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Pyongyang



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di Guy Delisle

Nella Corea del Nord c’è una città, si chiama Pyongyang ed è la capitale, un posto che trascende i confini del reale (oppure li segue strettamente, chi lo sa?).

Nel 2003 il fumettista canadese Guy Delisle viene inviato proprio nella Corea del Nord per seguire i lavori di una serie animata per ragazzi, ci rimane due mesi.

Pyongyang è il resoconto di quel periodo: un ironico, stupefatto viaggio in un mondo completamente differente dal nostro occidente capitalista, un mondo assuefatto dal semi-dio Kim Il-Sung, presidente a vita anche dopo la morte, avvenuta nel 1994, e immortalato in un universo dittatoriale nella quale gli abitanti sono completamente sottomessi, coscienti o no.

Un paese dove gli stranieri difficilmente entrano a contatto con gli abitanti del posto, a meno che non si trovino in situazioni particolari, come il nostro Guy, e dunque accompagnati da traduttori, guide etc. Un posto dove i “volontari” che spazzano le strade e innaffiano i prati non mancano mai, dove l’assurda celebrazione (imposta) del presidente è una cosa del tutto naturale.
Un posto dove il regime detta le regole di vita delle persone.

Guy Delisle riesce perfettamente nel suo intento, regalandoci un reportage lucido, diretto e mai scontato. Lo sguardo dell’occidentale in viaggio per lavoro è sostituito da un occhio critico e attento al teatrino che gli si presenta davanti, dubbioso nell’osservare delle persone che, si chiede l’autore, “ci credono davvero a tutte le stronzate che cercano di propinargli?”.

Ed è proprio questo il quesito che sembra aleggiare per tutta l’opera: non tanto il perché della mancanza di diritti o di libertà, quanto il perché di tanta assuefazione.

Le riflessioni dell’autore crescono e maturano nelle situazioni in cui si viene a trovare, come quando è costretto a visitare nel poco tempo libero a lui concesso, i monumenti del regime.

Il tratto libero, leggero e profondamente ironico porta il lettore non solo a capire il linguaggio grottesco dell’opera, ma soprattutto ad accostarsi ad una posizione che non arriva mai al paternalismo, ma anzi, lo elude del tutto utilizzando l’ironia come unica arma, la più pericolosa, in contrapposizione a tutti (ma proprio tutti) i totalitarismi..

..anche quello dell’occidentale Delisle.