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MUSIC

Joan as policewoman



L’Odeon è davvero un gran bel posto per vedere un concerto.

Da qualche anno il portare in luoghi ufficiali, legati alla cultura classica, un certo tipo di musica, dall’indie rock all’elettronica, è diventato una moda che stranamente apprezzo.
Il motivo è che lo scopo principale di un concerto è l’ascolto e nella confusione di una dance-hall o di un locale questo viene spesso meno.

Il concerto è sold-out da giorni, ma riusciamo tutti a sederci in comode poltroncine aspettando l’ingresso di Joan e della sua band.
Lei entra inguainata in una tutina di pelle, seguita dai due musicisti che l’accompagnano, uno alla batteria, l’altro alle tastiere; alla chitarra, alla seconda tastiera ed alla voce ci pensa lei.

Poche chiacchere e cominciano a suonare. Mi aspettavo un’energia pazzesca, invadente, strabiliante, un detonatore che ti fa sbarrare gli occhi, mi aspettavo un’apnea di un’ora e mezza e invece la signora ha una voce avvolgente e le melodie sono una bolla morbida che abbraccia il pubblico e lo culla.
Trucco interessante, perché il risultato è uno stato di abbandono che predispone alla completa attenzione.

Mi affascina sempre la concentrazione con cui un musicista suona le sue canzoni, canta le sue parole, lei lo fa sempre rivolgendosi al pubblico, consapevole del fatto che ci sta offrendo qualcosa di lei, con la premura di un’ospite eccellente.
La sua musica racconta la sua storia: un’inflessione country, unita all’intimità dei testi, la rende diretta, digeribile e svela sua anima, il jazz e il blues connotano la raffinatezza, un’origine ricercata e profonda, il rock, con un tocco contemporaneo per nulla conformista, è la nota caratteriale fenotipica.

Intelligentemente ci avverte che non farà la pantomima di uscire per poi essere richiamata sul palco, congeda i suoi musicisti e si prende l’onere e l’onore di cantarci l’ultima canzone da sola.

Quando esce ci alziamo in piedi per applaudire e rimaniamo lì così, ostinatamente a battere le mani, per un tempo che ad un certo punto è chiaramente troppo, probabilmente subentra la sfida di farla tornare.
I musicisti rientrano, si erano già cambiati di abito, lei è stupita e impreparata, si accordano su quale pezzo suonare e alla fine ci saluta con una bellissima cover di “Woman” di John Lennon, cantata da donna, intenerita dalla semplicità del sentimento maschile.

Capisco perché uno come Jeff Buckley si è innamorato di lei, non capisco però perché ad una come lei è capitato lui, ma si dice che la vita non ti sottopone a prove che non puoi superare e lei, si vede, è una che le difficoltà le affronta e ne esce salva, anche se le sue sopracciglia conservano il segno delle battaglie dell’anima e la sua voce, altrimenti, non sarebbe così blues.