A piedi nudi tra quadri e cuscini
Ottobre ci ha regalato calde giornate finora, tranne una: giovedì 24, giorno in cui ho incontrato l’artista Miles.
Piove, sono le 15:30 circa, arrivo nel suo studio, busso delicatamente. Ad accogliermi la figura esatta di un’artista: scalzo, vestito comodo con una mantellina scura appena toccata da gocce di colore.
Subisco molto il fascino della pioggia e, di sicuro, questo ha contribuito alla singolare esperienza che ho vissuto entrando in quel luogo denso di arte e cose bizzarre.
Il soffitto è altissimo, tutte le pareti sono popolate di bozzetti, quadri, visioni: stavo per impazzire!
Chi mi conosce sa che alcuni posti mi fanno sentire come sotto effetto di qualche stramba sostanza, osservo ogni minimo dettaglio, sono attratta da tutte le cianfrusaglie, gli attrezzi, gli odori.
Ci sediamo e mi rendo conto che non ho voglia di fare meccanicamente le domande che avevo scelto per Miles, iniziamo a chiacchierare…
Ripercorriamo insieme il suo passato: mi racconta di un’infanzia immersa nella creatività, di sua madre pittrice e di suo padre falegname che, purtroppo, causa il nostro paese ancorato a consuetudini del passato, non sognavano per il loro figlio un futuro da artista.
La passione e la tenacia, però, hanno portato Miles a crederci: frequentando il liceo artistico in adolescenza, per poi trasferirsi a Carrara dove ha intrapreso gli studi presso l’Accademia delle Belle Arti, scegliendo di specializzarsi nella scultura.
Una scelta non frequente- gli faccio notare – e mi spiega che da piccolo ha sempre avuto una certa propensione alla manualità creativa ma questo ovviamente non è un limite o una circoscrizione, Miles è un’artista che “sente” i materiali, le superfici, i supporti e, in base ad essi, sceglie quale tecnica utilizzare per tirare fuori quello che ha dentro.
Conclusi gli studi si apre un’importante parentesi in Giappone dove lavora per qualche mese; esperienza che si fonde in maniera incisiva con il suo stile, tirando fuori una forte identità stilistica nipponica.
Tornato in Italia, inizia a girovagare tra la sua terra- la Calabria- Bologna e infine Firenze.
Tra un bicchiere di vino e un infuso, gli chiedo di raccontarmi di più… sensazioni, percezioni, tutto quello che si scatena dentro di lui nel momento esatto in cui decide di creare e quali sono le sue muse.
Accoglie la mia richiesta. Quasi come una confessione mi spiega che per realizzare un’opera d’arte deve essere in pace con se stesso e con ciò che lo circonda, di solito siamo abituati a vedere l’arte come il parto di un’emozione, di un dolore il più delle volte. Non è questo il caso.
C’è un processo ben preciso di metabolizzazione di un’emozione ma il fulcro non deve essere l’emozione stessa. Un concetto molto affascinante che crea una sorta di distacco tra la mano, la pancia ed il cuore.
L’ispirazione può essere scatenata da qualunque cosa: un libro, un odore, un’immagine riflessa della luce di un lampione in una pozzanghera.
Un’altra realtà in cui Miles si immerge di tanto in tanto è la street art ma- è evidente- stiamo parlando di un’artista versatile, a cui non si può e non si deve dare un’ etichetta.
Anche stavolta il punto fondamentale non è cosa ma come e la chiave di lettura resta sempre la stessa: “sentire”.
Ogni superficie può ospitare un’opera d’arte: la tela, il legno, la carta, il muro e così via. Di sicuro dipingere a cielo aperto ha un contatto forte con la società, ed è proprio l’aspetto sociale a pulsare forte nella sua ricerca, dato che per Miles l’arte non è mai stata qualcosa di puramente estetico o ornamentale.
Mentre parliamo spunta una gattina, nuova inquilina dell’artista. Mi preoccupo e gli faccio notare che potrebbe graffiare le tele adagiate al muro; con un sorriso mi dice che non è affatto un problema, anzi semmai accadesse sarebbe una sorta di valore aggiunto. Soffermandomi su questa esclamazione, sono riuscita a concepire esattamente l’esigenza di Miles : raccontare l’attimo.
Attimo in cui, camminando come un animale in gabbia intorno al tavolo, arriva l’idea, sei riuscito a disperdere un dolore e sei pronto per disegnare. Attimo in cui, mentre stai parcheggiando la macchina, un muro ti chiama, ti avvicini per toccarne la “pelle” e decidi di farlo tuo, attimo in cui la scelta di vivere di arte diventa una consapevolezza nitida e chiara, attimo in cui un gatto può incidere un’opera d’arte.
Passate circa tre ore ritorniamo alla realtà e, finendo l’ultima goccia del mio infuso, ripongo nella borsa la mia agenda intonsa, scatto due foto e lo ringrazio per avermi aperto le porte dell’intimità artistica, quella che solo attraverso una profonda connessione puoi comprendere.