Quattro chiacchiere con l’uomo che canta racconti
Murubutu, storytelling per un rap diverso
Un rap diverso. Diverso nei contenuti, diverso negli intenti, lontano da quello che siamo abituati a sentire. Un rap che è il mezzo con il quale ci viene trasmessa una storia, come se la musica fosse la carta sulla quale è stata scritta. Una musica che non può essere solo sentita, ma che va ascoltata per essere compresa appieno. E allora abbassate le luci, premete play e lasciatevi accompagnare dalla calda voce di Murubutu all’interno delle sue storie.
Sei forse l’espressione più alta dello storytelling nel panorama Hip Hop italiano. Una curiosità: come nasce un tuo pezzo? Nasce prima la storia e poi diventa canzone, oppure il racconto prende forma durante la stesura del testo?
Murubutu: Sicuramente nasce prima la storia come movimento primigenio, diciamo, c’è una dinamica che mi interessa esprimere, una relazione tra individuo e contesto oppure un evento che mi commuove e quindi mi piace descriverlo. Poi dopo, come tutti, io ascolto diverse basi e dico: su questa ci starebbe bene questa cosa qui e provo a svilupparla di conseguenza.
Quindi trai ispirazione anche da fatti realmente accaduti?
Murubutu: Sì sì, da fatti accaduti sul territorio, fatti di cronaca, ma anche da racconti. Oltretutto per quest’album mi sono documentato parecchio a livello di saggistica…
…sì sente molto, come in tutti i tuoi lavori si capisce che c’è un background letterario e tanta ricerca dietro…
Murubutu: Ma perché penso che se una storia deve risultare credibile, anche se non è vera, deve avere dei riferimenti specifici, quindi di conseguenza uno deve documentarsi per forza.
Parlando del tuo ultimo lavoro, ci troviamo in mano il tuo secondo concept album. Altri artisti, anche di altri generi, hanno scelto di esprimersi facendo coincidere i brani con una sequenza temporale, tu prediligi un tema comune. Come mai questa scelta?
Murubutu: Diciamo che la mia è fondamentalmente una raccolta di racconti, e quindi questa è una cosa più facile da realizzare che un audioromanzo. Se fosse un audioromanzo dovrebbe avere gli stessi personaggi, dovrebbe avere una fedeltà alla trama molto più alta, quindi sarebbe un po’ più difficile da scrivere. È un concept album perché il vento c’è, a volte come protagonista e a volte solo come ambientazione, caratterizza tutti i brani, come avviene nelle raccolte di racconti letterali, così ho la libertà di non avere per forza il vento come protagonista e di non dover avere una coerenza continua rispetto alle dinamiche, a volte il tema è marginale e a volte è centrale. È un concept album perché il vento rientra sempre, è un comune denominatore.
Parlando dei protagonisti dei tuoi racconti, come avviene la scelta dei nomi? Penso a Luca, a Mara, a Pampero…
Murubutu: Pampero è il nome di un vento, per il resto dipende, in tanti mi fanno questa domanda, in tanti ci vedono dei significati che io non ci ho mai visto! In realtà no, la scelta è puramente casuale e dipende tantissimo da come suona il nome. Per dirti Mara, di Mara E Il Maestrale, per metà della canzone, durante la scrittura, si è chiamata con un altro nome, poi ho deciso di cambiarlo perché a livello fonetico e a livello sillabico suonava male sulla chiusura di certe rime. Chiaramente il limite che si ha nello scrivere le canzoni è che devi fare i conti con la metrica, quindi questo per forza influenza alcune cose e tra queste anche i nomi dei protagonisti.
Avremo mai il piacere di leggere un libro di Murubutu?
Murubutu: Ma guarda, ho avuto delle proposte, è una cosa che mi piacerebbe tantissimo fare, ho scritto qualche racconto, però purtroppo a me manca il tempo fisico per fare una cosa del genere. Forse quando smetterò di fare dischi, che poi non è che ci manchi tantissimo, visto che ormai sono molto avanti con l’età per fare il rap (ride)…
…ora non dirmi così, io ho pochi anni meno di te e venerdì prossimo non lavoro per andare a dipingere sotto un cavalcavia..
Murubutu: … no vabbe’, non vuol dire, diciamo che quando smetterò di dedicarmi alla musica, o per lo meno al rap, mi piacerebbe dedicarmi alla scrittura.
…per adesso però ti senti ancora rapper?
Murubutu: Per adesso io faccio l’insegnante, il padre, quando riesco il cantante e… ho finito il tempo! (ride)
A livello di musica, sei lontano dallo stereotipo di rapper dei ragazzi di oggi, che non è quello che arrivava negli anni ’90 e tantomeno lo storyteller. Come la vedi questa scena?
Murubutu: Mah, io ti dico nasco come artista anche con la volontà di cambiare un po’ il rap, nel mio piccolissimo, quindi con la volontà di cambiare i connotati di quella che è non solo la figura del rapper, ma anche la concezione del rap in Italia ed in generale. A volte c’è proprio la volontà di proporre dei valori volutamente alternativi, insomma, rispetto a queste cose, quando le persone cantano pezzi privi di stereotipi nei live a me fa estremamente piacere, insomma. Però in linea di massima penso che stiano cambiando alcune cose perché il rap comunque va da sé, si muove nel tempo. I tempi cambiano e quindi cambia anche il rap. Penso che un’avanguardia da questo punto di vista sia anche Frankie Hi-NRG, nonostante sia ormai un artista marginale all’interno della scena Hip Hop, il fatto di partecipare alla sua età al Festival di Sanremo con un pezzo rap, secondo me in un qualche modo continua ad aprire la strada a molti, primo tra tutti a me (ride) che sono un rapper diciamo “anziano” tra virgolette. Quindi se prima c’era la percezione del rapper come un giovane che fa musica per giovani, adesso stiamo un po’ sdoganando questa immagine del rapper in età adulta che fa musica per adulti.
Infatti fra le file dei tuoi fan troviamo molti ascoltatori “colti”, abituati ad ascoltare i grandi cantautori italiani.
Murubutu: C’è la volontà di fare una cosa diversa, di avere un pubblico più eterogeneo di quello dei ragazzini che volente o nolente è la maggioranza. In questo senso mi fa anche piacere perché il pubblico dei ragazzini, che arriva a me tramite il rap, che è un mezzo che gli è conforme, è comunque un pubblico che non si accontenta dei soliti contenuti, è un pubblico che cresce e che cerca stimoli, è un pubblico selezionato, da questo punto di vista. Il fatto che ci sia una fascia di utenza eterogenea me lo attestano anche i messaggi che mi arrivano da persone che hanno anche più di cinquant’anni. Ascoltatori che vanno anche oltre al medium del rap che ha i connotati della musica giovanilistica, perché vengono presi dei contenuti… poi quando una storia ti prende, puoi veicolarla attraverso qualsiasi genere, ma se ti prende ti prende.
Cosa ascolti, cosa troviamo nel tuo stereo?
Murubutu: Quando vado a correre ascolto tantissimo rap e quindi io sono aggiornatissimo, soprattutto sul rap italiano. Ascolto praticamente tutto, anche perché, visto che sto correndo, non ho delle aspettative altissime rispetto alla musica che ascolto. Mi piace ascoltare tutto anche perché mi piace rimanere informato anche a livello tecnico, proprio. Se però devo ascoltare musica che mi piace ascolto reggae, sicuramente, r’n’b ma anche tanto folk rock d’autore. Per l’italiano i cantautori sono il mio punto di riferimento, però rispetto al folk rock parlo soprattutto di cose d’oltreoceano, ultimamente un contributo fortissimo al mio ultimo disco l’ha dato l’ascolto di The Passenger.
Preferisci la copia fisica o digitale?
Murubutu: No io fruisco tutto senza nessuna distinzione, dal vinile al mp3, anche qualche musicassetta. Non mi pongo limiti di formato, cosa che faccio invece coi libri, in quel caso preferisco assolutamente il cartaceo. È un mio limite, non riesco a leggere senza toccare.
Facendo un passo indietro, come ti avvicini al rap?
Murubutu: Andiamo parecchio indietro, andiamo nel ’91. Mi avvicino al rap nel periodo delle posse e vengo completamente affascinato da questo genere nuovo, perché praticamente nel ’91 era un genere nuovo, e quindi mi sento parte della crescita di questo nuovo movimento, mi avvicino al rap in questo senso qui. In realtà musicalmente al rap io ci sono arrivato attraverso il rock, nel senso che io ascoltavo tantissimo metal e hardcore quando ero piccolo, poi dopo ho cominciato a seguire i primi esperimenti crossover tipo Faith no More che inserivano il rap nel rock per l’appunto, ancora prima dei Beastie Boys. Da lì poi sono passato al rap proprio attraverso il fascino che subivo dal rap inserito nel rock.
All’interno della cultura Hip Hop, ti sei espresso solo con il rap o ti sei cimentato anche nelle altre arti?
Murubutu: Prima di essere rapper sono stato writer e breaker, ero un writer e un breaker che ci credeva tanto ma veramente mediocre (ride), quindi diciamo che poi ho trovato la mia vocazione al microfono.
…al microfono, appunto, mi chiedo: ti capita di fare freestyle?
Murubutu: Mi è capitato di fare freestyle molto spesso negli anni passati. Ho iniziato nel 2000 e ho smesso 5 anni fa o una cosa del genere, però è una cosa che mi piace ancora tantissimo, ma penso che focalizzarsi solo sul freestyle sia riduttivo, però è una grandissima palestra. Ho fatto anche un Tecniche Perfette, sono stato eliminato al secondo turno dal mio amico Dank, per altro!
Tornando al nuovo album, oltre a La Kattiveria troviamo i featuring di Rancore, Dargen D’Amico e Ghemon. Come sono nate queste collaborazioni?
Murubutu: Non ci conoscevamo, li ho contattati io perché mi piaceva avere tra le migliori penne del rap italiano nel mio album. Mi ha fatto tantissimo piacere il fatto che abbiano accettato subito perché già conoscevano me e il mio tipo di scrittura e quindi, ha fatto piacere anche a loro collaborare con me.
Nella vita sei un professore, ti capita di avere fan fra i tuoi allievi?
Murubutu: Diciamo che ci sono ragazzi che sono miei fan finché non diventano miei allievi, (ride) poi dopo sai cosa capita? Capita che poi magari non li tengo per tutti e cinque gli anni, smettono di essere fan durante il periodo scolastico e tornano miei fan quando non sono più loro insegnante, c’è una piccola parentesi dove si allontanano. Quando vedi una persona tutti i giorni la percepisci in modo diverso, se prima la mitizzavi, dopo diventa parte della tua quotidianità, se poi è anche un insegnante e quindi ti valuta, ti giudica, ti critica a maggior ragione succede questo.
Da padre, come ho fatto in passato con altri artisti, ti chiedo: quanto e come incide il tuo essere Hip Hop nell’educazione di un figlio? Quali sono le tue esperienze?
Murubutu: È una bella domanda, però posso dire che non incida assolutamente nella mia esperienza. Faccio ascoltare ogni tanto qualcosa, ma sai, come ho risposto in un’intervista aperta che ho fatto a Bologna poco tempo fa quando mi hanno chiesto: “ma i tuoi figli come vivono il tuo essere cantante?” Eh, ogni tanto mi chiedono, soprattutto il mio figlio maschio che è quello più grande, “ma anch’io vorrei fare…” Però sai, è che un padre vuole sempre il meglio per i suoi figli, quindi li tengo lontani dall’Hip Hop finché posso (ride). Ci sono generi, tipo il jazz e la musica classica. Perché proprio l’Hip Hop?
Murubutu. L’Uomo Che Viaggiava Nel Vento.