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NON SONO STATO IO
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Fresca, fervida, efficiente… L’equilibrio perfetto di Berlino



A Berlino si sta bene. La città è fresca (in tutti i sensi), ma soprattutto funziona. Certo, i tedeschi sono specialisti da sempre del “funzionare” e del far funzionare, ma a Berlino non sembra di essere in quella Germania che spesso si immagina, un po’ stereotipata, colma di caparbietà ostinata, colazioni bavaresi, baffi e occhialoni anni ’80 (anche se adesso tornano di moda), e poco humour. E poi quasi tutti i berlinesi parlano fluentemente inglese.

Io mi sento su un’isola (non penso di essere l’unico).

Ho traslocato qui sei mesi fa, ispirato dalla fervida creatività musicale e artistica e rassicurato dalla celebre funzionalità teutonica. Effettivamente è così. Dall’imponente museo di arte contemporanea, Hamburger Bahnhof, alla miriade di piccole gallerie private (alla fine pubbliche) di giovani artisti, passando per l’ex ufficio postale convertito in museo di fotografia C/O. Dalla solenne Konzert Haus della Filarmonica, al salottino bohémienne delle jam sessions dell’Edelweiss. È dura trovare una città con un equilibrio tanto buono (chi ne conosce altre me le segnali, le visiterei volentieri).

Arrivo da Milano, tanto per parlare di città equilibrate… Dopo essermi laureato al Politecnico in Visual Design, ho sentito il bisogno di ossigeno fresco per il cervello. Berlino sembrava perfetta: buon rapporto tra distanza, novità e costo della vita. Unico dettaglio: la lingua. Ma quella si impara. Munito di buoni propositi, ho cominciato a fare spesso avanti e indietro (AirBerlin costava poco, mentre oggi EasyJet batte tutti, purtroppo anche sui ritardi…). Ma il vero la è arrivato dai miei genitori, che incuriositi da un mercato immobiliare particolarmente conveniente hanno deciso di comprare un simpatico micro attico nell’ex Berlino Est.

Oggi vivo a Prenzlauerberg, pacifico quartiere popolato da mamme che mantengono alto il tasso di natalità dell’aera: la sera ci si sente cullati. Di giorno, tra passeggini e giovani signore, la vita scorre simpaticamente. Tanto per iniziare, avere una sim tedesca è come comprare una cartolina. Si trovano dappertutto e non serve alcun dato personale. Ora spopola FONIC a 9 cent al minuto. Per mangiare c’è di tutto, dai ristoranti orientali a sontuose steakhouse (sembra un ossimoro, provare per credere). Abbondano anche pizzerie di profughi italiani.

Quattro immagini della casa dove vivo a Prenzlauerberg.

La sera, scendendo verso Kreuzberg — quartiere turco — l’atmosfera cambia. Qui pulsa il Berghain, storica mecca della musica techno e dell’edonismo più spinto, dove le serate iniziano sabato e finiscono lunedì (e a volte passa anche il sindaco). L’intera area sud di Berlino pullula di turchi (ora si’ che si vedono i baffi veri), con cui si convive abbastanza tranquillamente. Spesso, risalendo verso Mitte — il centro più leccato — mi fermo al b-flat che propone buon jazz. Capito volentieri il mercoledì: jam session aperta. È qui che vorrei portare 291out, il quartetto fusion che ho lasciato a Milano, dove non c’è molto spazio per la musica dal vivo. Qui invece è un trionfo, dai locali veri e propri alle stazioni della U-bahn (la metro), dove si improvvisano concerti unplugged (e a volte anche plugged, ai generatori). L’ispirazione è dappertutto.

Per tutti questi spostamenti i mezzi di trasporto sono così efficienti che sembrano privati: i Night-bus coprono la notte durante la settimana, e nel weekend la metro non si ferma mai (come il Berghain). Si può portare su anche la bici! Due altre destinazioni da non perdere sono il Club der Visionaere, una piattaforma sullo Spree, avvolta da salici piangenti e da musica elettronica molto curata, e il Wilde Renate, probabilmente il club più simpatico, proprio perché non sembra affatto un club.

A fine anno tento l’iscrizione a un master che mi sembra davvero speciale: Istituto per gli esperimenti spaziali. Nel frattempo proseguo la mia attività freelance di designer, lavorando ogni tanto dagli studi condivisi di Betahaus, un esperimento ben riuscito di coworking, o dall’open space della casa editrice Gestalten.

Per come la vedo io, qui sta convogliando una nuova generazione allargata di persone coscienti di ciò che fanno, anche nel far poco (e ce ne sono…). Si mescolano con chi fa di più, con chi ha (o chi è) sempre fatto, con chi vuole offrire e con chi vuole ricevere. E su tutto aleggia positività e una piacevole sensazione di futuro.

Io mi trovo (bene)…

 
Tutte le foto che illustrano questo articolo sono opera dell’autore