Era la quindicesima edizione per il Flava of the Year, e già questo è un fattore importante. In un periodo in cui scena musicale e scena mediatica sono sempre più distanti fra loro, bisogna crederci nelle cose. Anche se a volte crederci non basta.
La giornata oggi inizia presto, poco dopo le 16, per un acceso dibattito, fra teste hip hop, sul tema Media e hh. In realtà il dibattito inizia con la presentazione di “Italia Suxxx” un qualcosa a metà tra un romanzo di formazione ed una serie interviste (ma avremo modo di riparlarne più compiutamente a breve) a cura di Michele Wad Caporosso, firma celebre della nostra doppia h preferita, collaboratore per realtà come Rolling Stone o Vogue.
Dicevamo del dibattito.
Credo che la cosa positiva sia data dal fatto che, nonostante tutto, ci sono ancora persone che hanno voglia di confrontarsi. Difficile però riuscire a dare un risultato concreto a queste nostre elucubrazioni vista la mole di argomenti affrontati nell’arco delle due ore previste. Per non parlare delle inevitabili divagazioni che poi ogni argomento prende.. un mc può essere di destra? Ed un writer?
Penso comunque che l’aspetto più importante, sia quello della realizzazione di un network che coinvolga siti, portali, forum e chiunque faccia informazione. Come creare questo network e che impostazione dargli è però un altro paio di maniche.
È evidente a tutti come i grandi network rappresentino sempre meno le scene nazionali inseguendo e glorificando miti precotti per generazioni assopite. E’ altrettanto evidente però che non possiamo autoghettizzarci, cosa che, nella mia modesta opinione, l’hh italiano ha già fatto fin troppo.
L’allargamento della scena mediatica (almeno a livello numerico) ha portato nell’ambiente persone che dell’ambiente non erano e questo era inevitabile.
Ecco quindi che troviamo giornalisti che non vengono dall’ambiente, e che trattano il nuovo disco di Snoop secondo gli stessi criteri con cui tratterebbero quello di Ligabue. E’ giusto? E’ sbagliato?
Prima del concerto di Redman, un poker di dj set a cura di Mad Kid, Trix, Lugi e Walterix mentre il warm up sul palco tocca a Ready Roc ed al tecnicamente mostruoso dj Dice.
Poi tocca a Redman e le paranoie (leggi: l’intervista non si fa) se ne vanno, sono troppo impegnato a divertirmi. Perché con Reggie Noble sul palco è impossibile non divertirsi. Un performer, più che un mc, viste le notevoli qualità di intrattenitore (le qualità al microfono sono note e quindi non mi ci soffermo) dimostrate anche questa sera a Bologna: il rapper del Jersey cerca continuamente il contatto col pubblico, da quando impara a contare (fino a tre!) in italiano, a quando chiede al pubblico di cantare per lui la strofa di Method Man in “Da Rockwilder”, da quando cerca di insegnare ai presenti, con risultati discutibili, le rime di Lodi Dodi fino a quando, in chiusura di concerto, inscena con gli astanti una battaglia d’acqua che manco la gavettonata a scuola di fine anno.
Insomma, uno spettacolo, nel quale Da Funk Doc, tra una ghigna e l’altra snocciola tutti i suoi successi (Ayo, la già citata Rockwilder, Time 4 Aktion, Whateva man, la spacca club Let’s get dirty, insomma, le conoscete no?) fumando, tra l’altro, pochissimo per essere uno che ha costruito la sua carriera, in buona parte, sulla passione per l’amata cannabis.
Ah, a proposito: mi sa che How high 2 non si fa. Redman accenna qualcosa in proposito in chiusura di concerto: ci sono i soliti problemi di diritti di immagine con la major di turno ed al momento la faccenda non si sbroglia.
A fine concerto il palco è completamente fradicio, e noi non siamo da meno.
E’ stata una giornata lunga ma soddisfacente, anche grazie a quel dibattito dal quale, forse, non verrà mai fuori niente ma che ha portato alcune realtà a confrontarsi fra di loro. E questo, in epoca di mass media e di rap pret-a-porter, in cui tutto viene cotto e mangiato senza trovare il tempo per capire cosa stiamo mandando giù, mi pare già una gran cosa.
Foto Emanuela Nuvoli