Io a casa ho sempre lavorato male.
Le distrazioni.
L’eterno braccio di ferro con internet.
Poi il disordine mi dà fastidio e l’ordine richiede tempo.
Per non parlare dell’isolamento.
Dopo un paio di giorni la mia voce mi suona strana, dopo 4 di lavoro intenso ad un progetto diventa strana. Perdo parti del discorso, lo continuo nella mia testa.
Fin dai tempi dell’università anche studiare a casa aveva delle modalità e delle condizioni particolarmente restrittive. Lo facevo quando dovevo studiare con qualcuno, preparare progetti e quindi mi dovevo confrontare, parlare, scannare o piangere. In rigoroso ordine temporale.
Altrimenti andavo in biblioteca, che aveva lo svantaggio di profumare di umanità, ma almeno aumentava la mia produttività del 1000%.
E oggi il freelance, o libero professionista -ma freelance fa tutto un altro effetto- è un po’ lo studente dei lavoratori. A meno che non lavori in uno studio, ha il vantaggio/svantaggio di essere un apolide delle sedi di lavoro. E deve ricorrere a quegli espedienti che lo rendono più produttivo.
Inoltre l’ambiente in cui si lavora, migliora o peggiora l’umore e quindi la performance lavorativa.
E i legami? Quei fruttuosi scambi di idee con altre persone che possono innescare delle vere e proprie epifanie?
E sulla scia di Marie Kondo, se eliminiamo tutto quello che non ci provoca gioia possiamo davvero viaggiare molto leggeri.
Quindi? La risposta è venuta da sé e si è diffusa ufficialmente dal 2005 da San Francisco. Sempre da San Francisco… ci deve essere qualcosa nell’acqua di quella città.
Il co-working! TA DAAA.
Ma per una volta l’Italia non è rimasta poi così indietro, a dimostrare che davvero l’uomo è un animale sociale. In Italia le prime realtà apparivano intorno al 2008 a Milano con Cowo, e a Firenze nel 2011 con Multiverso.
Si narra – tuttavia – che quando i fondatori di Multiverso http://firenze.multiverso.biz/ a Firenze avessero chiesto di accedere agli incentivi attraverso una nota agenzia per “l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa” per aprire il primo degli spazi di co-working -ad oggi ne contano 8 tra Firenze, Arezzo, Lucca, Foligno e ovviamente Milano- gli abbiano risposto che se non avessero fornito anche i computer non avrebbe MAI funzionato. Tipo un internet point. Un caffè. Robe così… Pfui.
Poi col tempo è arrivato il Collab del The Student Hotel. Fotonico. Ma la sensazione della condivisione della biblioteca è sempre quella.
I vantaggi del co-working sono sicuramente legati allo status di un luogo fisico molto interessante e stimolante, dalla possibilità di risparmiare sui costi di gestione di uno studio classico, senza dover rinunciare alla possibilità di avere uno spazio più grande di aggregazione e confronto, così come quello di una sala riunione od una sala per dei meet up.
Sì, perché fondamentalmente il co-working non è la compresenza fisica in uno spazio figo. In linea temporale sono proprio le relazioni e lo scambio di conoscenze e competenze che ne derivano che danno vita al co-working,
“è l’impegno nella cura della community che abita lo spazio e la promozione delle professionalità che essa esprime”
Sempre citando Multiverso.
Ma capisco che vi sto confondendo parlando di linee temporali e di Multiverso, qualcuno si starà già aspettando uno spoiler su Avengers: Endgame, ma non lo farò. Credo.
Abbiamo quindi visto che il co-working si è andato ad inserire per rispondere ad alcuni bisogni di agilità e di condivisione del freelance o di intere piccole aziende.
Ma – sogniamo per un attimo- se ora andassimo oltre e presentassimo alle aziende old school i vantaggi del co-working: avere degli esperti di diversi settori tutti parte di un solo team (no #teamcap…okay okay smetto) a disposizione per una giornata in uno spazio fighissimo in cui approcciarsi ai problemi in maniera leggera, efficace e super…costruttiva. Voi come lo chiamereste?
Noi lo chiamiamo Lab Rooms. Ne parliamo davanti ad un caffè, soprattutto ora che i fratelli Russo hanno ufficialmente estinto il ban sugli spoiler?