloud, YouTube, la gente ci ascolta dai telefonini, è bello. Di controparte magari la gente fa migliaia di views ma poi di dischi ne vendi 500-1000, chi più chi meno, perché c’è l’appassionato che vuole la copia fisica. Il web è democratico, c’è di tutto, il valido e il non, sta poi a chi ascolta scegliere, incuriosirsi ed andarsi a ricercare informazioni, ora che è tutto alla mano. Prima come si faceva?
A me una grossa mano in quel senso l’ha data Aelle.
Bravo, vedi, prima se non avevi libri o chi ti diceva le cose non era facile. Aelle noi la supportammo tantissimo, poi ci sono vari step, amatoriale, pro, indipendente e mercato ufficiale… E’ normale che ad ogni step cambino le regole.
Per concludere, tornando alla tua città, come lo vedi il futuro della Milano hip-hop?
Ad oggi, da Ghemon a Clementino li trovi qui; Ensi, Noyz Narcos… A Milano trovi un miliardo di cose, dalle crew storiche che sono qua da 20 anni e sono fondamentali per i local. Fortunatamente, oltre ad essere la capitale della moda, ha sempre avuto una grande importanza a livello di cultura antagonista, quindi se le discoteche non ci fanno entrare chi se ne frega, andiamo a fare le feste nei centri occupati o giù in strada. Milano ha una sua identità ma è un piccolo specchio di tutta l’Italia. Un po’ come le grandi città, da Roma, Bologna, fino alla Toscana, che secondo me è il primo posto dove si potrebbe fare la sagra dell’hip-hop, dove si mangia bene, si beve e si suona, e ripartire con l’hip-hop biologico ed ecologico. E secondo me da qui ripartirà quella che sarà la nuova era dell’hip-hop italiano, parola di Esa a.k.a. The Funky Nostradamus!
Credits Top Photo: Filippo Leonardi