Il Porretta Soul Festival spaccia groove incontaminato dal lontano 1988. E’ una specie di best kept secret locale, incastonato com’è nell’Appennino tosco-emiliano.
Ospitone di quest’anno (non me ne vogliano gli altri) è Fred Wesley, trombonista storico di James Brown, accompagnato dalla sua band, i nuovi J.B.s.
Lo confesso, sono nervoso. L’intervista è fissata per le 5 e mezzo, subito dopo il soundcheck ed io, tanto per cambiare, sono già in ritardo. La mia puntualità non è certo leggendaria e la Porrettana è un lungo e stretto serpentone che si snoda lungo le montagne. Traduzione: basta una macchina particolarmente lenta e l’effetto “tappo” è assicurato. Cosa che puntualmente si verifica.
Arrivo che son quasi le sei e di Wesley non c’è traccia. Impreco in lingue ritenute morte. “Tranquillo – mi dice Graziano Uliani, direttore artistico del festival – Wesley sarà qui verso le 8, potrai avere la tua intervista prima dello show.”
Seguono due ore di paranoie e sudori freddi, tra un piadina con porchetta ed il timore di aver perso un’occasione.
Sono le 20 e Wesley ancora non si vede. Io me ne sto appostato in area stampa come un avvoltoio sulla sua preda. Incrocio Dwayne Dolphin, il corpulento bassista di Wesley che col suo sorrisone mentadent mi guarda e mi fa “hey man, what’s up?”
Cazzo bastava davvero poco per rompere il ghiaccio.
Dwayne è il classico personaggio che vorresti nella tua band: è allegro, loquace, trasuda groove da ogni poro. Insomma, è quello che la fa prender bene.
Mi racconta che ormai suona con Fred da una vita. Wesley lo chiamò nei nuovi Jbs dietro suggerimento di un amico. Gli chiedo se fosse intimorito per la prima audizione di fronte ad un mostro della musica. “No, affatto.”
Eccoci, il solito sborone. Stavo già per rimangiarmi quanto detto, ma prima che potessi aggiungere altro mi fa “sai, prima suonavo con Winton Marsalis.”
Oooops!
Ok man, uno a zero per te.
Nel frattempo arrivano gli altri membri della band, e la discussione si allarga. Nessun segno invece di Wesley. Continuo a prendere tempo e scopro che sia Dwayne sia Gary (l’abile suonatore di tromba) sono entrambi senza assicurazione medica. Rifletto su come sia possibile che due musicisti di questa caratura (nero il primo, bianco il secondo, per la cronaca) si ritrovino senza la possibilità di avere aiuto medico nell’America di Obama. E dire che entrambi sono più che entusiasti del nuovo Presidente.
Io manifesto le mie perplessità sull’uomo del cambiamento, loro mi rispondono che “ha ereditato la situazione peggiore possibile, ma ce la farà. Lo giudicheremo dopo 4 anni, magari dopo otto.”
E alla fine arriva lui, la leggenda, che tutto sembra tranne che una leggenda.
Anche Wesley ha un fisico corpulento, non è proprio altissimo, sorride, è cordiale. E’ vestito completamente di nero, come il resto della band, ma con un paio di scarpe da playground argentate. Dwayne mi introduce a Fred presentandomi “as a friend” che vuol fare un’intervista. Wesley non si fa problemi, accetta di buon grado sorseggiando il suo tè. Gli eccessi dei tempi di Brown sono solo un ricordo, anche l’età, ovviamente è un’altra. Si siede accanto a me con la sua tazza di tè: non gli interessa sapere né quando uscirà l’intervista, né dove. E’ una leggenda vivente della musica, eppure, o forse proprio per questo, è lontano anni luce dagli atteggiamenti divistici di tante mezze seghe odierne.
Mi piacerebbe parlare con lei del sampling. Lei assieme a James Brown ed ovviamente ai Jbs è uno degli artisti, se non l’artista, più campionato della storia. Qual è il suo punto di vista in proposito? E’ dell’idea che qualcuno le abbia rubato la musica per poi capitalizzarci sopra oppure crede che l’hip hop, e quindi i campionamenti, abbiano dato nuova linfa alla sua carriera?
Posso dire in tutta onestà che i campionamenti hanno fatto sicuramente comodo alla mia carriera. E’ stata una cosa positiva per il mio percorso professionale e non posso negare che mi abbia permesso di pagarci molte cose.
So che sta registrando un nuovo disco, quando uscirà? Ha già un titolo?
Uscirà fra poco, il titolo al momento è “with a little help from my friend.
Cosa pensa del funk nel 2010?
E’ una musica grandiosa. Esiste musica migliore di questa? Inoltre, io amo chiamarla musica, voi la chiamate funk. Per me è la musica della vita, è musica che respira.
E’ venuto spesso in Italia.
Si, si forse una 30ina di volte. Sono venuto con Brown, a volte con Maceo (Parker, ndr) a volte con la mia band.
Crede che la sua carriera abbia avuto più riconoscimento in America o in Europa?
Più o meno le stesso. Forse un po’ più in Europa.
Parlando della sua discografia, a quali canzoni o dischi è più legato?
Direi “To someone” e “The Payback”.
Parlando invece di musicisti, lei ha avuto modo di conoscerne molti. C’è qualcuno che ricorda con più affetto?
Sicuramente Count Basie. Un uomo gentile, un vero leader. Una gran persona con un piccolo ego.
A proposito di ego.. cosa può dirmi del suo rapporto con James Brown? Le cronache lo descrivono come un despota autoritario.
Lui era il boss ed io il servo. Tutto qua. Ma devo dire che ho imparato moltissimo da lui: James Brown era un innovatore che mi ha insegnato a pensare oltre i limiti della musica.
C’è qualcosa di cui si pente, nella sua vita o nella sua carriera, o che farebbe in modo diverso?
Certo. Rimpiango i sei anni che ho buttato via a sballarmi (“6 years spent to get high” dice letteralmente). A parte quelli, direi che il resto è andato bene.
E’ soddisfatto di Obama come Presidente? Crede che realmente riuscirà a cambiare l’America?
Obama è un politico. Sono contento che un politico nero sia arrivato alla Casa Bianca, ma è pur sempre un politico. Comunque è un gran politico, e quindi ne uscirà vincente.
Perchè ha deciso di chiamare la sua band “I nuovi Jbs”?
Perchè abbiamo il vecchio repertorio dei Jbs ma le facce sono cambiate. E quindi i nuovi Jbs.
La sua carriera musicale si estende per oltre cinquant’anni. Qual è il suo segreto?
Bisogna amarla la musica. E crederci davvero.
Il concerto di Fred Wesley coi nuovi Jbs è stato bello, pulsante, allegro, vissuto. Un party a cielo aperto, nel piccolo ma funzionale palco del Porretta Soul Festival che è posizionato alla stessa altezza del pubblico. Non ci sono barriere quindi, si arriva quasi a toccarsi. I 70 minuti inizialmente previsti per l’esibizione diventano presto un’ora e mezza a testimonianza di quanto il pubblico abbia apprezzato lo show. E’ sull’immortale “Pass the peas” che Porretta decide di abbandonare ogni indugio per lanciarsi in danze scatenate degne del miglior dancefloor. Tra le più apprezzate anche “Breakin bread” il cui ritornello è cantato in coro da band e pubblico.
“We are the funkiest band – dice Wesley – and we play the funkiest tunes.”
Grandissimo Fred, un vero gigante della musica.
Massimo rispetto.
Si ringraziano Graziano Uliani, direttore artistico di Porretta Soul Festival, e Michele Manzotti ed Ernesto de Pascale, amici e colleghi de “Il Popolo del Blues”, per l’intervista.
Le foto sono di Alberto Terrile.