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Ape ronza di nuovo nei nostri hi-fi con The Leftovers



È uscito il nuovo album di Ape, The Leftovers.

Vi dice nulla questo nome? Per chi, come me, c’era alla fine dei novanta ed era già invischiato in questa cosa dell’hip hop, è quasi impossibile non aver mai sentito una sua strofa. Ma se non c’eravate o se semplicemente eravate distratti, ci pensa direttamente lui a ripercorrere le varie fasi della sua carriera.

Partiamo dal passato: non hai davanti un Mirko Psaiko 38enne, sposato con prole, no, ora sono il Mirko Psaiko di circa 20 anni fa, baggy jeans e felpone, entusiasta per tutto quello che è Hip Hop. Nello zaino avevo marker e Aelle, e di Aelle leggevo tutto, anche le pubblicità, da quelle dei vestiti fino a quelle dei mixtape. Da qui mi trovo per le mani un mixtape targato Ill Circuito e mixato da DJ Silver K contenente due tracce di una crew chiamata Trilamda, nome già letto più volte su Aelle, appunto. Che spettacolo! Che mi racconti di quei tempi?

Sono i tempi in cui è cominciato tutto, avevamo una carica di entusiasmo incredibile, in giro c’era poca roba ed in Brianza ancora meno, il sodalizio con Ill Circuito nacque spontaneo anche se venivamo da 2 mondi diversi, ci univa la passione per l’hip hop. Era la fase in cui le cose cominciavano a funzionare ed iniziavamo come gruppo ad avere un po’ più di visibilità. Io mi occupavo di gestire il team Trilamda, tenevo i contatti con i locali, gestivo la stampa e la vendita dei demo, è in quella fase che ho imparato ad essere produttore esecutivo di me stesso!

Ci siamo tolti tante soddisfazioni ed è stata una vera e propria palestra, poi come tutte le migliori esperienze si è chiusa, e da lì ho intrapreso il mio percorso da solista.

Passa il tempo, finisco la scuola, inizio a lavorare a gratis (tirocinio, lo chiamano) e il nome Ape ronza in numerose tracklist, dove figura come featuring sui lavori di molti nomi illustri della scena. Ci parli di quelli a cui sei più legato?

Il featuring a cui sono maggiormente legato è quello su Giorni Matti con Bassi e Zampa che ancora oggi è riconosciuto come un classico.

Sicuramente una delle mie migliori strofe, che ancora oggi, quando la faccio dal vivo, entusiasma il pubblico.

Ricordo ancora il momento esatto in cui l’ho finita, si trattava di un feat per Bassi, sapevo che sarebbe stata una grande occasione, quando ho scritto l’ultima barra ho capito che avevo droppato una bomba, e alla fine ho avuto ragione!

Arriviamo agli anni bui del rap italiano, la fase discendente della parabola, e io con la lampadina alla ricerca del suono che amo. Un faro nella notte è sicuramente Vibrarecords, negozio di dischi oltre che etichetta. Ciò nonostante mi perdo, ahimè, Venticinque, il tuo primo album solista, del quale intravedo giusto te che aspetti qualcosa/qualcuno a bordo strada nella foto di copertina. Ho avuto modo poi di recuperare, ma al momento lo persi. Com’è stato partorire il proprio primo album in un momento storico simile?

In realtà quello fu un buon momento anche se solo per la scena underground (anche perchè non esisteva una scena mainstream), a Milano c’era lo “Show off” la serata di Bassi e Rido, e avere un appuntamento fisso era un’occasione di confronto continuo con il pubblico e con gli altri rapper di zona o che arrivavano da fuori.

Inzialmente Venticinque doveva essere un’autoproduzione, ma verso la fine del disco è emersa l’opportunità di lavorare con Vibrarecords e ho deciso di intraprendere quella strada.

L’album è nato nella più totale tranquillità creativa, senza pressioni e senza troppe aspettative, ho realizzato solo a posteriori il vero valore e l’importanza che ha avuto in quel periodo storico.

L’anno dopo, le acque cominciano a schiarirsi, l’industria che fino a quel momento tirava fango sulla scena comincia a preparare il terreno per quella che sarà una nuova era per il rap italiano. In questo clima di ripresa esci fuori con Generazione di Sconvolti, che questa volta non mi perdo: è un album al quale sono molto affezionato, l’ho consumato! Scopro il tuo alter ego, Morgy Morgante, e sono curioso: come nasce e che differenza c’è fra lui ed Ape?

In realtà non c’è una vera differenza, si tratta di un ulteriore nickname che mi rimase attaccato già dai tempi dei Trilamda e della Rinascenza, il trip era quello dei nick da gangster tipo Wu Tang , e a me rimase quello anche se poi Morgante è il protagonista di un’opera letteraria di Luigi Pulci. Ci ho sempre giocato sopra usandolo come ulteriore alter ego, anche in The Leftovers Morgy Morgante risulta come produttore esecutivo del disco.

Da qui in poi, almeno per me, il caos: se negli anni novanta c’era poco ed il rap era di nicchia, dopo quasi un lustro di buio assoluto dal 2005 in poi la situazione si ribalta: troppo. Rap ovunque, rap fatto bene e rap di merda, rap hip hop e rap e basta, rap rap rap. Fortunatamente il mio background mi porta a riconoscere il buono, che rischia però di rimanere soffocato dalla gran mole di roba che esce quotidianamente. Scopro a posteriori l’uscita di Morgy Mo’ e la Gente per bene e di Surplus, in free download. Due lavori diversi, con etichette diverse e usciti con modalità diversa, quasi a voler presentare un Ape diverso. È così?

Con Morgy Mo’ e la gente perbene, un disco poco capito dal pubblico ma che in realtà è il mio preferito, ho voluto estremizzare la mia passione per lo storytelling creando un disco che fosse una storia unica, quella di Morgy Morgante appunto.

Nel produrlo ho avuto carta bianca e il massimo supporto da Vibrarecords. L’idea del disco era quella di chiudere la triogia iniziata con Venticinque e Generazione, dischi che raccontano il mio decennio 20-30 anni.

Con Surplus sono ritornato ad autoprodurmi in tutto e per tutto, è stato un disco senza aspettative particolari, avevo esigenza di scrivere, avevo cose da buttare fuori e le ho raccolte in 10 canzoni. Nel disco ho iniziato a parlare di ciò come osservatore esterno e non più come protagonista in prima persona, ed è lo stesso punto di vista con cui ho scritto The Leftovers .

Tra l’atro Surplus l’ho ripubblicato in digitale a settembre 2017 aggiungendoci i pezzi che ho fatto tra il 2011 e il 2012, lo trovi su Spotify e sui digital.

Ancora qualche anno, nuove collaborazioni che portano anche alla nascita di un lavoro in coppia con Asher Kuno, Gemelli. Il feeling con Kunetti è evidente già dai tuoi lavori precedenti, com’è nato e com’è maturata la voglia di produrre un album insieme? Ci sarà un seguito?

Io e Kuno siamo amici da tanto tempo, ci siamo ritrovati ed abbiamo trasformato un pezzo assieme prima in un ep e poi in un disco, adesso io ho fatto The Leftovers e lui sta portando avanti il progetto Mille Birre con il Supa, non ti so dire se a breve faremo un nuovo album ma ti dico che continuiamo a condividere l’attività di supporto ai progetti attraverso lo store www.kunetti.it/shop ed i live.

Ho letto online su diversi articoli che Gemelli rappresenta il tuo ritorno ufficiale sulla scena… Ma dov’eri andato, se posso permettermi?

Non avevo nulla da dire e quindi non avevo la necessità di espormi. Ero in “esilio” volontario ma comunque vigile!

Arriviamo ad oggi, mi rimetto i miei vestiti attuali e mi guardo attorno. Il panorama è cambiato molto da quando avevo i baggy jeans, si è evoluto ed involuto più volte, fino ad arrivare alla situazione attuale, dove l’hip hop rimane di nicchia nonostante la sovraesposizione del rap. Su questo scenario esce il tuo nuovo album, The Leftovers appunto. A pacchetto chiuso, che cosa dobbiamo aspettarci?

Un album schietto e sincero dove mi racconto, ma soprattutto vi racconto, passando attraverso stati d’animo e situazioni che riguardano tutti, ma di cui spesso non si parla.

Parlo dei trentenni rivolgendomi ai ventenni con la testa di un quarantenne che se ne sente addosso 25 al massimo.

Siccome sono un vizioso, il pacco lo apro: primo estratto, Debutto. In pratica confermi l’evoluzione della scena, il destino del cambiamento, ogni volta un nuovo inizio. Lo intendi come un percorso personale o li vedi come una condizione generale?

Lo vedo come un percorso personale, di fatto è come se stessi ricominciando, le nuove generazioni non mi conoscono o si ricordano vagamente, la mia fan base è spiazzata dal mio approccio ai suoni nuovi, ogni nuovo pezzo che esce è un’incognita, anche se, a distanza di 2 settimane dall’uscita, devo dire che i feedback sono molto positivi. Vanno migliorati i numeri specie in termini di ascolti Spotify e visualizzazioni Youtube ma per quello c’è tempo, o almeno io sono convinto che ce ne sia, anche se ormai il mercato discografico è un fastfood ed un disco non dura un cazzo.

Secondo estratto, Borghesia Suburbana, accompagnato da un video dove critichi la società ed il nostro uniformarsi alla massa. Che ci consigli per tirarcene fuori?

Bisogna avere la capacità di passarci attraverso, senza farsi “contaminare” dai pregiudizi e dalle cattiverie che nascono dai luoghi comuni su cui tuttora si basa la vita, specie nelle province dove tutto sembra già scritto ed ognuno nasce già con un percorso predefinito: trovi un lavoro, poi una ragazza, poi fai un figlio, poi divorzi perchè ne hai pieni i coglioni…

Io, come molti altri, ho costruito la mia vita e la mia famiglia facendo esattamente le cose come volevo, e non come mi dicevano, andando controcorrente per molti, mentre in realtà stavo solo assecondando le mie esigenze di vita. Il consiglio migliore è questo, fare quello che ti senti, non quello che ti dicono di fare.

Non ti chiamo boss, so che preferisci Leader, lo chiarisci nel terzo estratto dove ci accompagni in giro per locali… Dimmi un po’, che sono curioso: io sono dell’80, e ora che scrivo sono le 9 di sera, sono steso sul letto coi pantaloni del pigiama infilati nei calzini…dove la trovi l’energia? Qual è il tuo segreto?!?

Ho la capacità di trovare energia e risorse infinite, specie se mi interessa fare bene una cosa, anagraficamente quest’anno sono 40, ma me ne sento addosso al massimo 25!

Il segreto è l’entusiasmo, dopo tanti anni è ancora quello a muovermi!

Continuo nell’ascolto, si passa da scorci di vita quotidiana come in Alieno a consigli per gli ascoltatori in Chiudi gli occhi, testi con contenuti, che al giorno d’oggi non è così scontato. In generale i brani hanno i colori della cover, toni scuri ma non freddi, un disco serio. Qual è il brano che più ti rappresenta?

Sono molto legato a Vocazione che è dedicata a mia moglie e Chiudi gli occhi che è dedicata a mia figlia.

Erano anni che cercavo un modo per scrivere qualcosa dedicato a loro, a mia moglie che ha sempre avuto la pazienza di seguirmi in tutte le mie evoluzioni professionali ed artistiche, e a mia figlia che sta scoprendo la musica in generale ed il rap, e mi piaceva l’idea di parlarle con un linguaggio per lei facilmente comprensibile.

Ovviamente entrambe diventano poi qualcosa di universale in cui ci si possono ritrovare tutti. Mi fa molto piacere vedere che al momento sono entrambe tra le canzoni più apprezzate del disco.

Sul disco c’è solo la tua voce, mentre alle macchine si alternano molti beatmaker di chiara fama. Perché questa scelta?

Volevo una colonna sonora molto varia che rispecchiasse i miei gusti che mescolano robe classiche con i suoni più contemporanei, ho scelto 9 produttori diversi in modo da avere un assortimento di sonorità che rendessero vario un disco dove sono io a fare da filo conduttore, parlando di me e di voi costruendo il mio mondo di situazioni reali.

Non ci sono featuring al microfono perchè ogni pezzo ha una forte componente molto personale, quasi intima, ed in nessuno ho ritenuto che un featuring potesse essere un vero valore aggiunto.

Per concludere: The Leftovers, ovvero i rimasti, quelli che ci sono ancora quando tutto è passato, fermi sulla loro posizione. Ci vuole coraggio ed una forte motivazione. Cosa ti spinge a non mollare un centimetro?

La consapevolezza che ho ancora molto da dare e molto da dire, e la certezza che, se hai veramente voglia, c’è sempre un buon motivo per tornare a proporti.