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Ciao Mario



«Ho capito il suo gesto. Era stato tagliato fuori ingiustamente dal suo lavoro, anche a guerra finita, e sentiva di non avere più niente da fare qua. La vita non è sempre degna di essere vissuta; se smette di essere vera e dignitosa non ne vale la pena. Il cadavere di mio padre l’ho trovato io. Verso le sei del mattino ho sentito un colpo di rivoltella, mi sono alzato e ho forzato la porta del bagno. Tra l’altro un bagno molto modesto.»

Mario Monicelli parla del suicidio del padre, Tommaso Monicelli, avvenuto nel 1946

Come quando fuori piove, amici miei. Come una rosa nel deserto, sbocciata tra racconti di trincee e mortai, tra storie di logoramento e di grandi guerre lampo. Già, il lampo, potere maestoso che illumina i cieli oscuri. Luce silenziosa e potente a cui segue il boato, intenso e preciso nel frantumare l’attesa. Come una risata. Come la sua vita. Quella di Mario Monicelli, il borghese piccolo piccolo, protagonista attivo del romanzo più popolare di tutti: l’Italia.

Fatta di capricci, di piogge d’estate, di medici e di stregoni, di risate di gioia, di cavalieri misteriosi, di guardie, ma soprattutto di ladri.

Il male oscuro lo voleva portar via. Voleva decidere il finale della pellicola. Ma il signor Monicelli, miei cari fottutissimi amici, ha voluto stupire, ancora una volta. In barba a chi si riempie la bocca di storie e di lezioni sull’esistenza.

E viene quasi un sorriso nel pensare ad un uomo anziano, che fieramente trascina le sue rughe e la sua tremarella, che stoicamente e lucidamente decide di scrivere, da solo, la fine del suo racconto. Un eroe dei nostri tempi, un genio, un artista. Uno dei primi a far sorridere ed uno degli ultimi ad abbandonarci.

Nessuno sia triste oggi. Brindate con uno qualsiasi dei suoi film. È veramente questo il modo migliore per celebrarlo, la maniera più giusta per non dimenticarci del maestro. Andato via in una sera di Novembre, come voleva lui…