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Mezzosangue Supertramp



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«Credo che nei prossimi giorni, mesi, anni, secondo a quanto penso, avrà un grande successo.
Siamo amici e lo stimo a livello artistico.
Fondamentalmente abbiamo un grosso rispetto reciproco. Fa una roba che a me piace.
Sono sincero: se qualcuno che non apprezzavo mi avesse chiesto di fare gli scratch, non l’avrei fatto.
Non ci sono storie incredibili: è solo questo. Solo la verità».

DJ Baro introduce così Mezzosangue.
Spontaneo: «Fa una roba che a me piace, me l’ha chiesto e l’ho fatto volentieri».
Eppure è come se facendo quegli scratch in quel primo pezzo, Baro avesse posto Mezzosangue su uno scalino superiore rispetto agli altri, un piano che già dal primo disco Musica Cicatrene, sapevamo che sarebbe stato suo.

Tormento mi disse una volta: «Mezzosangue è uno degli MC più giovani che c’è nella scena e scrive così perché fin da piccolo ha letto tanti libri. Quando lo incontro mi dice: “Ma hai visto quel documentario sulla matrix divina?” (…) Se sei un rapper, hai bisogno di avere contenuti, di capire come funzionano le energie intorno a te».

Mezzosangue intona rime anarchiche, ma che cercano di risvegliare un’etica perduta, quel pensiero che lega l’uomo al valore della vita in quanto tale.

“Il pensiero che è un’arma”, spesso dimenticata da chi potrebbe cambiare un mondo paragonabile ad un circo, ma in cui il predatore è consapevole che l’artiglieria più letale non è visibile.

“Guardo lo specchio, ma stavolta è il mio riflesso che mi guarda” e sono scenari apocalittici in cui descrive un’anima persa che ti guarda: la tua.

Ed è la trasformazione di quello stesso specchio in cui erano le persone che “(…) dovrebbero riflettere e riflettono, sì, ma come specchi”, facendo sembrare che quel 2012 con qualche anno in più non sia cambiato, ma anzi mentre prima un mondo squallido, ubi maior, minor cessat, e l’enigma principale era se restare per cambiare, adesso i quesiti sembrano essersi affievoliti, per chiedere a se stessi se volare alto verso una libertà “se solo ci fosse un posto”, che pare esuli da questa realtà.

E quel sentimento che portava verità si è allontanato e combatte per guardare non più un esterno che prima era Medioevo e adesso è un circo, ma per girarsi e guardare se stessi.
È quasi un eterno conflitto in cui il sentimento etico che volge all’anima aristotelica, viene corrotto da una purezza che cerca di essere oracolare e a trovare quelle parole che sono “proiettili d’argento in cuffie piccole / sta luce in pillole / già so che ci salverà”.

«Al termine di Sangue echeggia: “non credere in nessuno diventa quello che sei” (richiamando l’omonimo pezzo).
E il tuo essere è quello di un supertramp?»

«In realtà definirsi in un termine credo sia sempre sbagliato, cerco però di rispondere spiegando cosa intendo io per “Supertramp”. La citazione a “Into The Wild” è ovvia, ma estrapolando il termine dal contesto specifico del film, un Supertramp è una persona che intraprende un viaggio a piedi verso la verità, qualunque essa sia, e per farlo dovrà lasciare certi saperi, certi dogmi, certi giudizi e certe conoscenze. In questo senso si, sono un Supertramp.»

«Aristotele in De Anima indica l’intelletto come “agente”, ovvero con una disposizione attiva capace di astrarre la specie intelligibile dalla materia in accezione positiva in quanto accumulo di conoscenza. Nella tua De Anima però, è possibile che tu stia descrivendo la tua anima di cui l’intelletto è parte, danneggiata da un’impressione data da esperienze negative?»

«Allora, quello che cercai di fare quando scrissi De Anima, fu rispondere all’indagine sull’anima di Aristotele, ma in maniera completamente diversa, quasi irrazionale, emotiva. L’idea è: chi meglio dell’anima che parla (l’arte, la musica) può descrivere l’anima stessa? Per cui attraverso uno dei punti cardine del De Anima, ovvero l’immaginazione, ho cercato di dare una forma e un senso all’anima lasciandola parlare. Il risultato poi fu un insieme di immagini che, grazie allo storytelling, mi hanno permesso di descrivere l’anima per come l’ha vissuta la mia anima stessa, non come intelletto ma come entità a sé. La vendetta finale è poi la soluzione “psicologica” e metaforica di quei drammi di cui parlo, perché alla fine sopravvive si l’anima, ma in quanto immagine nello specchio, quindi in realtà è lei a perire. Spero si capisca ma è un po’ complicato.»

È un personaggio che somiglia ad un oracolo.
Il rapper che non compare, che si nasconde, che sul palco tiene il passamontagna non per fare scena, ma perché «è un simbolo molto forte, non è solo coprire qualcosa, è mostrare, è dimostrare. È dimostrare che dietro una maschera non c’è motivo di mentire, solo di lottare. E’ mostrare umiltà e uguaglianza, come a dire “io non sono nient’altro che te con ideali, pensieri e conoscenze diverse”. Ecco: quegli ideali, quei pensieri e quelle conoscenze sono il passamontagna e possono essere indossate da chiunque. E’ il momento di capire che non esistono persone migliori o peggiori, esistono differenti livelli evolutivi e siamo tutti chiamati ad evolvere». L’aspetto non conta, la parola è quella che deve essere privilegiata.
Ed è in questa ombra che la sua voce spezza la sordità imposta dalle rime cliché che imperversano.

«I tuoi testi (soprattutto gli ultimi) si alternano tra una rabbia per una paralisi della società agli eventi che si trasforma in incitamento e una rassegnazione volta ad andare via.
La tua musica è la tua via d’uscita o una via per chi ti ascolta?»

«Entrambe. Specialmente quest’album ha una vita propria, pulsa, non è solo una via.»

«Hai buttato il cuore in cassaforte e hai scordato la combinazione?»

«Credo proprio di averlo fatto.»

Il disco si potrà acquistare online ed ai concerti dal 23 febbraio e De Anima sarà presente solo in free download sul sito ufficiale, oltre che nelle 23 copie speciali che saranno regalate ai live “senza alcun criterio”.