Con l’uscita di Darkswing, il rapper napoletano approfondisce molti aspetti di sé e della sua musica
Paura Il King della Sbroffia e Del Rap Game
L’aspetto che più naturalmente risalta conoscendo Paura è sicuramente il suo atteggiamento: la sbroffia.
All’inizio non capivo cosa fosse, poi il suono, quasi onomatopeico, mi ha aiutato ad intuire e i discorsi che sentivo me ne hanno dato la conferma: «Uè, frà te lo dico, stasera se ne cade la città».
Inizialmente non sapevo se fosse parte del suo carattere o semplicemente una montatura.
Nei suoi testi ho iniziato a riscontrare quella parte così strana di quell’mc, che un po’ si camuffava, un po’ si inorgogliva di questa sua peculiarità.
Il cliché del più spacchiuso nel rap è rappresentato sicuramente da lui.
Approfondendone la conoscenza ho cominciato ad osservare altri lati fondamentali della sua persona, in cui personaggio ed identità si miscelavano. Allora ho cominciato a vedere quanto amasse il cibo, la musica e la sua terra e quando ho avuto modo di affrontare l’argomento mi ha dichiarato quanto «Napoli è il posto più bello del mondo. Ho un amore immenso per le mie origini e anzi, sotto un certo aspetto mi dispiace anche che molti artisti napoletani l’abbandonino. Vorrei che gli artisti campani non emigrassero a Milano: questo ti fa capire che rapporto ho con la mia città. Potrei vivere altrove con grade nostalgia per la mia terra e grande voglia di ritornarci appena possibile, quindi sarebbe una grande sofferenza».
Allora mi sono chiesta come una persona con tanto amore per le proprie origini e una sensibilità così spiccata per le piccole cose potesse risultare ad un primo approccio così superficiale ed ostentare una così imponente arroganza nel suo essere migliore rispetto a chiunque altro.
È la domanda che spesso mi ha portato a chiedermi dove finisse il gioco del rap e iniziasse la persona vera e se le due cose fossero così scollegate come si pensa e alla fine ho avuto la risposta al mio quesito non da Paura, ma da Francesco: «Non lo so se è costruito o meno. Io lo faccio con molta autoironia; posso parlare per me, per gli altri no».
A quel punto, ci ho tenuto ad approfondire ulteriormente l’argomento, sottolineando che «la sbroffia è una caratteristica che ti identifica sin dai primordi. Non pensi che quest’atteggiamento potrebbe creare dei contrasti a livello di relazione o anche professionale?» al che con la spontaneità più genuina a cui potessi assistere Francesco mi ha dato la sua visione dicendo che «sicuramente può capitare, ma sinceramente me ne frego. Chi ha la possibilità di conoscermi davvero e chi riesce a capire la mia musica, il mio modo di esprimermi e non si limita alla superficie, si rende conto che effettivamente è un mio modo di essere provocatorio, ma nella realtà dei fatti sono solo una persona che ha i piedi per terra e conosce bene i suoi limiti. Questa cosa è più un divertissement. Chi ha l’elasticità di capirlo bene, chi non vuole approfondire la cosa, forse non mi interessa manco come fruitore».
È il rap game.
Con l’uscita di Darkswing, il suo nuovo disco, sono riuscita ad osservare non solo la coerenza del percorso musicale e la profondità degli argomenti affrontati -da quello sociale a quello più personale- ma anche la minuziosità per ogni dettaglio -da quello musicale a quello grafico- e mi è tornato alla mente quell’aspetto che avevo notato anni prima: la passione per il particolare.
Il tuo nuovo disco è un prodotto completo con una cura nel dettaglio che non si limita solo all’aspetto musicale, ma si focalizza anche su quello visivo. Per quale motivo hai deciso di valorizzare così tanto la componente grafica, trattandosi di un album, ovvero di un prodotto con caratteristiche che si presume si leghino prettamente alla sfera musicale?
«Io mi sono sempre ritenuto -un po’ immodestamente- un’artista con più sfaccettature, a 360°. In questo album -a parte le rime e le liriche- ho curato anche gli arrangiamenti, parte delle produzioni fino ad arrivare ai videoclip e al packaging. Occupandomi di grafica ho cercato di fare un bel prodotto soprattutto perché si trattava del mio disco e -come si dice a Napoli- “il calzolaio non può andare con le scarpe rotte”.»
C’è stato un entusiasmo generale riguardo alle basi di Darkswing. Come sei arrivato a questo suono crepuscolare?
«In questo album ho cercato di mettere tutte le mie influenze musicali, tutta la musica che mi piace. Ascolto molto grunge ed infatti c’è una traccia che si chiama Alice In Chain e troviamo molte contaminazioni rock. Poi la musica elettronica già da tanti anni ha influenzato il mio suono caratteristico e sono stato comunque fortunato a farmi accettare da produttori che bene o male avevano intuito le mie direzioni musicali. Quindi è nato tutto da questo. In campo hip hop ascolto molto i prodotti di Pusha T, Kanye West e Run The Jewels.»
Infatti il parallelismo che viene più naturale pensare è quello tra Darkswing e le produzioni di El-P. Lo trovi calzante?
«Guarda, a me piace tanto come artista quindi è un bel complimento se mi fanno il paragone con Run The Jewels ed El-P in generale, anche se io inserisco tanto del mio; quindi se considerata come influenza è una bellissima cosa, però si sentono tante altre cose che a me piacciono all’interno del mio disco: non per ultime, le mie radici napoletane.»
Questo è il terzo disco solista e dei tre, questo ha un concept -rispecchiato sia dai beat sia dalle rime e racchiuso infine dal titolo- quasi notturno, un po’ malinconico, con della disillusione tra le rime. Eppure non sembra l’atmosfera adatta al tuo personaggio, perché a mio parere sembri una persona molto entusiasta della vita: del cibo, della tua terra, della vita in generale. Perché hai realizzato un concept così cupo e diverso dall’immagine che dai di te?
«Un carissimo amico, rapper romano molto famoso, mi ha detto che è un disco molto riflessivo, con determinati aspetti molto profondi, ma con sempre la speranza in tutto quello che scrivo (anche nelle cose più malinconiche, più sentite); quindi quell’alone di speranza che c’è sempre secondo me ammorbidisce anche il tutto. Più che altro è un disco figlio dei tempi: oggi nel nostro paese non si respira un’aria positiva un po’ in tutti i campi e sicuramente questo ha influenzato il mio modo di scrivere e comunicare.»
In questo disco trovo dei riferimenti che creano dei ponti tra alcune tue vecchie produzioni e alcune nuove come Un Mondo Difficile – Pt. II o Overdrive. È una scelta dovuta ad un’evoluzione concettuale di un argomento affrontato tempo fa o è un’aggiunta di punti che avevi tralasciato?
«No. I motivi sono molto semplici: per Un Mondo Difficile io volevo fare un pezzo assieme con Simone (Danno ndr). Dato che siamo molto amici, ho pensato che non ci potesse essere migliore occasione -essendo passati quasi dieci anni da quel pezzo lì (di cui ancora la gente continua a complimentarsi)- se non fare una sorta di revival. Per Overdrive è un po’ diverso il discorso: essendo Drive un flusso di coscienza, aveva anche dei punti interrogativi, quasi un discorso non chiuso e quindi avevo voglia di fare qualcosa su quella scia, ma rendendolo un po’ più conclusivo e anche azzardando. Entrambi i pezzi sono importanti per la mia carriera da musicista oltre ad essere molto belli, quindi l’azzardo era di interpretarli, mantenendo comunque lo stesso livello -presuppongo abbastanza alto-. Mi sembra che alla fine ce l’abbiamo fatta.»
Riferito a “N.A.P.L.”, mi sono soffermata sul titolo in quanto bivalente: si lega a Napoli da una parte e dall’altra all’acronimo che hai creato. In che modo i due concetti sono collegati?
«Non c’è un collegamento vero e proprio. Più che altro era la scusa per trovarci un acronimo. Il concetto del pezzo gira comunque tutt’attorno al fatto che nonostante io faccia rap da tanto tempo -quasi 25 anni- non mi sento ancora secondo a nessuno, soprattutto a quelli giovani. I grandi complimenti che mi stanno facendo sono proprio questi: nonostante sia un veterano, sia uno degli originator del rap campano, ho realizzato un prodotto che è avanti a tutti per sonorità, per concept, per modernità. Per me è un bel motivo d’orgoglio.»
Ne Il Motivo concludi il disco e contemporaneamente fai delle dediche e chiarisci dei punti tra i quali la modestia, che sembra essere una caratteristica che non ti appartenga. In una strofa dici: “Voi che sapete di essere il meglio, però non lo penso perché un rapper da battaglia sbaglia se se ne fotte di ogni controsenso”. Perché fai questa dichiarazione in un pezzo?
«Essere un rapper richiede tanta spocchia. Io non ho mai conosciuto un rapper davvero umile, non penso che esista. Se hai voglia di dimostrare di essere il migliore -che è parte un po’ del rap game- non puoi avere l’atteggiamento del chierichetto. Il gioco del rap è quello di dimostrare sempre di essere meglio degli altri. Ho focalizzato l’attenzione su quel concetto lì: c’è sempre stato un senso di rivalsa.»
Pensi di aver tralasciato qualcosa in questo disco o di aver raggiunto una sorta di perfezione del prodotto?
«La perfezione non è terrestre, però penso di aver fatto un bel prodotto. Non lo so se ho tralasciato qualcosa, ma se l’ho fatto avrò altri dischi e altre canzoni nelle quali affrontare le cose che ho trascurato.»
Quindi ci dobbiamo aspettare un altro disco con un bellissimo packaging?
«Non lo so. Spero di sì. Spero che questo mi dia l’entusiasmo per poterne fare altri».
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Credits Top Photo: Filippo Leonardi