Sono un… aspè, come potrei definirmi? Giornalista no che ci vuole l’iscrizione, scrittore no, articolettista fa ride’… ok, ce l’ho. Sono un bimbo felice, in culo ai 38 anni che dovrei avere.
Sono un bimbo felice perché, inaspettatamente, ho fatto un’intervista lampo a Lucci…(non sento gli applausi, più forte, grazie!).
Accade che uno qualunque, nello specifico io, una mattina si alza e decide di cominciare a scrivere online di Hip Hop e comincia a inviare richieste per intervistare gli artisti che segue, nomi vecchi e nomi nuovi, persone che con la loro arte gli hanno trasmesso qualcosa. Qualcuno lo contatta direttamente, per altri deve cercare l’ufficio stampa o agganci vari, e c’è chi risponde subito, chi risponde dopo un po’ e chi invece non risponde affatto.
Ho imparato però che in quest’ultimo caso non si tratta mai di un rifiuto, almeno per quanto riguarda gli artisti che cerco di contattare: spesso le mie richieste si mescolano alle numerose richieste di contatto che gli artisti in questione ricevono, nei casi in cui il loro nome sia diventato anche solo un po’ più conosciuto.
Accade anche che, per uno strano gioco del destino, a richieste cadute nel nulla seguano interviste inaspettate nate in seguito a strani allineamenti astrali (per chi ci crede) o per contatti diretti con la Homerun Promotion (per chi è più concreto), che nel nostro caso ha reso possibile questo approfondimento su Dark Side of Shibumi. Perché sì, Raffaè, se scavi negli spam trovi sicuramente qualche mia mail!
È ancora in rotazione nelle mie cuffie “Shibumi”, quando improvvisamente mi trovo ad ascoltare un nuovo lavoro, “Dark side of Shibumi”. Era tutto programmato oppure è un progetto partito dopo?
È un progetto nato circa un mese dopo l’uscita di Shibumi. Sia io che Ford eravamo ancora fomentati e contenti del lavoro fatto, ci siamo guardati e abbiamo detto “dai, rimettiamoci subito al lavoro”.
Ci accogli in piedi sulle macerie del nostro tempo, in mezzo a chi con quelle macerie ci convive e a chi invece c’è rimasto sotto. In questo brano, “Macerie prime” per l’appunto, c’è sia voglia di riscatto che rassegnazione. Come se ne esce?
Non se ne esce. Il senso è quello di adattarsi ai tempi. I tempi purtroppo sono questi, ci tocca viverli al meglio sfruttandone anche i lati negativi a nostro favore, ci si adatta.
È quello che cerco di fare io nella vita, trasformare la precarietà in un vantaggio, in libertà in un certo senso.
“Macerie prime” è anche il titolo degli ultimi due libri di Zerocalcare, che da molti sono stati definiti il suo lavoro più evoluto e maturo (definizione che a me sta sul cazzo di per sé, perché è sempre usata per fare un complimento quando un complimento non è, ma andiamo avanti). È una coincidenza?
No no, ho scritto il pezzo dopo averli letti e l’ho chiamato cosi dopo aver avuto il permesso di Michele (Zerocalcare) con cui condivido età mentale e anagrafica, ma soprattutto… l’ansia.
“Io & te”, secondo brano, sonorità forse più moderne rispetto al precedente anche se ci muoviamo sempre nel buio del Lato Oscuro. Qui ci trovo una evoluzione stilistica rispetto ai tuoi lavori precedenti, o quantomeno una sperimentazione maggiore. Che suono ti ha influenzato di più negli ultimi tempi? Cosa ascolti?
Guarda, quel pezzo ha anche una versione classica senza autotune… è stato un gioco in studio con Sine. Ci abbiamo messo l’autotune, l’ho ascoltata e cazzo, mi è piaciuta. Quindi ho detto “dai, teniamolo”. Non è frutto di un grande ragionamento.
Io al momento ascolto un po’ di tutto, ho anche l’abitudine di andarmi a sentire ogni giorno le nuove uscite su Spotify, è importante sapere cosa ti succede intorno. Mi piace sapere di aver scelto una via, un suono con consapevolezza e per piacere e non per chiusura mentale o ignoranza.
Il “te” del brano, a me fa pensare allo stesso soggetto a cui ti riferisci in “Khan”, sul primo “Shibumi”, del quale credo questo brano sia l’evoluzione. Ho cannato o c’ho preso? A chi si riferisce?
Eh certo… si riferisce alla persona con cui condivido la vita da 14 anni e che mi salva la vita tutti i giorni.
In “Unabomber” tu ed Hube mandate a casa 3/4 dei rapper di nuova generazione (il rimamente 1/4 era già chiuso in cameretta). “Il problema non è che fai trap, il problema è che zio sei na’ pippa” è un manifesto: in molti nell’ambiente hip hop odiano questo tipo di musica, altri la considerano l’evoluzione naturale del genere. Mi chiedo, anzi ti chiedo: secondo te ci sono troppe pippe che fanno trap o la trap è un genere da pippe?
Discorso complicato. Innanzitutto qui in Italia chiamiamo trap un po’ tutto quello che non è boombap, ma questa è una conseguenza del fatto che sono 30 anni che non abbiamo capito un cazzo di hip hop. Per comodità qui la trap la chiamerò roba nuova e la mia roba vecchia…
Il problema come al solito sta nella velocità con cui si fanno le cose, nell’esperienza che si ha nel farle.
Io a 20 anni ero uno scrauso e ancora adesso mi sforzo di migliorarmi e di imparare. E faccio ancora un po’ cacare. ma almeno le basi le ho acquisite: andare a tempo, dosare la giusta quantità di sillabe per non far suonare strano il pezzo ecc ecc
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Il grosso, enorme problema di questa roba nuova è che spesso questi ragazzi non hanno mai fatto altro. Sono tecnicamente poco validi. Magari il gusto c’è, la freschezza c’è, l’idea geniale pure, ma non è supportata da bravura. E comunque qui si parla di musica. Io sono davvero contento se fai disco d’oro e fai una canzone che mi piace, ma se poi vengo a vederti live e sei imbarazzante casca tutto. ‘Sti ragazzi sono vittime purtroppo dei tempi superveloci di fruizione della musica. Esce un disco e una settimana dopo è vecchio.
Per chi ha seguito il tuo percorso artistico e conosce un minimo del tuo vissuto, non è una sorpresa il tuo curriculum lavorativo che ci descrivi nel testo. Ma cosa sogni di fare da grande?
Non lo so, davvero. Ricollegandomi a quel discorso di prima sulla precarietà, lo spiego meglio. Nella vita mi sono ritrovato a fare cose varie, le più disparate. Ho capito cosa so fare e cosa no, ho maturato la coscienza che il pane in tavola non mi mancherà mai, che era l’unica cosa che mi spaventava del futuro. Non ho problemi a fare nulla, sto a mio agio a sturare pozzetti della fognatura, a servire ai tavoli o a chiacchierare d’arte con ricchi 70enni.
L’unica cosa che so è che mi rompo il cazzo subito e devo cambiare. Ogni tot anni devo fare un’altra cosa, sennò impazzisco: per questo sarò sempre un precario. Non mi va di scegliere una cosa, voglio fare tutto.
“Lontano da qua”, “che in questo posto io de figli ‘n ce ne cresco manco mezzo“. Siamo nel mezzo delle macerie del primo brano, la realtà cinica e fredda si mischia ai social dove ci si commuove coi gattini. Ma dove possiamo rifugiarci?
Quest’anno si sono sposati due miei cari amici. Il padre di uno di loro ha fatto un discorso che mi ha fatto molto pensare. Ci ha detto che siamo un gruppo di amici molto unito. Ci ha augurato di essere sempre una COMUNITA’. Ecco, in tempi così aridi, così freddi, quello che possiamo fare è ricostruire l’umanità occupandoci di quelli che amiamo. Di fare comunità, di esserci sempre per quelli che abbiamo eletto a famiglia allargata, sempre attenti, presenti. Sembra sdolcinato ma l’amore è la chiave.
E, per restare in tema, esiste Lucci senza Roma?
Sì sì, certo. Se non fosse per alcune cose che mi trattengono qui me ne sarei già andato.
“Dark Side”, col feat di DJ Craim, è un pezzo che, se fossimo negli anni ‘90, sceglierei per aprire un mixtape, di quelli che t’infottano proprio. Mi dà l’idea che ti sia divertito a scriverlo, giocando col testo a prendere per il culo tutti quanti. Sbaglio?
Tantissimo. È il classico pezzo rap col nemico immaginario, caposaldo del rap (hahahhahaha).
“Dark Side of Shibumi” chiude la saga “Shibumi” o dobbiamo aspettarci un nuovo capitolo, magari un prequel?
No, questo capitolo chiude la faccenda.
Adesso ho voglia di provare a spingermi un altro pochino più in là… vedremo come e dove.