Da qualche tempo a questa parte Firenze ha scoperto la street art e in qualche modo l’ha anche accettata.
Il merito più grande di questo passo in avanti in una città museo artisticamente sembrava ferma al Rinascimento lo si deve all’artista franco-fiorentino Clet Abraham che a partire dalla scorsa estate ha iniziato a popolare i cartelli stradali fiorentini con simpatici personaggi stilizzati per poi essere definitivamente consacrato dopo la rimozione della sua istallazione non autorizzata della scultura dell’uomo comune su uno sperone di Ponte alle Grazie.
Ho avuto il piacere di conoscerlo ed intervistarlo in tempi non sospetti e ritengo che il successo da lui ottenuto sia più che meritato, ma spontaneamente alcune domande sorgono, specialmente notando che il rumore creato intorno a lui è nato più dalla rimozione della sua opera piuttosto che dalla sua installazione.
Perché l’arte di Clet è accettata, mentre i graffiti o le altre forme di street art suscitano solo polemiche?
In fin dei conti il concetto di questo tipo di arte è molto semplice: un artista non ha uno spazio quindi se lo prende.
Cosa c’è nel lavoro di Clet che raccoglie il consenso del pubblico che gli altri artisti non riescono a cogliere?
In fin dei conti un graffito o uno stencil su un muro, piuttosto che su un cartello stradale, si “impossessano” di uno spazio non autorizzato nello stesso modo in cui l’uomo comune di Clet “conquista” il rostro di ponte alle Grazie.
Perché gridare allo scandalo quando viene rimossa l’opera di Clet ed esultare di gioia quando viene cancellato un’omino di Andrè (ce n’erano alcuni in via Palazzuolo nel 2006)?
Alla fine la risposta è molto semplice: è tutta una questione di linguaggio.
L’artista bretone è riuscito ad ottenere l’approvazione del difficilissimo pubblico fiorentino grazie all’utilizzo dello stesso tipo di “idioma” ormai metabolizzato dei cartelli stradali.
Il suo uomo comune che prova a liberarsi dal divieto è un personaggio che già apparteneva al “mondo” dei cartelli stradali e quando è diventato tridimensionale e ha fatto il suo passo in avanti nel vuoto (prendendosi dei rischi) era già entrato nell’immaginario collettivo fiorentino.
Forse allora tutte le incomprensioni tra il vecchio e il nuovo, tra la generazione precedente e la net-generation, tra il digitale e l’analogico sono dovute ad una lacuna linguistica?
Ad ogni modo per chi è interessato a conoscere meglio il lavoro e il pensiero di Clet Abraham stasera, giovedì 14 aprile 2011, al Logic in via dei Macci 79r ci sarà la mostra delle sue opere e la presentazione del film “Bridge” di Omid Zarei, regista iraniano che racconta la storia dell’uomo comune di Ponte alle Grazie.