“Il bello della zingarata è proprio questo: la libertà, l’estro, il desiderio… come l’amore. Nasce quando nasce e quando non c’è più è inutile insistere. Non c’è più!”
Firenze bottegaia. Piccolo paese di provincia italiana. Vera, volgare, statica e granitica. Generosa e furente nel destarsi d’improvviso e scoprirsi ancora bella e splendidamente nuova; diversa da se stessa.
Io la amo, tanto. Di quell’amore orgoglioso che un padre può provare per un figlio.
Poco importa, in questo caso, se i ruoli sono invertiti.
Il sentimento si risveglia un martedì, uno qualsiasi; un cinema come grotta sacra per una celebrazione quasi divina.
Le stradine del centro rigurgitano gente in continuazione, gente felice d’esser presente.
L’Odeon è pieno, si confonde con la carne e brucia, sembra vivo. E’ come un fiume in piena: spinge, grida e freme.
D’improvviso una “supercazzola come se fosse antani” ricorda a qualcuno il motivo del suo pellegrinaggio qui.
Amici miei, amici nostri, simboli della città, come il David o la Cupola del Brunelleschi. Motivo d’orgoglio che, nel bene o nel male, ha segnato la nostra fiorentinità.
Un martedì come tanti altri, le persone si ritrovano qui, per ricordarsi l’un l’altro quanto lo spirito goliardico e la voglia di ridere siano ancora la caratteristica principale degli abitanti di questa stanca città museo.
Noi c’eravamo, come Gold e come pezzi di sangue e muscoli dalla “C” aspiraha.
C’erano anche i circensi, le ragazze Pon Pon, la banda, gli Hare Krishna, Cesare Prandelli, Carlo Monni, Alice Mascetti, il figlio rompicoglioni del Perozzi, il fornaio cornuto e, soprattutto, c’era Firenze. Presente e attenta come non mai.
Un funerale così, amici miei, un colpo glielo farà prendere sul serio.
“Ho già sulle spalle un bel fardello di cose passate. E quelle future? Che sia per questo, per non sentire il peso di tutto questo, che continuo a non prender nulla sul serio?”.