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Storie di calcio e anche no




 
 
Qualche tempo fa vediamo su twitter il Gabrielli (aka @conversedijulio) che dice che non vede l’ora che gli facciano un’intervista così potrà farsi una foto con la mano sotto il mento come gli scrittori più à la page. Noi (tutti: sia @vannisantoni che @matteosalimbeni che @omarrashid) eravamo on line e siccome il Gabrielli ha scritto un libro di calcio di quelli che piacciono a noi (Sforbiciate, si chiama, questo libro), pubblicato per di più da Piano B, una casa editrice di Prato nuova, indipendente e cazzuta, abbiamo deciso di fargliela subito, l’intervista, per Goldworld.
Gabrie’, levati codesta mano da sotto la bazza e dicci: perché scrivere di calcio oggi?

Mi sembra di poter rispondere, ragionevolmente: per gli stessi motivi per cui se ne scriveva ieri, e probabilmente se ne continuerà a scrivere domani. Quei motivi, nell’accezione più polisemica del termine, che sono propri tanto a, per dire, un libro del passato come “Storia del calcio in Italia” di Antonio Ghirelli – uno Struzzo einaudiano da millelire del Settantadue, uno dei regali più belli che m’abbiano mai fatto – quanto al presente delle “Sforbiciate”, che sono poi due libri, rispettivamente, fatti di “gallerie di campioni famosi e di leggendarie competizioni, che sono anche un’indagine sul costume italiano di oltre mezzo secolo” e “storie di pallone, ma anche no”. Scrivere di calcio è raccontare i (mal)costumi del mondo futbolìstico ma anche e soprattutto di quello altro, rivendicando al contempo la salvaguardia dell’unico aspetto pallonaro non ancora fagocitato da un mondo per sua recente natura tendente all’implosione: il lato umano di chi lo pratica, il calcio, di chi ha ancora gli scarpini profumosi di rancio, di spogliatoio, di popolo.

 

Una storia che avresti voluto mettere in Sforbiciate e non hai messo.

Di storie escluse deliberatamente non ne ho. Ce ne sono alcune, certo, che mi son passate per le lame della forbice troppo più tardi rispetto alla chiusura del libro, questo sì. Tipo la vicenda di Rio Mavuba, nato in mare come TD Lemon Novecento, uno che si chiama come le cose che generalmente in mare muoiono, i fiumi, appunto, il Rio. Una vicenda sulla quale, tanto era figa, ho infatti poi scritto un pezzo ad hoc per Fùtbologia. O come la storia di altre Sforbiciate, una metanarrazione non scevra di sensazionalismo, dove c’entra la Cayenna, un colorificio, la città di Colombo e un capitano col nome d’una città colombiana, che avrei forse messo nel libro, ed è invece finita su – one more time – Scrittori Precari. Sai un personaggio proprio da Sforbiciata che ho mancato? Breno, il difensore ex Bayern Monaco che volevano alla Lazio, uno tutto fuoco e fiamme, in campo e fuori.


Quali giocatori e squadre, oggi, ti pare abbiano portata mitopoietica?

Forse sarà una risposta banale – per dire, è la stessa che ha dato poi Vinicio Capossela in una recente intervista durante gli Europei: le nazionali minori che partecipano alle massime competizioni continentali o mondiali, quelle hanno ancora una forte portata mitopoietica. Tipo lo Zambia semidilettantistico che vince la Coppa d’Africa sulla scia del ricordo d’una tragedia vecchia vent’anni, ròbe del genere. Giuocatori non so, mi sembra che le paillettes d’oggi abbiano trasformato ogni eroe in una vedette, spazio per il mito ce n’è poco.

 

Zeman alla Roma. Noi ci speravamo di vederlo arrivare qua, ci avete appioppato Montella. Ma insomma, dicevamo: Zeman. Dicci un po’. 

Sai cosa è sorprendente, di Zeman? Che sembra abbia scoperto l’essenza della benevolenza come il Jean Baptiste Grenouille del suskindiano “Profumo”. Gli voglion bene tutti, a Zeman (tranne gli juventini) (ma gli juventini alla fine della fiera voglion poco bene pure a loro stessi, altrimenti sarebbero mica juventini) (facile far comunèlla tra romanisti e fiorentini, veh?).

E dire che Zeman è uno tutto sacrificio, disciplina, uno che inculca la cultura del lavoro, della fatica, del sudore, dello stringere i denti. Promettendo in cambio cosa? Lo spettacolo! Il bel gioco! Lo stare in pace con se stessi. Vedi se non è un mezzo Monti, ma più rock’n’roll.

Anzi, Zeman è il nostro Lula, il nostro premier da squadra-in-via-di-sviluppo, il nostro Hollande!, uno per cui t’alzi che si sta alzando | la tribuna popolare. Che poi infatti Hollande è francese, come Grenouille, torna tutto, o quasi.

 

Il campionato italiano di calcio non è più lo stesso da quando…

Da quando Baggio non giuoca più, che domande. Da quando non è più domenica alle tre e irrompe Provenzali, che Dio l’abbia in gloria. Da quando, volenti o nolènti, semo tutti parrucchieri. E poi anche da quando non ci son più penne capaci di raccontarlo in punta di scarpini. Da quando non possiamo più fare a meno dell’e ora la clip col sottofondo discotèchico. Da quando c’è il reverse angle.

Quando siam nati noi, mi sa, forse è lì ch’è cominciato a morire, il calcio italiano, stai a vedere.

 

L’ultima, la strontsétta (cit. Gabrielli): parlaci di Sforbiciate in modo diverso da come hai fatto finora, e invoglia chi sta leggendo alla lettura del libro, e non solo dell’intervista.

 

Parlar delle sforbz in maniera diversa, dicevamo, e invogliare alla lettura. (io quest’ultima cosa boh, mai saputo come si fa)(i corveleno dicono: noi | non lo sappiamo come venderti il disco | ma sappiamo come cazzo riscaldarti i transistor)(quindi)

Si dice, dei testi presentati sotto l’invitante veste di racconti di pallone nella raccolta Sforbiciate, che unendo i punti ottenuti mappando le città e le squadre ivi citate si ottenga il profilo di Concetto Lo Bello, all’altezza del naso del quale si cela il primo prato storicamente utilizzato come campo di calcio. Che sia un’accolita disordinata di testi di diversi autori sudamericani (più tre calciatori di Lega Pro d’origine friulana) tradotta e adattata alla bell’e meglio; che l’autore cerchi di scrivere la propria autobiografia travestendola da quello di terzino sinistro. Che unendo e riordinando

le prime sillabe di ogni capoverso – secondo un codice prestabilito che ha a che fare con Tomáš Skuhravý e il tessuto con cui son fatte le maglie del Newell’s Old Boys –  si ottenga un ulteriore racconto sulla tribolata e misconosciuta carriera calcistica  di Buddy Holly. Che letto a voce alta nella sua traduzione in sanscrito il suono che s’ottiene riproduca esattamente un movimento di quartetto d’archi di Vivaldi.

Che se inavvertitamente ne trangugi un frammento di pagina, dopo due giorni ti viene il tifo, e muori.

Che se non lo leggi, campi uguale, ma un po’ peggio.