Lacrime d’inchiostro per il nuovo disco dell’artista da miezz’ a vi’ a Napoli ai brindisi al futuro a Milano.
Clementino è il Miracolo del Rap
“Come ti sembra frà la mia città, non è cambiata, ma sotto le stelle canterò”
Nell’immaginario comune quando pensi a Napoli, ci sono degli elementi che permettono di identificarla, unica tra tante altre città: il golfo, la pizza, la musica…
Ad oggi i simboli per caratterizzarla si sono accumulati (nel bene e nel male).
Quel potere culturale, fiero della propria tradizione non ha mai abbandonato i propri cittadini, forse ha solo spostato il suo interesse da uno spazio ad un altro, come quando nella storia si assiste ad un periodo di luce intellettuale e poi ad un’oscurità che permea fino a che un nuovo raggio si impone con innovazione e nuovi simboli retaggio di quegli elementi dimenticati.
Uno dei nuovi emblemi di quella Napoli tradizionale, così forte, autoritaria e prepotente che profuma di limoni, salsedine, che ti promette la morte alla sua vista è Clementino, che rispecchia quelle caratteristiche, ma che ha l’odore di chi ha camminato sempre in miezz’a vi’ che «vuol dire hip hop. Significa “per strada”, quindi è da dove veniamo tutti un pochino. Indica aver avuto sempre un contatto con la gente dal giorno uno».
Da quei vicoli, Iena White ha percorso una strada che dalle propaggini di Napoli in cui faceva freestyle e nel caso avesse dovuto pensare alla realizzazione di un lavoro avrebbe esclamato: «Ah va be’, lo faccio domani», è arrivato a Milano, che non l’ha cambiato, ma che gli ha fatto approcciare il lavoro in un modo diverso, accantonando un po’ la spensieratezza del sud: «No, lo faccio oggi. Sono arrivato fino a qui non posso dire ‘domani’, lo faccio adesso”».
Assistete oggi al nuovo Miracolo!
«Da napoletano, quanto pensi che Milano potrà influire nella tua integrità musicale e personale?»
«Credo che sicuramente la mia città Napoli abbia influito nel mio rap, perché le radici sono la prima cosa per un musicista, in generale. Non mi cambierebbe, anzi a me ha aumentato proprio l’adrenalina visto che da quando sto a Milano ho iniziato a produrre molto di più: quando ero a Napoli ero arrivato a Iena, da quando sono a Milano ho fatto Rapstar, Mea Culpa, Armageddon, Miracolo!… Mi sono abbastanza dato da fare perché Milano ti fa passare -a livello di mainstream- dal tavolo dei piccoli a quello dei grandi. Se uno ha intenzione di stare in strada a fare freestyle, può anche rimanere a Napoli; se uno invece ha intenzione di far girare la propria musica in tutt’Italia, dovrebbe farlo a Milano perché è il centro della musica ed è lì che ti confermi come musicista. Con questo non ci abiterei, perché ovviamente sono abituato al mio clima napoletano, però sicuramente andarci una volta al mese non sarebbe male come idea: lì si lavora.»
«Da pezzi come Voceanima si intuisce che l’aver scelto la carriera musicale abbia comportato delle rinunce nella tua vita personale. Quanto questa scelta ha comportato dei compromessi?»
«Ti dirò: io difficilmente scrivo canzoni d’amore e invece in Miracolo! ho scritto un bel po’ di pezzi così. Si vede che anche io volevo sperimentare qualcosa che non avevo ancora fatto. Sicuramente -come hai detto tu- per andare avanti con la musica e dedicarmi al 100% solo a quello, ho dovuto rinunciare a delle cose: non significa rinunciare ad una ragazza, ma dover mettere da parte tantissime cose per poter fare musica.»
«In È Tritolo troviamo un feat con Mouri. Perché hai deciso di scegliere un emergente che non ha ancora prodotto il suo primo disco?»
«Perché, ti dico la verità, da quando ho iniziato ad essere un pochino più conosciuto ho sempre voluto tirarmi con me i ragazzi più giovani. È una cosa che mi è sempre piaciuta. L’ho fatto con Rocco Hunt quando non era ancora conosciuto, con Uomodisu, con Rame in quest’album e con Mouri, che mi sembra veramente uno dei più forti freestyler italiani -a parte che è un fratello proprio e che ci conosciamo da quando abitavamo insieme a Roma-. Poi credo che la gente così dovrebbe essere valutata di più in Italia. Per questo ho creato una posse track che si chiama Messaggeri del Vesuvio: la prima versione in Mea Culpa e la seconda in Miracolo!. Sono contento perché quando il disco è finito al primo posto, anche tutti questi ragazzi di Napoli lo erano insieme a me (sopra Ligabue o Jovanotti) e per me questo è un grande miracolo: riuscire a portare una certa mentalità di hip hop vero, come io stesso credo di avere. Ad esempio, l’altro giorno ho fatto un instore a Salerno e invece di entrare direttamente dentro sono rimasto fuori e mi sono messo a fare freestyle con la gente: quello è hip hop, il contatto con il pubblico, con la strada. È una cosa che uno non deve mai perdere, perché quando hai lasciato quella, hai perso tutto l’hip hop.»
«L’elemento Siani nel disco, si ricollega ad un aspetto culturale legato al teatro. I tuoi genitori frequentando questo ambito hanno in qualche modo influenzato la tua crescita?»
«I miei fanno teatro amatoriale da quarant’anni, quindi sono professionisti nell’amatoriale, però lo fanno per hobby. Io vengo da quella scuola lì, dalle quinte dei teatri ed è una cosa che mi serve molto per la presenza scenica dal vivo. Ho voluto fare questo pezzo Cos Cos Cos con Siani che un po’ fa divertire, un po’ fa pensare tanto perché descrive tutti i problemi che abbiamo al sud e anche in tutta Italia. Tra un po’ chiuderemo anche il video dove caratterizzeremo molti elementi del teatro, specialmente quello napoletano.»
«Come siete riusciti ad amalgamavi musicalmente tu e Fabri Fibra, avendo due stili ed impronte territoriali totalmente differenti?»
«Secondo me è una cosa che riguarda prima di tutto l’energia che si trasmettono due persone e si vede che c’era una bella intesa positiva. Poi caratterialmente mi trovo molto bene con lui, artisticamente lo seguo da parecchio -da Uomini di Mare se non prima-. Abbiamo un ottimo rapporto: quando abbiamo fatto le prime canzoni come Chimica Brother, volevamo fare un mixtape, poi ci siamo accorti che c’era una bellissima sintonia, quindi abbiamo deciso di fare un album ed è nato Rapstar.»
«Perché hai scelto di associare te stesso nella copertina del disco all’icona della Madonna che lacrima sangue, un’effige religiosa?»
«Il titolo Miracolo! è il risultato di una ricerca di un termine che rappresentasse tutta la tradizione napoletana e Miracolo! è molto legato a Napoli come titolo, sia per San Gennaro, sia per Massimo Troisi -nella famosa scena di Ricomincio Da 3…-, sia perché oggi arrivare a fine mese c’è bisogno davvero di un miracolo. Quindi mi piaceva raffigurare il santo, la madonna, questa statua che piange, con la particolarità che invece di lacrimare sangue come i veri miracoli, piange inchiostro: l’elemento che noi abbiamo buttato per tanti anni sulla carta.»
«Nella tua produzione musicale hai spesso inserito personaggi che hanno caratterizzato la cultura di Napoli come ad esempio Gigi Finizio, James Senese, Toni Esposito e infine, Pino Daniele. Pensi che sia più un modo di proporti come mezzo per esporre quegli elementi che sono stati fondamentali nella tua tradizione, cambiando la percezione che il pubblico ha di Napoli o piuttosto presentare te stesso come icona?»
«Ho voluto riprendere quel concetto del “Napoletan Power”, che era Napoli Centrale, Pino Daniele, Tullio De Piscopo: loro fino agli anni ’80 hanno devastato tutto, poi c’è stato un calo di questo tipo di musica e a Napoli ha preso il sopravvento il neo melodico per almeno vent’anni. Solo tempo dopo gente come Pino Daniele ha nominato i nuovi rapper campani in un “New Napoletan Power”, inaugurando quindi una sorta di rinascimento di quella musica lì ed è quello che mi piace come concetto: l’unione di nuove icone e tradizione culturale.»
«Il fatto di aver fatto un pezzo con Pino Daniele è stato il raggiungimento di un obiettivo importante?»
«Io credo che il pezzo mio con Pino Daniele sia la soddisfazione e l’orgoglio della mia vita in assoluto, perché sono riuscito a mettere il mio hip hop -quello delle gare di freestyle, quello del rap, quello di Iena White– con la voce di un cantante che è l’icona di Napoli, se non addirittura dell’Italia, insomma. Quindi per me è stato già il raggiungimento di un obiettivo.
Sai quando metti la bandierina? Nella mia vita le bandierine sono state massimo una decina: conoscere Maradona, suonare con Pino Daniele, vincere le gare di freestyle, arrivare ad un disco d’oro, ora fare un doppio album ed essere primo in classifica FIMI. Sono tanti trofei che uno piano piano riesce ad ottenere ed io fortunatamente ci sono arrivato a trentatré anni, perché se ne avessi avuti diciotto, magari ora ero una persona presuntuosa con la testa montata; invece mi sono visto passare dal giorno uno ad oggi i treni, i centri sociali… tutto quello che abbiamo fatto e Gold lo sa.»
«E quindi la prossima bandierina quale sarà?»
«Io spero un pezzo con Manu Chao. Mi piacerebbe tanto, perché sto prendendo molte influenze dal reggae -anche se non voglio dire “reggae”, altrimenti la gente che lo fa potrebbe storcere il naso-, chiamiamolo genere “Clementiniano”, ecco! È un genere mio: è un hip hop napoletano a tutti gli effetti con ritornelli cantati con questa influenza molto africana, molto sudamericana, come ad esempio Strade Superstar. Mi piace molto come l’hip hop napoletano si posa su quelle note.»
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Credits Top Photo: Keeho Casati