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I SIMPSON L’HANNO GIÀ FATTO
Cinema

La fine ossia un nuovo inizio



Molti in questi giorni di isolamento forzato mi chiedono consigli su film o serie tv da guardare. Qualcuno – con ironico tempismo – arriva persino a pormi la questione in tono apocalittico: “Quali film devo guardare prima di morire?“.

Suggerire dei film da guardare equivale per me andare in uno stato di catalessi senza precedenti. Solo altre tre domande mi mandano così in crisi. In ordine: “Come stai?”, “Che fai nella vita?”, “Mi presti dei soldi”? .

Nonostante – prima per piacere, poi anche per lavoro – , mi nutra di cinema dall’età di 3 anni, gli unici film che mi vengono in mente sono Vacanze di Natale ‘95 ed M – Il mostro di Düsseldorf.

Per il resto il mio cervello diventa un buco nero. C’è solo una scimmia che sbatte i piatti, come in Homer.
Vi giuro: non mi viene in mente nulla. Nemmeno il film che ho guardato la sera prima.

Allora penso, gli dirò così: “Ehi bello/a, devi guardà Vacanze di Natale ‘95 di Neri Parenti. Perché non si può morire senza aver visto Luke Perry in quel film”.

Luke Perry
Vacanze di Natale ’95 – Regia di Neri Parenti

Su M di Lang, taccio. Perché mi rendo conto che non posso suggerire Fritz a una persona che annovera, tra i film della sua vita, Le tre rose di Eva.

 M - Il mostro di Düsseldorf
M – Il mostro di Düsseldorf – Regia di Fritz Lang

Ragazzi, suggerire un film è una cosa seria: dipende da chi te lo chiede. E a me ‘sta cosa mi fa impazzire. Perché poi inizio ad analizzare, ad analizzarmi. E mi ritrovo in Sogni d’oro di Nanni Moretti a gridare in macchina come una matta: “Io non parlo di cose che non conosco!”.

Sogni d'oro
Sogni d’oro – Regia di Nanni Moretti

Che palle: a me non piace parlare di cinema.

Bene: ora parte il mio articolo, quindi la prima parte potete benissimo saltarla. Non l’avete saltata?

Dicevo. Ora parte il mio articolo.

Cercando una risposta alle domande assillanti di cui sopra, ho avuto una suggestione, che condivido volentieri.

Nel mare magnum che il nostro cinema e le più svariate piattaforme streaming ci offrono, nell’abisso dei documentari e delle serie tv; c’è un film, al quale tutti stiamo partecipando e che proprio per questo tutti dovremmo vedere: la sequenza finale de L’eclisse di Michelangelo Antonioni, che qui non racconterò, ma suggerirò con una piccola sinossi.

L'eclisse
L’eclisse – Regia di Michelangelo Antonioni

All’origine de L’eclisse – che Antonioni comincia a girare il 10 luglio 1961, a Roma – sembra che ci sia stato un “elemento esterno” molto concreto.

Firenze

Nel febbraio di quell’anno il Michelangelo si trova a Firenze per filmare un’eclisse totale di sole. Vivamente impressionato dallo spettacolo, Antonioni lo descrive così:

“Gelo improvviso. Silenzio diverso da tutti gli altri silenzi. Luce terrea, diversa da tutte le altre luci. E poi buio. Immobilità totale.”

E appunta:

“Tutto quello che riesco a pensare è che durante l’eclisse probabilmente si fermano anche i sentimenti.”

L'eclisse 2
L'eclisse 3

L’eclisse è un film del 1962, ottavo lungometraggio diretto da Antonioni. Si tratta della quinta e ultima collaborazione con Gianni Di Venanzo, con cui il regista ferrarese ha avuto il più lungo sodalizio.

Presentato in concorso al quindicesimo Festival di Cannes, vinse il premio speciale della giuria, ex aequo con Procès de Jeanne d’Arc di Robert Bresson.

L’eclisse non avrà fortuna con il pubblico, e delle opere della maturità di Antonioni è quella che ha incassato di meno. Ma questo film è sicuramente una delle prove stilistico-formali più riuscite dell’opera Antoniana. Non solo grazie alla bellissima fotografia di Di Venanzo, ma per la radicalità con cui il paesaggio vi partecipa.

Siamo all’Eur, quartiere di Roma che negli Anni Sessanta era in via di espansione. Nell’Eur di oggi, anno 2020, si possono ancora notare le monumentali opere architettoniche; il fungo è sempre lì, imponente: oggi vi si possono assaggiare dei meravigliosi cocktails e gustare – a prezzi certo non modici – degli ottimi piatti; il laghetto in cui i due amanti passeggiano (Monica Vitti e Alain Delon), è ancora lì, ed è forse (ancora oggi) uno dei pochi spazi non ancora soffocati dall’avanzamento industriale.

Ecco: Antonioni fa muovere i suoi personaggi in questo luogo, e ha una padronanza straordinaria della disposizione degli attori in rapporto alla scenografia (e viceversa); oltre a un modo singolare di introdurre i personaggi attraverso il paesaggio (e viceversa).

L'eclisse 4

La sequenza finale, dicevo, dura per la precisione sette minuti e venti secondi ed è formata da 58 inquadrature.

L'eclisse 5
L'eclisse 6
L'eclisse 7

Perché vi stiamo partecipando? Perché in quella sequenza la città diventa il luogo dell’estraneità, del frammentarsi dello spazio e perciò del tempo. Le cose non sono ricordi ma resti di cose, hanno perduto qualsiasi riferimento al soggetto.

Cosa sentiamo noi in questi giorni? Come percepiamo quel che si presenta ai nostri occhi, ai noi nostri sensi? Non posso dire altro. Non posso suggerire altro. Ma vi lascio con una fotografia, quella finale.

Fine

La luce bianca accecante del lampione – che chi ha visto il film ha incontrato come immagine indelebile, e chi vedrà il film incontrerà – , non può essere che il nero della parola fine.

Similmente – e qui vengo al paragone con l’oggi – , la fine che noi aspettiamo, la fine di questa alienazione, che ci colpisce nel profondo e profondamente invade la nostra quotidianità, non sarà altro che un nuovo inizio, con “l’abbandono cioè di un problema vecchio e la formulazione di una domanda nuova“, come direbbe Roland Barthes.

Il suo finale siamo noi. Ora più che mai.

Buona visione.