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Macy Gray live: il report!



Il Saschall, un lunedì di autunno.
C’è da subito un’aria familiare, poca gente, i miei amici con gli hot dog in mano, comprati al camioncino di là dalla strada, io con un bicchiere di vino che costa meno dell’obolo per il guardaroba.
Il lunedì non è gran una giornata per uscire la sera, o forse è la migliore di tutte.
Dopo aver affrontato la fatica del primo giorno della settimana, ci si abbandona volentieri a quel che la notte ci offre.
Mi siedo per terra, mi guardo intorno.
Il pubblico è eterogeneo, non c’è una fascia di età preponderante, né una caratterizzazione di “stile”.
In effetti, pensavo, questo genere di musica “acchiappa” il cinquantenne patito di jazz, come il ventenne che segue l’hip-hop, qualche fricchettone e i trentenni pseudo-intellettuali, fra cui io.
Mi piace guardare il palco prima di un concerto, mi piace vedere l’immobilità degli strumenti immaginando il successivo movimento in trasparenza.
Una chitarra, una tastiera, una batteria, un basso e due microfoni.
Semplice.
Un telone fa da sfondo, con l’immagine di una donna nera di profilo, con i capelli afro e delle pallettes sugli occhi.
Ha la bocca aperta e… She’s screaming so… so… so lovely…
La sensualità è nell’energia che un corpo emana, non nel corpo stesso.
Lei entra ondeggiando, forse un po’ sbronza, annunciata dalla corista, sua clack n°1, inizia a cantare e mi cattura subito, scioglie la mia resistenza sono-stanca-ho-fame-voglio-andare-a-casa, ipnotizza me, le altre persone in platea e pure quelli della misericordia, ondeggiamo tutti, le sorridiamo tutti.
Lo show è proprio vecchio stile, abiti da sera (almeno 4 cambi in un’ora e mezza di concerto, scusate l’appunto da femmina), lustrini, boa di piume, gilet di pelliccia, ancora capelli afro (invidia!) occhi di lamè.
Quando parla, Macy, è timida e ha una voce dolcissima che non ti aspetteresti mai, invece quando canta è come se ti sfilasse delicatamente lo stomaco, te lo mettesse davanti agli occhi dicendoti: tappati le orecchie tesoro, è da qui che devi sentire!
Ora. Benché cresciuta a pane e Sarah Vaughan, non sono proprio un’esperta di black music, dovrei chiedere a qualcuno di farmi una lezioncina…
Indubbiamente il termine black è calzante, ma troppo generico… Macy ha l’eleganza di una cantante jazz e la sua voce è calda e profonda, blues…cos’altro? Ha accenti più contemporanei, rap e funky, ma i giri di chitarra sono rock e basso e batteria molleggiano spesso su ritmi reggae.
Ed io, purista dell’indie rock, mai mi sarei aspettata di emozionarmi su una cover di “Creep” dei Radiohead, non stravolta, ma addolcita e sentita, cantata con un mezzo sorriso.
“I try” resta la mia preferita, sarà che condivido in pieno quel “I choke”, ma ci balliamo su e il tempo vola che è una bellezza e siamo già all’ultima canzone. Raccolgo la morbidezza che ha lasciato nell’aria e mi avvio verso casa, pensando che chi dice di un bianco che canta come un nero, non ha proprio stomaco per sentire.

La recensione è a cura di Bloody Strudel.