Benvenuti nel secondo appuntamento di Behind The Writer, la nostra finestra sul mondo dei graffiti.
Non è facile scrivere di un artista che di interviste ne ha rilasciate tante, basta una rapida ricerca su google per capire di cosa sto parlando, nonostante questo sono fiero di potervi parlare di un lato di Emis Killa a molti sconosciuto e da pochi (praticamente nessuno) magazine trattato: la sua esperienza con i graffiti.
Sono rimasto piacevolmente colpito dalle risposte di Emiliano, ho trovato nelle sue parole la spensieratezza dell’adolescenza e la passione di un uomo che a distanza di anni continua ad amare ciò che l’ha portato dov’è adesso.
Come ti sei avvicinato al mondo dei graffiti? ”Emis” è stata la tua prima tag?
Mi avvicinai ai graffiti tramite la prima cricca di Desio. Sotto quei portici oltre che ai freestyler c’erano i breaker, i dj e ovviamente i writer. Avevo già partecipato a parecchie jam, spesso proprio incentrate sui graffiti, ma ero più interessato al rap e quindi sfruttavo quelle occasioni per farmi conoscere come MC. La svolta arrivò quando una sera, dopo un contest di freestyle, due amici mi chiesero di fare il palo mentre si sparavano un throw up su una statale dalle parti di Meda. Il bombing in sé ancora non lo capivo, la mia visione dei graffiti era quella dell’outsider che concepisce solo le pezzate con 30 colori, i riflessi, il 3D e via dicendo. Fatto sta che il giorno dopo andai in una ferramenta (classico errore da principiante) e comprai degli spray orrendi con cui imbrattai tutti i muri del mio paese. Inizialmente mi taggavo “Emc” . Poi “Smog”. Usai anche “Emis” i primi tempi, ma in seguito a dei casini con la polizia per via di alcune tag fui costretto a pensarne un altro. Poi ancora “Rudo”, ma essendoci il buon Rud in Brianza, veterano dei graffiti, fui costretto a cambiare nome. Per un po’ mi firmai “Sepo” con cui firmai la prima hall e il primo pannello, e “Morfe” con cui feci pratica per quanto riguarda il bombing. Infine tornai ad “Emis”, e non lo cambiai più.
Chi ha influenzato inizialmente le tue lettere? Hai avuto qualche writer di riferimento in Brianza? Chi sono i tuoi preferiti in Italia?
Inizialmente le influenze erano tutto ciò che vedevo sui muri, copiavo qua e là cercando di fare del mio meglio. Le prime murate e i primi bombing erano sempre in compagnia di alcuni amici che ai tempi formavano la TS crew. Loro si ispiravano ai tedeschi, outlines molto larghe, lettere quadratone ecc. Per quanto riguarda le tag invece mi ispiravo a Bean. Il primo vero “maestro” fu Etna, che aveva imparato dai BN, che a loro volta si ispiravano ai newyorkesi. Il concetto di “stick” fu quello che rivoluzionò il mio modo di bozzare, di mantenere l’equilibrio della lettera pur sconvolgendola. Ho sempre dato importanza al lettering, e ho sempre favorito chi incentra il pezzo su questo concetto, rispetto a chi crea un bellissimo colpo d’occhio grazie alla colorazione, o a chi dipinge un wildstyle pieno di frecce e loop ma con delle lettere di merda. Per quanto riguarda i pezzi su strada illegale mi sono sempre piaciuti i punkacci classici milanesi, da Dumbo e Panda fino a Humen E Siko. Ad ogni modo i miei riferimenti preferiti, in Italia, sono sempre Bean e Mind, con cui ho condiviso anche qualche hall imparando moltissimo.
Qual è il ricordo più bello che hai della tua esperienza da writer?
L’episodio che più ricordo con piacere è la mia esperienza a Palermo, seguita dal mio ingresso in UFS crew. Ai tempi io e tutti i writer avevamo solo il fotolog per condividere i propri lavori, così conobbi Sabort, questo writer di PA che mi invitò a condividere con loro qualche pezzata. Dipingemmo una ventina di pannelli in due settimane, io e questi ragazzi che neanche conoscevo ma con cui ho condiviso ogni secondo della mia permanenza in Sicilia, vivendo con tutti loro in questo appartamento. Eravamo io, Sabort, Zern, Bleh, Cacca, e qualche volta anche qualcuno dei CFK. Con noi c’era anche Bang, di Salerno. Abbiamo davvero spaccato tutto e passato anche momenti di terrore nei depositi, in particolare una sera a Brancaccio scappando da una motrice. Da lì è nato un bellissimo legame che si è protratto nel tempo, in particolare con Sabort, che venne al nord da me per dipingere in Svizzera e in Lombardia sulle FN. In Svizzera ci arrestarono anche a dirla tutta. Ciò nonostante il giorno dopo eravamo di nuovo a dipingere, era un periodo magico della nostra vita, completamente spensierato e privo di inibizioni.
Che cosa ti incuriosiva di più nei graffiti? Cosa ti spingeva a farlo?
Dei graffiti mi piaceva la competizione e il fatto che fosse una forma d’arte completamente autodidattica. Il fatto che in una notte potessi scrivere il mio nome per km e il giorno dopo tutti gli altri, writer e non, lo avrebbero visto, mi faceva impazzire. Non dico che ero spinto solo da questo, perché di base c’è la passione per il disegno o comunque l’arte, ma mentirei se dicessi che l’illegalità e la competizione non erano due componenti fondamentali.
Come vivi oggi questa tua passione? Ti capita mai di voler uscire per dipingere come una volta?
Oggi vivo il writing illegale con un po’ di distacco, per più motivi. In primis perché essendo diventato un personaggio pubblico non posso più permettermi di andarmene in giro con la bomboletta a fare le tag, perché se mi beccassero ne verrebbe fuori uno scandalo. In secondo luogo, oggi che ho quasi trent’anni, un po’ ho cambiato punto di vista riguardo certe sfumature del writing. Intendo dire che sul muro di una villetta privata non ci scriverei più. Così come non scriverei più sul furgone di un povero disgraziato. Insomma, mi metto nei panni di uno che lavora per pagarsi il mutuo e a cui non frega un cazzo dei nostri giochi da graffittari, non è giusto che si trovi il nome di uno sconosciuto scritto a bomboletta sul muro di casa sua. Continuo invece a sostenere e supportare i graffiti sui muri della città, sui treni, lungo le ferrovie, e via dicendo. Onestamente qualche volta vengo preso dalla voglia di uscire e dipingere, e a essere onesto qualche volta l’ho anche fatto. Un paio di anni fa ho chiamato il buon Pela e siamo andati a farci dei lungolinea in ferrovia, e qualche bombing in giro per la Brianza. Certe fisse non muoiono mai.
Ringrazio Emis per essere stato da subito disponibile e cordiale, per aver condiviso con noi questo suo lato artistico da pochi conosciuto.
Ringrazio anche Luca Ghiaccio per aver resto possibile tutto questo.