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Da Aelle fino a qui, il percorso di Sid



Quando Aelle Nr. 53 arrivò sullo scaffale della mia edicola di fiducia, dalla parte di copertina che spuntava si leggeva un annuncio che per me ebbe l’effetto di una coltellata: ultimo numero. Era la fine di un’epoca, che il caso, Dio o il sacro spirito dell’Hip Hop ha voluto coincidesse con la mia adolescenza, lasciando un segno indelebile sulla mia formazione, così come su quella di molti altri che in quel periodo si sono avvicinati alla doppia H.

Quello che è successo da allora è sotto gli occhi di tutti, gli eventi hanno portato a rendere Aelle un elemento quasi mitologico per la scena attuale, oggetto di culto per appassionati e collezionisti. Sappiamo tutti chi è oggi Paola ZKR, all’epoca cuore pulsante della redazione, ma che fine ha fatto l’ideatore della mitica rivista, Claudio Brignole a.k.a. Sid?

Facciamocelo dire direttamente da lui.

Allora, Sid, cominciamo subito con la domanda clou dell’intervista: che fine hanno fatto tutte quelle foto dei miei pezzi che ho inviato alla redazione di Aelle fra il 1995 ed il 2000???

Ho dato tutte le mie foto ad Andrea Caputo per realizzare il libro All City Writers: The Graffiti Diaspora. Libro che tra parentesi, poi, non ho mai reclamato e quindi non ne ho nemmeno una copia.

Scherzi a parte, Aelle è stata una pietra miliare per l’Hip Hop italiano, e per me che vivevo (e tutt’ora vivo) in una realtà di provincia, ha rappresentato per anni l’unica fonte di informazione e aggiornamento su quello che accadeva nella scena. Quali sono i traguardi dei quali vai più fiero?

Quello di essere riuscito a trasformare un progetto amatoriale in una rivista vera e propria. Sicuramente non è una cosa che ho fatto da solo, ma anche grazie alla Paola Zukar e a tutti i collaboratori che negli anni mi hanno aiutato.

Ricordo tanti supporters ma anche alcune critiche alla rivista, la più comune era quella di avere una visione troppo purista dell’Hip Hop. Qual era la tua idea della cultura? Rispecchia la tua visione attuale?

Pensa che all’epoca alcuni dicevano che eravamo troppo commerciali perché c’erano le pagine di pubblicità e davamo troppo spazio agli Articolo 31 e ai Sottotono… Onestamente penso che siamo stati sempre una rivista Hip Hop al 100%, dando spazio a tutti gli elementi della cultura promuovendo sempre tutti gli artisti che pensavamo fossero validi. Oggi per me è ancora così, non mi sono spostato di una virgola, ma nello stesso tempo capisco che i tempi sono cambiati e serve essere elastici e non fare i talebani dicendo che bisogna seguire Afrika Bambaataa o Krs One. Le nuove generazioni hanno il loro stile e i loro riferimenti, ed è giusto così, mi preoccupa però che molti di loro non conoscano nemmeno cosa voglia dire Hip Hop. Credo che il sottofondo, anche molto diluito, della cultura, sia necessario per dare delle fondamenta anche alle nuove generazioni altrimenti senza questo “collante” si rischia di perdere la strada. Effettivamente ci sono già molti esempi di rapper/trapper che stanno andando alla cieca.

Dopo l’uscita dell’ultimo numero ho personalmente perso le tue tracce. Se non ricordo male eri parte del progetto Hot Graphics, che aveva curato la grafica di diversi lavori musicali, mi sbaglio? Di cosa ti sei occupato dopo Aelle?

Dopo Aelle ho fatto l’art director in alcune case editrici, occupandomi sempre di realizzare riviste. Con gli anni mi sono spostato progressivamente sul web design, e più recentemente sui video (riprese e montaggio).

La redazione era una squadra molto varia, composta da artisti e attivisti della cultura. Siete rimasti in contatto personale o professionale?

Sono rimasto in contatto solo con la Paola Zukar e di tanto in tanto ho sentito FlyCat, con gli altri ci siamo un po’ persi.

Oggi ti ritrovo come la mente dietro i progetti hiphoplist.it e darsidafare.it, e non uso la parola dietro a caso: con questi portali promuovi la collaborazione fra le teste Hip Hop dietro le quinte, fornendo spunti per poter lavorare all’interno di questo ambiente dando il meglio di sé. Come nasce questa idea?

Dopo tanti anni di assenza pubblica (ma non privata), ho sentito la voglia e anche la necessità di riprendere il discorso interrotto ormai 20 anni fa con AL. Mi avvicino ai 50, e come succede spesso, uno fa un po’ di punti e io ho sentito la voglia di fare nuovamente qualcosa. “Darsi da fare” nasce dalla necessità di mostrare le figure che spesso sono dietro i riflettori, ma che sono importantissime per portare avanti tutti i mille mestieri che sono collegati alla musica e all’arte in generale. Questo perché secondo me urge dare fondamenta più solide, specialmente alla cultura Hip Hop prima che questa crolli di nuovo sotto il peso della massificazione priva di radici. I segnali ci sono, forti, ogni giorno. Da qui l’idea di mostrare chi fa, e dare degli esempi e ispirazione per trovare una propria strada alle nuove generazioni, ma anche per rinforzare i ricordi e la “speranza” in quelle vecchie. “Hip Hop List” è il “braccio operativo” di “Darsi da fare”, un sito dove si può mettere annunci gratuitamente per promuovere quello che si fa, dai servizi a concerti/serate che si organizzano.

Nel video di presentazione di “Darsi da fare” dici una cosa molto importante, a mio avviso: quando spieghi che intervisterai soggetti a tua scelta, chiarisci che sceglierai in base al tuo gusto oppure che darai voce a persone e progetti che possono fornire spunti interessanti anche se non sei pienamente d’accordo con loro. È un bel modo per mettersi in gioco, dimostra la volontà di fornire un servizio all’ascoltatore al di là delle proprie idee, non tradendo lo spirito di fondo del progetto. Ti è mai capitato, in questo lavoro come in altri, di trovarti in situazioni dove però quanto detto dall’intervistato tradiva totalmente il tuo pensiero, tanto da pensare di non pubblicare il pezzo?

No, non mi è mai capitato, anche perché non andrei mai ad intervistare qualcuno di cui non ho stima e rispetto, magari alcuni non hanno o avranno le idee totalmente simili alle mie ma ci sarà sempre una base comune. Un ottimo esempio sono gli Arcade Boyz, ho grande rispetto per loro, provengono da situazioni difficili, si sono dati molto da fare e sono bravi in quello che fanno, ma ogni tanto dicono cose che non mi vedono d’accordo ma in altri casi dicono cose che appoggio al 100 %.

Oggi come oggi, che anche mio cognato che lavora in comune all’ufficio ragioneria conosce un minimo di Hip Hop, pensi che si sia realizzato il sogno degli anni ’90 o rimpiangi quei tempi?

Sono contento, c’è un sacco di roba che esce ogni settimana e c’è sempre un 20-30% di gemme in mezzo a tante schifezze e personaggi a dir poco, imbarazzanti. Bisogna saper cercare, spesso quello che viene spinto di più non è il meglio, ma solo quello che può raggiungere più facilmente l’orecchio di un ascoltatore distratto che ascolta la musica senza preoccuparsi di sapere cos’è, la sua storia o se è commerciale o meno.

Domanda personale: vivi di Hip Hop, o come tanti per sbarcare il lunario ti occupi di altro? E in ambito culturale, ti diletti ancora nell’arte che prevede l’utilizzo degli spray?

No, attualmente non vivo di rap anche se mi piacerebbe poterlo fare di nuovo. Quello che mi dà da vivere rimane il mio lavoro di art director e videomaker. Continuo a disegnare ma solo su carta o su iPad, purtroppo di spray non ne tocco più da molto tempo.

Hai mai pensato ad un tuo ritorno su carta stampata?

Nahh, ormai le riviste sono morte o stanno molto male. Non lo dico felice, è semplicemente un dato di fatto. Infatti “Darsi da fare” e “Hip Hop list” sono progetti nati sul web e social dove ormai è tutto.

Per chiudere: se dovessi scrivere oggi un tuo editoriale, uno di quelli belli pubblicati nelle prime pagine, vicino ad uno sketch di Korvo o di Eron, di cosa parleresti?

Non farei più editoriali! Nel 2019 avrebbe poco senso. In ogni modo per stare al tuo gioco, parlerei della necessità di tenere il rap ancorato alla cultura Hip Hop. Mi vengono i brividi leggere nei commenti sui social di gente che scrive “si può fare il rap senza che sia Hip Hop”. Sì, ma non chiamatelo rap.