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Altered Carbon: il senso della vita (eterna)



Mentre vi scrivo queste parole sono preso fra due fuochi.

Da un lato l’attesa dell’inizio della quarta puntata della serie tv Netflix che dà il titolo a questo pezzo, dall’altro l’eccitazione e la commozione per la diretta streaming del primo lancio del vettore Falcon Heavy di SpaceX, la compagnia aerospaziale privata di Elon Musk.

Proprio il tycoon sudafricano naturalizzato statunitense è stato, negli ultimi mesi, alfiere di una sorta di nuova consapevolezza sul tema dell’insorgere della cosiddetta “singolarità tecnologica” ovvero la nascita di una Intelligenza Artificiale autocosciente e senziente.

In Altered Carbon la IA gioca un ruolo fondamentale -per ora- nell’avanzamento della trama ma lo fa, ironia della sorte, restando sullo sfondo quasi come una reietta dei tempi che furono.

Già, perchè chi diamine ha bisogno di una Intelligenza Artificiale quando…artificialmente si può rendere immortale la propria?

Proprio questa è la premessa della nuova serie originale Netflix, tratta da una trilogia di romanzi cyberpunk dello scrittore Richard K. Morgan: gli esseri umani hanno trovato il modo di comprimere tutto ciò che ci rende “noi” all’interno di una placchetta (“pila corticale”) posizionata chirurgicamente fra le vertebre cervicali.

In parole più semplici hanno digitalizzato la coscienza e quella che potremmo definire “anima” rendendola portatile ed eterna.

Ecco così che i più ricchi, ovviamente, possono vivere per secoli, passando da una “custodia” (corpi sintetici ultra perfetti o semplicemente cloni di se stessi) all’altra.

Se state pensando all’esempio del serpente che cambia pelle, beh, ci siete e alla grande. Anche in termini di pura metafora.

La vita eterna è un veleno per la società, che viene raffigurata con cupo e crudo realismo nella serie, una società pronta a mordere mortalmente i più deboli per assicurare qualche secolo in più ai potenti di turno, una società dove una scoperta rivoluzionaria porta ad un ulteriore divisione classista che viene perfettamente evidenziata anche a livello di scenografie, con la città “di sotto” sporca e perennemente bagnata dalla pioggia e i palazzi dei ricchi (definiti “Mat”, in onore del biblico Matusalemme) che svettano nel cielo limpido sopra di essa come una serie di repliche in vetro e acciaio del Monte Olimpo.

La storia vede impegnato il soldato ribelle Takeshi Kovacs, risvegliatosi dopo 250 anni in un corpo non suo, nella ricerca della verità sull’omicidio del multimiliardario Laurens Bancroft (colui il quale l’ha assoldato, ironia dell’immortalità). Kovacs si muoverà in una realtà che non capisce e non accetta pienamente, fra deliri perversi (forse) di onnipotenza dei Mat e cospirazioni proto-religiose da parte dei cosiddetti NeoCattolici, i quali si oppongono strenuamente alla pratica della reincarnazione nelle custodie.

Una storia adulta e ben orchestrata, con un “production value” fuori dal comune per un prodotto televisivo (a parte Game Of Thrones non mi vengono in mente altre serie tv con questo livello di cura del comparto scenografico, make-up e CGI), che riesce a piacere ed intrigare nonostante qualche difetto di “pacing” soprattutto nelle parti più espositive degli episodi.

Ma è il nocciolo filosofico il vero motivo per cui la serie in sè mi ha conquistato sin dalle premesse.

Ci pone delle domande Altered Carbon, domande etiche, filosofiche e, perchè no, religiose.
A cosa saremmo disposti per ottenere la vita eterna? E, soprattutto, cosa succede ad un essere umano che non può morire? Come riempire la noia eterna che ci attende?

La risposta che, in queste prime puntate, ci consegna la serie è quantomai degradante e deprimente: megalomania, perversioni sempre più estreme e disinteresse per il prossimo sono le caratteristiche più comuni fra chi ha raggiunto questo stadio successivo dell’esperienza umana.

Quella che potrebbe essere la scoperta più importante della razza umana non fa altro che distruggere ulteriormente un tessuto sociale già messo a dura prova dagli errori storici della nostra specie (guerra, violenza, assenza di empatia, disuguaglianze sociali), portandole all’eccesso più estremo immaginabile.

La tirannia dei potenti diviene eterna così come la sottomissione inevitabile dei deboli, in un ciclo -ovviamente- senza fine.

Ma sarebbe davvero così terrificante vivere per sempre?

Davvero non saremmo in grado, come singoli e come specie, di superare l’horror vacui di una vita senza fine che si trasforma in una noia senza fine e di sfruttare, anzi, quell’infinito a nostra disposizione per evolvere davvero in qualcosa di straordinario e di giusto?

Sinceramente, come in tutto, io credo nell’equilibrio.

Equilibrio gravoso e costoso, certo, ma che prima o poi giunge a dare un senso a tutto, anche a ciò che un senso sembra non averlo.

Sono altresì convinto che, anche il futuro più oscuro previsto dalla narrativa e dall’ingegno umano, può essere sovvertito in qualcosa di almeno leggermente più vivibile. Con fatica e soprattutto pazienza certo, questo è fuor di dubbio.

Ovviamente tutto questo sconclusionato discorso è un semplice esercizio di stile, tanto più che nella terza puntata viene svelata la vera origine della tecnologia alla base della pila corticale (ed è una rivelazione assolutamente deprimente) ponendoci idealmente ancora più lontani dal giungere a quel tipo di avanzamento scientifico.

Ma, in un epoca che vede i prodromi del transumanesimo fare i primi deboli passi, non guasta esercitare la mente a pensare alle conseguenze “dell’oltre”.

Appuntamento quindi alla fine della prima stagione (oh, lo so che è in binge watching e in moltissimi l’hanno già completata, ma io non sono mica qui a pettinare le bambole) per un resoconto più dettagliato della trama ed una revisione più approfondita delle tematiche trattate.

Nel frattempo ditemi, cari utenti di Gold, voi accettereste di venire compressi in un dischetto e di passare l’eternità -conto in banca permettendo- a saltare da un corpo all’altro?