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MUSIC

Da Bogotà, in Colombia, alla provincia di Varese. E-Green si racconta

E-Green Fiero Della Sua Disciplina Nel Rap

Scritto il 10/06/15 da Redazione

9 dischi, 11 anni di carriera, parole che caricano il sangue di verità e ingrossano il cuore di almeno sette taglie. E-GREEN è una delle personalità più pure d’intenti dell’underground del rap italiano. La sua attitudine hardcore e i live dritti e crudi sono parte di quel DNA musicale che ne confeziona la magia. Nasce a Bogotà, in Colombia, nel 1984, poi gira il mondo sfiorando tre continenti; l’hip-hop lo incontra in uno di questi viaggi, all’età di 8 anni, durante la permanenza a Detroit. Fino a toccare la provincia di Varese e, come un disco di gran pregio, l’Italia tutta.

Che rapporto hai con l’underground e in che modo, quella dimensione, ha forgiato lo spirito musicale e l’artista che sei?

Bella domanda. Mi sento obbligato a fare una piccola prefazione: Non saprei a questo punto, ad oggi, cosa e in base a quale criterio possa davvero essere definito “underground” cosa “flop” e cosa “nulla”… Ho però negli anni cercato di essere fedele a quella che è la mia personale visione delle cose, di QUESTA cosa, che viene spesso anche attribuita a quelle due famose paroline. Credo di saper apprezzare ciò che è autentico e artisticamente “onesto”. Credo fermamente che come in molti altri settori in questo Paese, alcune cose siano state interpretate, non per forza con cattiveria o malizia (almeno agli albori), ma pur sempre interpretate, in maniera discutibile. Tutto ciò, credo avvenga anche oggi: sia in “classifica” che nel “sottosuolo”. Per “alcune cose” intendo ovviamente i vari “diktat” e “dogmi” seguiti e imposti da esponenti di spicco su entrambi i fronti, anche in maniera non esplicita o non per forza aggressiva. Ma pur sempre imposti. Detto questo, posso dirti che io non potrei essere da nessun’altra parte e non potrei fare altro. Questo è il mio posto. Lo è sempre stato anche quando mai mi sarei immaginato di riuscire a fare la metà di quello che ho fatto. Ciò che cammina di pari passo con le mie enormi paure e incertezze sono sicuramente una consapevolezza e un senso d’appartenenza d’acciaio. Ciò che sono oggi è il risultato del percorso che ho fatto, che non ho scelto ma che è stato e che ha forgiato imprescindibilmente la mia figura artistica, la mia mentalità e il mio approccio alla disciplina che credo siano le cose più pure che ho in assoluto e di cui più vado fiero nella mia vita.

Quando parli di rap, parli spesso di “coerenza”. Perché?

Perché a mio parere è la cosa più importante da avere, se scegli di fare “questa cosa”. Che è tutto tranne che musica. Per me almeno, non è musica, non lo è mai stata. Ciò non significa che bisogna per forza auto-incarcerarsi mentalmente a vita in certi schemi, significa che bisogna essere coerenti con se stessi per poter andare a letto col sorriso e la coscienza pulita.

Quando ti guardi intorno, in che modo credi stia evolvendo l’hip-hop in Italia? E’ un momento di sinergia collettiva o ci si sostiene da sé?

In primis parlano i numeri. Il bilancio del rap in Italia credo chiuda ormai da anni ripetutamente in attivo. Con qualche scivolone certo ma pur sempre in attivo. Se io ho l’onore e la fortuna di poter girare ancora il paese non è perché sono bello bravo e puro. E’ perchè si è generato un indotto creato indubbiamente dall’esplosione mediatica del genere alla fonte da chi più in vista e a cascata nei riguardi di pesci molto più “piccoli” tipo Fantini, ragion per cui solo uno stronzo non ammetterebbe che bisogna essere riconoscenti (o anche solo in parte) con chi “ce l’ha fatta”. Questo non esclude il fatto che ci siano un sacco di personaggi che disprezzo indescrivibilmente ed enormemente, come artisti, alcuni anche come uomini, ma questo è un altro discorso. E soprattutto è soggettivo. Credo che di riflesso il livello si sia alzato a 360° e che tutto quello che sta succedendo è un bene. Gli scarsi e i poser ci sono SEMPRE stati, non è di certo quella una novità. In ultima analisi credo sia un ottimo periodo. Sinergia collettiva? Mah, io ho sempre fatto da solo e con strettissimi e intimissimi collaboratori, sono al di fuori da certe dinamiche di gruppo.

egreen Photo courtesy of Daniele coppa per 2kphotos.com

Che rapporto hai con le tue radici? E con l’area italiana dove sei cresciuto?

Complesse. Sono cresciuto un po’ qua e un po’ là, almeno fino alla fine della mia pre-adolescenza. Da lì in poi è stato tutto un gran casino. Grazie al rap, però, mi sono affezionato alla scena di Varese visto che ho vissuto per anni proprio in quella provincia. Questo per il fatto che la mia generazione è stato l’ultimo colpo di reni di tutto quel calderone infernale nel quale era molto sentito il concetto del “rappresentare”.

Come descriveresti la tua terra?

La Colombia? Magnifica. L’ho visitata in parte, ma ancora troppo poco.

“Il cuore e la fame” è un’opera d’arte potente e folgorante: “Sulle spalle dei giganti” concentra pillole esistenziali e briciole di felicità. Da dove arriva un testo così?

E’ la mia autobiografia.

Che rapporto hai con il mondo della produzione musicale? E con etichette indie come Unlimited Struggle?

In questo momento non ho rapporti di alcun genere con le strutture indipendenti né tanto meno con le multinazionali, sono free agent a tutti gli effetti da luglio 2014 e tutto sommato non sto poi così male. Con Unlimited Struggle è finito tutto già da tempo, è stata un’ esperienza che mi ha lasciato parecchio amaro in bocca per certi versi e ricordi stupendi per altri.

E con i social media?

Nei social sguazzo come un porco nel fango.

A che cosa ti stai preparando? Quali sono i tuoi progetti?

BEATS & HATE è pronto e arriva in autunno.

Quali sono i rapper che più ti hanno instradato e a che punto è oggi il tuo sogno di rapper? (ammesso sia un sogno).

Neffa, Esa, Danno, Kaos, Guru, Rakim, Ill Bill, Fat Joe, little brother, Evidence, Copywrite, Mos Def, Kweli, Pun. Quale sogno, è un’incubo! (ride)

a cura di F. B.

Credits Top Photo: Filippo Leonardi

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