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L’hip hop dentro la società – Gold x Hemp Act



Yo, ritorna la rubrica Doppia H, ma attenzione: dalla prossima settimana in poi il giorno prescelto sarà la domenica. Pubblicare gli articoli con le metà dei neuroni sarà un’avventura meravigliosa. Inoltre, è doveroso annunciare con grande soddisfazione l’inizio della collaborazione tra Gold ed Hemp Act, concretizzata per adesso nella produzione di una nuova linea di cannabis legale. La strain è una Sour tangerine di prima qualità, customizzata per l’occasione sul progetto di dj Fastcut: ecco a voi la Sour poets!

Ci ritorneremo nel corso dell’articolo perché sarà funzionale al suo svolgimento. Detto ciò, introduzione.

Quello di oggi è un pezzo inconsueto, in quanto non parlerà di nessuna produzione musicale, concerto o personaggi specifici. Il titolo della rubrica d’altronde si riferisce all’hip hop, quindi posso supercazzolare su ogni cosa che lo riguardi senza ritrovarmi fuori tema. A dire il vero, inizialmente avrei voluto scrivere un articolo su Entropia 3, l’ultimo lavoro di Egreen, oppure su Shibumi, recente disco di Lucci e Ford, tuttavia una serie di recenti accadimenti mi ha fatto virare su un argomento più ampio: il fine sociale dell’hip hop. Devo aggiungere, prima di cominciare, che finora non mi ero mai posto dubbi sulla sua esistenza, anzi lo vedevo come un elemento certamente caratterizzante di questa cultura. Degli scambi che ho avuto recentemente, però, con alcuni baroni social dell’hip hop mi hanno offerto la possibilità di ripensarci un po’ su. Ho, quindi, deciso di prendere come spunto tutto questo per darvi il mio parere sul ruolo dell’hip hop nella società, invece di cedere alla tentazione di scrivere una pagina sul concerto del 1 maggio, che pure era allettante. Mi ha salvato il fatto che non amo parlare di temi inflazionati, ciò non toglie che dovrò necessariamente citarlo, ahimè.

Dicevo, dunque, che in un rapido scambio con più persone ho ricevuto come stilettate al ventre due risposte che mi hanno sorpreso e confuso. La prima era: “Smettiamola di dire che l’hip hop è una cultura”; la seconda: “L’hip hop non ha un fine sociale”.

Anche solo nel riportarle mi suda la fronte. Avrei proprio voglia di smettere di scrivere in questo momento in effetti, ma se lo faccio Omar detto Gold mi cazzia. Permettetemi almeno di essere diretto, non fatemi collezionare prove a sostegno della mia tesi, datele voi commentando o fornite elementi contrari contestandomi. Secondo la mia opinione (che di per sé è insignificante, ma diventa solenne dal momento che piazzo il logo Gold accanto) esistono determinate persone che hanno buttato via anni della propria vita a parlare di tutto questo senza capirci una virgola. Parlo di gente che trova il coraggio di affermare frasi del calibro di quelle citate sopra. Parliamoci chiaro, non è un problema. Basta che arrivi il giorno in cui vi guarderete allo specchio e vi direte “meglio se inizio ad ascoltare qualcos’altro”. D’altronde, con queste parole, che ci stiamo a fare? Che ci sto a fare io che potrei mettermi un vinile e fumarmi un joint di Sour Poets (e ganja vera insieme), invece di scrivere articoli, fare interviste e ed organizzare eventi? Ma soprattutto che ci stanno a fare gli artisti veri?
Se volete la mia risposta, l’hip hop è una delle espressioni culturali più importanti dalla fine degli anni settanta, sia per impatto sociale, sia per influenza e contaminazione del panorama musicale. L’unica da quel momento ad oggi a non essere mai risultato un bagliore passeggero o poco duraturo, un esempio? Il punk non esiste più, la disco idem. Stiamo parlando di quattro arti diverse unite da un unico filo conduttore composto da protesta e condivisione, quelli che per me sono i due pilastri fondamentali della filosofia celata sotto i beats, le strofe, i graffiti e il break. Per chi sta per dire che il tutto è nato da una festa per far ballare una sala piena di niggaz, ricordando la famosa storia di Kool Herc, vi ricordo due piccoli particolari: quella festa si teneva nel quartiere del Bronx di New York, senza dubbio il più critico dell’occidente civilizzato, il luogo con la maggior densità di incendi nel mondo in quell’anno fatale e diviso in bande rivali che praticavano una giornaliera guerra fratricida; inoltre la doppia h italiana degli anni novanta (quello che c’era prima era troppo isolato) nasce da zone come l’Isola nel cantiere di Bologna e con pezzi come Stop al panico, Sfida il buio, brani con un’impronta fortemente sociale. Dire che il rap (in quanto più diffusa disciplina dell’hip hop) è solo un genere musicale trasmette un messaggio similissimo a quello espresso dallo sfera di turno che si presenta come rapper il primo maggio inneggiando Gucci e codeina eccetera eccetera, uno svilimento della sua storia e identità. Ancora più radioattiva, poi, è l’idea che giustifica tutto in virtù di quel malato, psicopatico presupposto che tanto il fine del rapper è passare dal fare l’operaio, il dipendente, il nullafacente al “fare i soldi con la propria musica”. Secondo queste posizioni si passa sopra ogni testo scritto male, ogni messaggio offensivo all’intelligenza e a principi diversi dall’autocelebrazione più nichilista, se sfondi allora spacchi…
Ma che li comprate a fare i dischi degli anni novanta? Ah giusto, li rivendete. Dice bene Kento, nel suo ultimo pezzo Mia (Ode alla cultura hip hop), nel cantare:

“Tolti i gioielli e vestiti, ti ho vista nuda. Bella, sei più bella di quando ti ho conosciuta … mia cultura fai paura a chi ti vuole mercenaria”

Volete un esempio stupido ma attuale, invece, di come si può influire sulla società con questa cultura? Sarebbe facile citare qualche testo, ma voglio mostrarvi qualcosa di solido e in realtà l’ho già fatto: è proprio la bustina erba al cbd che vedete qui sopra. In questo periodo, alcuni dei protagonisti della scena (soprattuto romana) stanno collaborando con aziende come Hemp Act (ma lei è la migliore dal momento che c’è il logo Gold accanto) per brandizzare una varietà a proprio nome. Propaganda, Fastcut, i Colle der Fomento
Nonostante si sia riusciti anche a far protesta su questo, io lo trovo un evento assolutamente cruciale. In un paese come il nostro, pieno di tabù opprimenti che ci tengono dieci anni indietro dal resto del mondo in quanto a progresso, la cannabis legale è il primo segno di un accostamento della popolazione ad una sostanza demonizzata fino a pochi mesi fa. Ragazzi sono andato a Roma e ho potuto davvero fumarmi uno spliff in piazza San Giovanni accanto a una volante dei Carabinieri! La gente che pensa che una canna ti porti all’eroina può vedere, abituarsi per gradi a questo cambiamento sociale. O così o niente, almeno che non speriamo che i gruppi Facebook ci aiutino a farla legalizzare. E’ per questo che appena ne ho avuto l’occasione, ho iniziato subito una collaborazione con Hemp Act: potevo scorgere un modo di propiziare a modo mio l’avvenire di un evento storico usando il rap. Anche solo per questo dovreste comprare un po’ di erba legale ogni tanto, come una devoluzione benefica (poi è veramente buona, si vede anche dall’aspetto). E se per caso tra poco tempo ci sarà una legge sul tema e la visione della nazione sul tema muterà, io potrò dire di averci messo un dito. Sapete perché? Perché non ho mai pensato che l’hip hop fosse un cinico prodotto per arrampicatori sociali. Come tutte le cose che sono entrate nel tessuto sociale e col tempo vi ci sono consolidate, anche questo nostro mondo di palazzi, strade, musica e colore può essere usato per migliore la realtà. In ogni caso, la realtà stessa non è forse palazzi, strade, musica e colore?

Vi lascio con una citazione del Jedi Master Danno in Bk confidential, nella speranza che ricordi cosa significa rappresentare tutto questo

“Questa musica è rivoluzione, apre la mente alle persone, porta la luce dove non c’è il sole, porta il calore, cambia la tua prospettiva, prende la tua vita e te la rende viva. E’ solo amore per la gente che lotta su questo pianeta, dall’ultimo guerriero fino all’ultimo poeta. E’ doppia h e rappo quello che ho in testa, sul mix è Malcom X con l’ak alla finestra”

State collegati: domenica uscirà l’intervista a dj Fastcut, che inaugurerà il progetto A joint with, una saga di chiacchierate con rapper e dj al lume di uno spliff. Non vi aspettate domande e risposte puntuali, saremo cotti!