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A NESSUNO PIACE MILHOUSE
ARTS

Ultrabandiere



Non capito spesso a Roma perché è una città troppo caotica: troppe persone nervose, troppo traffico e tutto si trova sempre lontanissimo. Come ripete spesso un amico che vive a Roma:”Benvenuti a Babilonia”. Questa volta però c’era un’occasione da non perdere assolutamente.

ULTRABANDIERE, la nuova mostra/progetto del collettivo Guerrilla SPAM, ha inaugurato il 25 Giugno dentro agli spazi del Macro Asilo, dove sarebbe poi rimasta per i successivi cinque giorni. La prima volta era stata esposta a Torino, dentro allo Spazio Popolare Neruda.Ne ho approfittato per fare lo zaino e passare qualche giorno nella capitale ad incontrare vecchi amici, visitare il Crack al Forte Prenestino e cercare sui muri delle periferie lavori di artisti che stimo.

ULTRABANDIERE è un progetto molto speciale, che ha esposto 14 bandiere ricamate a mano con stoffe e materiali di recupero.

Questi manufatti sono il risultato di un percorso concretizzatosi durante due anni d’incontri tra i ragazzi del collettivo Guerrilla SPAM e gli abitanti dello Spazio Popolare Neruda, a Torino.

Perché le bandiere?
L’idea prende ispirazione dalle bandiere Asafo.
Durante alcune precise festività, in Ghana, le persone usavano esporre delle bandiere ricamate a mano che, attraverso evocative immagini colorate, raccontassero storie popolari o trascorsi personali. Molto spesso, queste richiedevano una componente narrativa per essere colte in pieno.

Così si presenta ULTRABANDIERE:
“Il progetto nasce nel 2017 a Torino all’interno dello Spazio Popolare Neruda, un’occupazione abitativa nella quale convivono circa 150 persone, con molti nuclei familiari e un’alta presenza di bambini. Insieme agli abitanti sono state immaginate, disegnate e poi cucite quattordici bandiere in stoffa che raccontano storie, pensieri, sogni e ricordi dei loro autori. Questi manufatti non sono più solo bandiere, ma ultra-bandiere. Si trasformano in altro, stratificando significati; non più vessilli identitari ma narrazioni aperte, che ognuno può leggere e interpretare a suo modo.”

L’inaugurazione della mostra è stata preceduta da una breve conferenza, durante la quale sono intervenuti i Guerrilla SPAM in qualità di artisti, Mattia Branca in qualità di curatore del progetto e Siaka in qualità di autore di una delle bandiere.
Insieme hanno raccontato aneddoti sui due anni trascorsi insieme, sul percorso intrapreso e sulle varie problematiche riscontrate, poi risolte. Hanno mostrato foto degli incontri, dei pranzi, dei momenti importanti e di quelli di gioco.
A questo processo hanno preso parte adulti e bambini, raggiungendo risultati tanto differenti quanto disparati; dal cavallino bianco al galoppo, fino all’uomo muscoloso che va in palestra, dal b boy che salta con lo skate, allo schiavo che spezza le catene.

Siaka ha parlato della sua bandiera, che era un po’ diversa dalle altre. Se molti avevano lavorato su esperienze e sogni propri, lui aveva preferito rendere omaggio a Kunta Kinte, uno schiavo ribelle molto conosciuto in Africa, al quale avevano amputato mani e piedi perché non intendeva rinunciare al proprio nome. Nella bandiera si vede Kunta catturato mentre è a caccia ma, immediatamente dopo, spezza le catene consegnando un finale felice ad una storia che nella realtà va diversamente.

Finita la conferenza è il momento di vedere le bandiere. I presenti fanno domande e continue osservazioni, curiosi di scoprire i retroscena sulle mille immagini che riempiono le cornici di stoffa.
È qui che forse è giunto il momento di farsi una domanda.

Qual è la vera opera? Gli oggetti, le bandiere, passano in secondo piano. Sono il risultato della vera e più grande opera nata in oltre 200 incontri svolti in due anni.

Durante la conferenza si è cercato di spiegare un’arte concepita come mezzo per raccontare percorsi, far incontrare persone e, in alcuni casi, incidere sulla realtà stessa migliorandola. 
Io vedo molta più street art in questa mostra dentro ad un museo, che nella gran parte dei disegni che oggi riempiono le facciate delle nostre città. Dico questo perché, sia il muralismo che la street art nascono dall’esigenze di raccontare storie, di narrare percorsi e di far pensare le persone. Pensare vuol dire parlare con se stessi e per farlo servono continui stimoli e riflessioni.

Tutte cose che un muro grigio non provoca.
ULTRABANDIERE ha utilizzato l’arte come pretesto per mettere insieme persone e farle interagire positivamente, indipendentemente dal risultato finale.

Qualcosa per cui vale ancora la pena definirsi artisti.