E’ da circa 10 anni che frequento il Pitti e credo di esserci entrata con tutti i tipi di “pass”: da quello da studente durante gli anni del Polimoda, a quello di Buyer ai tempi di Open, quello di Espositore con Last Love e quest’anno, grazie all’ufficializzazione della figura del “fashion blogger” (su cui ancora hanno dubbi gli stessi organizzatori), con quello della Stampa.
La muraglia che mi accoglie è quella delle cassette di frutta che ricoprono la parete dell’ex “Welcome to my House” (ovvero la parte street), per questa edizione ribattezzato con il nome poco originale di “My Factory”, un bianco/nero d’impatto; non entro subito perchè è la parte dove solitamente perdo più tempo (almeno lì qualcosa di originale c’è) e cammino oltre.
Gli allestimenti megagalattici dei megabrand si sprecano: super stand di grande impatto… con la tristezza dei capi all’interno, come dire tanta immagine e poca sostanza.
Ma tra uno e l’altro una capanna attira la mia attenzione: Billabong, storico marchio surf, si è posizionato con un mini-stand esterno a “shapare” un longboard mentre passa video di onde&surfisti (i tatuaggi si sprecano, ma almeno c’è qualcosa di interessante da guardare).
Continuo il giro e la cosa che si palesa ai miei occhi è una: cocomeri, banane, pomodori e melanzane… ci sono più banchi di frutta che abiti!!!
Apprezzo molto gli allestimenti ortofrutticoli, fanno un sacco estate…ma il mercato è in zona Novoli, non fortezza!
Purtroppo il mio occhio abituato alle fiere non scorge nulla di eccezionale o particolarmente innovativo, faccio dietro front e mi immergo nel New Beat[s].
Scopro con piacere che lo spazio dedicato alle nuove leve è raddoppiato, non solo i minuscoli loculi al piano inferiore, ma anche il piano superiore è stato aperto.
E subito vengo catturata da un accessorio: papillon di ceramica! Cor Sine Labe Doli è il nome del brand di questi buffi oggetti, un classico rivisitato in chiave moderna, tanto simpatico quanto elegante, indubbiamente un dettaglio stiloso che si fa notare sia sul completo da sera che sulla t-shirt da giorno; i due designer mi spiegano dettagliatamente la collezione, che per questa seconda stagione si è arricchita anche del cravattino: GENIALI!
Salgo al piano di sopra e un pupazzetto di Lady Gaga all’uncinetto mi attira verso uno stand; mi accorgo che insieme a lei ci sono Karl Lagerfield, Miuccia Prada, John Galliano, ecc. Sono le Muamua dolls, “mostri” realizzati a Bali con cotone riciclato e scarti di stoffe. Nato da un esperimento casuale, i pupazzetti sono molto apprezzati, tanto che la linea si compone di portachiavi piccoli, mostri grandi e t-shirt che li ritraggono stampati.
Faccio altri due passi e vengo letteralmente rapita da un giovane che mi comincia a parlare del suo brand, Bustler. Nulla di nuovo, sono t-shirt stampate, ma la filosofia ed il concept che ci stanno dietro (nonchè la parlantina del ragazzo, al quale mi sento in dovere di fare dei pubblici complimenti) sono interessanti: Bustler è l’ espressione delle ossessioni ed illusioni della società dalla quale prende le distanze come condizione necessaria per comprendere ed esprimere se stesso.
E lo fa in modo ironico e dissacrante; contemporaneità e osservazione sociale si mixano perfettamente in queste maglie; ed ancora una volta le t-shirt si dimostrano il capo migliore per esprimere un messaggio e comunicare stati d’animo al resto del mondo. BRAVI!
Finisco il mio giro, mentre cammino noto che non c’è tutta questa grande affluenza; tra un saluto ed una chiacchiera sento operatori del settore che continuano a lamentarsi e a pronunciare quella brutta parola di 5 lettere…
…saranno veramente alla frutta???