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L’etica protestante e lo spirito del capitalismo



Max Weber (1864; 1920) è stato uno dei più significativi economisti e sociologi dell’era moderna.

Nato a Erfurt, in Turingia si appassionerà fin da giovane di filosofi come Marx, Hegel, Nietzsche e Kant, oltre a coltivare una crescente passione per la storia e la teologia.

Nel 1910 partecipa alla fondazione della Società tedesca di sociologia ed inizia la sua attività politica che lo porterà otto anni più tardi ad aderire al Partito socialdemocratico.

In opposizione al Kaiser Guglielmo II, sarà strenuo oppositore dell’antisemitismo, della demagogia politica e dell’antieuropeismo.

Verrà inoltre incaricato di lavorare all’elaborazione della Costituzione della Repubblica di Weimar.

Chiamato ad occupare il ruolo di docente di sociologia all’Università di Monaco, morirà prematuramente due anni più tardi di polmonite.

Questo testo fondamentale del ‘900 è la raccolta di due saggi, pubblicati successivamente insieme sotto il titolo comune de “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”.

Con questo scritto Weber non intende sostenere che un fenomeno economico sia stato direttamente causato da un fenomeno religioso: la mentalità protestante, calvinista in particolare, ha costituito una pre-condizione per la nascita della mentalità capitalistica, un terreno fertile dove il seme del capitalismo è potuto crescere rigoglioso.

Ecco spiegato perché, secondo Weber, i paesi calvinisti come l’Inghilterra di Cromwell, i Paesi Bassi e la Scozia sono arrivati ad adottare un sistema economico di stampo capitalista prima di paesi cattolici come la Spagna, il Portogallo e l’Italia.

Ma perché il protestantesimo avrebbe avuto questo ruolo?

Innanzitutto dobbiamo chiarire che stiamo parlando di uno “spirito capitalista“, come esplicitamente dichiarato nel titolo dell’opera, e non quindi propriamente di quel sistema economico che sorgerà con la prima rivoluzione industriale nella metà del ‘700.

Lo spirito sta a indicare piuttosto quella forma mentis, quella disposizione socio-culturale che naturalmente sfocerà circa due secoli più tardi in un sistema economico vero e proprio. La motivazione è da ricercarsi nella teologia calvinista e nella teoria della predestinazione.

Se non posso confidare nelle buone azioni per la salvezza della mia anima, essendo l’uomo giustificato per i suoi peccati solo attraverso la fede, come posso essere certo che la grazia divina scenderà su di me? Come posso misurare la mia fede?

A prescindere dal fatto che il problema è assai più complesso (visto ad esempio che neanche un cattolico può essere certo della sua salvezza, perché in ultima istanza spetta solo a Dio il giudizio e non all’essere umano che presenta l’elenco delle sue opere buone), Calvino conclude sostenendo che la grazia divina è resa palese dal benessere generato dal lavoro, dalla ricchezza.

Dunque io sono tra gli eletti, sono un predestinato, se attraverso il successo nel mio lavoro posso avere la prova che Dio è dalla mia parte.

Ne consegue, ovviamente, che il povero è fuori dalla grazia di Dio.

Questo porterà il calvinista a tentare di crearsi un capitale, un accumulo di denaro nato dal reinvestimento incessante del profitto.

Ed ecco che la mentalità calvinista apre la strada al capitalismo, dove la soddisfazione, materiale o spirituale che sia, non è data dai piaceri che il guadagno può procurare ma dall’accumulo di capitale, dal profitto in sé.

Pubblicato anche su:www.055news.it