StereoTelling è l’ultimo disco di Kiave: intreccio di storie, domande e risposte per arrivare ad “Imparo Pt. 100”
Kiave E I Suoi Demoni Preziosi
Come preannuncio di un disco che ormai da tempo si vociferava, Kiave ha cominciato a far circolare delle foto in cui si ritraeva in modo assolutamente anomalo: il suo segno di riconoscimento, segno di distinzione e di appartenenza alla sua amata calabria era la coppola.
Era.
Già si presagivano dei cambiamenti, quelli che si era imposto nella nostra prima intervista: “Il difficile non è cambiare il mondo è cambiare se stessi”.
Un processo iniziato anni fa, che ad oggi ha concretizzato in primis, mostrandosi senza coppola.
Questa modifica di stile Kiave la giustifica commentando che “l’ho fatto apposta per farmi fare certe domande dai giornalisti e per far parlare alla gente della mia città”, ma in realtà “la motivazione è che ci tenevo: dato che ora la coppola va molto di moda – e a me non piace seguirla -, allora ho deciso di cambiare. E poi sono contento perché i commenti a riguardo sono stati: ‘Ah, ma Kiave ha i capelli!’. Quindi sono estremamente felice”.
In ogni caso, il rapper continua a mostrare il proprio legame con le sue origini, nonostante la coppola e il trasferimento a Milano che in qualche modo lo ha reso più consapevole del fatto di “essere più legato alla mia città di tanti amici che sono rimasti giù. Stando lì ti perdi tante cose: entri in una routine, in una monotonia che ti allontana dall’amore per la tua terra. Abitando prima a Roma, poi a Milano, ho sviluppato un distacco molto critico nei confronti della mia terra. Non c’è più l’entusiasmo di dire: ‘mi manca casa’. Quello ci sarà sempre. Cosenza ha un sacco di lati positivi; negli anni la gente pensa stia peggiorando, invece no: la trovo sempre migliorata, sia a livello culturale, sia musicale. Sono sempre più legato alle mie radici. Io, poi so che non starò via ancora per molto: abitare fuori serve per potenziarmi. Stare a Milano mi permette di fare la promozione del disco in un certo modo; abbiamo aperto uno studio in cui posso creare e registrare autonomamente; fare laboratori nei carceri e nelle scuole (cosa che giù è ancora un po’ difficile)”.
Un percorso che ha una mira che si attuerà “nel momento in cui la mia credibilità e il mio nome crescerà stando fuori, tornerò giù: tutto è indirizzato al fine di far evolvere la mia città, perché lei mi ha cresciuto. Io amo la mia terra perciò devo essere allo stesso modo critico e costruttivo”.
Il rapper cosentino quando ancora non era neanche entrato in studio, mi confidò che per questo nuovo album “ho preso delle lezioni di canto per le quali riesco meglio a gestire la voce ed a modularla”; poi successivamente ha approfondito che “È una critica che mi hanno sempre fatto quella di impostare la voce sull’impronta della mia città, perciò ho cercato di lavorarci in questo modo. La maggior parte delle melodie delle tracce e dei ritornelli – anche quelle cantati da altri – sono mie. Poi, il prossimo disco sarà tutto cantato… da un altro”.
Il 22 gennaio alla fine, esce StereoTelling: una raccolta di storie, che s’intersecano l’una con l’altra per creare un libro di immagini, collegate dalla voce narrante di Kiave, che tra intimi acuti e demoni tesse una trama di versi e illustrazioni vocali.
Quei demoni che si palesano nella propria vita, spesso cambiando forma, si presentano nella storia del rap. In questo disco “ogni demone è un dio non ancora riconosciuto” e Kiave spiega che “Lucifero era un angelo. Noi demonizziamo il male come se andasse combattuto a tutti i costi. Il messaggio di questo pezzo è proprio quello di familiarizzare coi demoni, quindi diventare amico dei demoni e farlo diventare un punto di forza: diventare un dio. Sono entità soprannaturali, che a livello canonico possono diventare malvagi, ma in realtà possono fare anche il nostro bene. È lo stesso concetto della paura: se ti lasci avvolgere, allora passa”.
Il demone è una figura che ritorna nel rap: Neffa è stato tra i primi ad inserirlo nei propri testi e dato che anche qui ricorre, Kiave mi racconta che “è molto legata alla scrittura: spesso è il malessere che ti porta a scrivere, maggiormente all’inizio. È quello che diceva Neffa: ‘I miei cattivi pensieri che mi aspettano, braccano, parlano e parlano’. All’inizio scrivi perché stai male, poi ti evolvi e scrivi per suggellare un momento di felicità. Chi si interfaccia con la scrittura però, è sicuramente qualcuno con dei demoni dentro. Io ne ho tantissimi, ma nonostante non li esponga spesso, quando lo faccio cerco sempre un modo positivo, dedicandogli un pezzo: così la smettono di rompermi i coglioni”.
Per un concept album così complesso e intricato, anche la presentazione doveva rispecchiare quel intreccio che tramite le rime Kiave riesce a tessere. Il cambiamento è la caratteristica principale di questo artwork, perciò anche la grafica doveva rispettare questo imperativo: invece di mostrare se stesso – come nelle cover dei precedenti album – Kiave insieme a Mecna decide “di trasformare la parola ‘StereoTelling’ in un simbolo labirintico, perché io non sono uno da primo ascolto.
Dato che ho creato StereoTellingcon tante storie che s’intrecciano tra di loro, la concezione era quella di dare un suono a questi racconti in modo tortuoso e Corrado (Mecna, ndr) ci è riuscito. Se apri il disco poi, i testi sono rappresentati come un’onda sonora – quella che appare sui programmi di produzione musicale-, che diventa testo: un suono che diventa testo”.
Rispetto alle sue produzioni passate, Kiave qui si focalizza su dei punti specifici, che affronta con liriche e figure. Le influenze che hanno portato a questa realizzazione nella totalità delle nostre conversazioni si possono incentrare sulla sua esperienza nelle carceri, nelle quali è entrato “per trasmettere qualcosa a questi ragazzi e loro hanno fatto altrettanto. Io ho scritto questo disco per dare una prospettiva, pensando che l’avrebbero ascoltato anche loro. L’Hip Hop serve per essere una risorsa: se no siamo fottuti. È quello che mi diceva Lugi quando ero piccolo: ‘Noi viviamo la merda che c’è nella strada tutto il giorno, ma stiamo andando ad un party e tu devi lasciare tutto fuori e divertirti’”. Anche qui riscontriamo un mutamento di ciò che circonda l’essere umano; anche quando in un pezzo, rima “la rivoluzione è silenziosa”, si capisce che il cambiamento rimane in ogni caso il punto focale su cui si sviluppa tutto il suo pensiero, legandosi indissolubilmente con la musica che “ti rende un uomo migliore: già questa è una grandissima rivoluzione. Se sei migliore, anche ciò che ti circonda è migliore. È un processo – anche quello musicale – lento: Marley non l’ha fatto con un solo disco. La rivoluzione è lenta e silenziosa, come lo è stato l’Hip Hop: piano piano ha influenzato tutti i generi musicali, la danza, l’arte… Ora lo troviamo ovunque”.
L’altro aspetto che nella discografia di Kiave è imponente, è quello della “sete”, che si riscontra nel proseguimento di Imparo, ovvero Imparo Pt. 2. Una necessità che ha i suoi lati positivi e negativi: il rischio è di non trovare mai una soddisfazione, non fermarsi e non accontentarsi. Nonostante questa consapevolezza l’MC spera “di arrivare ad Imparo pt. 100, perché ‘più cose sai, meno te la buttano al culo’, come disse Danno in un’intervista. Per me è importantissimo sapere. Questa sete è la mia benzina, spero non passi mai. Il passaggio dalla traccia vecchia a quella nuova è che ho imparato più cose. La conoscenza è anche una delle nozioni che t’insegna l’Hip Hop. C’è l’Hip Hop che celebra l’ignoranza e “La conoscenza che mi guida in ogni circostanza”. Potrò pure sembrare ambizioso per cambiare le cose, ma preferisco questo approccio”.
Non è una strada facile quella della conoscenza, anche perché porta ad una cognizione più limpida del proprio io, che non è mai facile da accettare e inesorabilmente “arriva per tutti la notte in cui si cambia il conto del karma”, in questo caso vedendo l’alba solo grazie a quelle parole preziose. “Quella notte di cui parlo, penso che la musica mi abbia salvato dall’impazzire completamente. Ripetevo Cose Preziose per mantenere la lucidità e per rimanere focalizzato su me stesso, proprio come un mantra. Col passare del tempo poi, alla fine ho visto l’alba”.
Nella speculazione di se stessi si arriva a delle domande, che richiedono inizialmente un’immediata ed esaustiva replica; ma più che si indaga nella propria oscurità, più che i quesiti diventano ostici, fino a giungere alla conclusione: alcune domande sono giuste e non hanno avuto bisogno di risposte. La prima e ripetuta è stata: “’Perché non smetti’? Non servivano risposte: nel momento in cui mi sono posto la domanda, la domanda stessa era la risposta. Non posso smettere. Ho avuto un sacco di occasioni in cui mi sono detto che se succedeva una determinata cosa, vaffanculo, basta. Una di queste, è stata durante la mia partecipazione a Spit: ho perso l’ultima nonna alla quale ero legatissimo. Era il giorno prima della data in cui avrei dovuto registrare la puntata. Non sono potuto andare al funerale, perché sarei uscito dalla competizione. Se non avessi passato il turno, avrei smesso: l’ho vinto e ho strappato anche un pareggio con Ensi, che non è facile. È stato un giorno importante: la gente non sapeva cosa avevo io dentro. Ancora persevero”.
Dopo questa infinita discesa in un’intimità che sfiora l’esoterico, la mia domanda è: ancora credi in questa cosa di cambiare il mondo, come spieghi nel tuo disco precedente?
“Scusa, perché viviamo? Non viviamo per cambiare il mondo?”
La risposta non la deve dare Kiave.
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Photo Credits: Tommaso Gesualdo