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Design trends: Quando i gadget rivendicano il diritto di parola



“Comunico quindi sono”… Ci tocca disturbare Cartesio per dare un’idea del progetto che sta dietro a “Talk to me: Design and communication between people and objects” (Parlami: Design e comunicazione fra la gente e gli oggetti), la nuova, futuribile esposizione organizzata dal Museum of Modern Art di New York, piena di idee, progetti, prototipi tecnologici di ultimissima generazione, pensati per semplificarci la vita. Almeno nelle intenzioni.

Sputniko! e Design Interactions Department Royal College of Art: Crowbot Jenny (2010); foto Rai Royal

Duecento i pezzi tra macchinari, utensili, oggetti d’uso più o meno quotidiano, a cui si aggiungono applicazioni interattive per i-Pad, i-Phone e Twitter, distribuiti attraverso un persorso suddiviso in sei sezioni (Objects, I’m Talking to You, Life, City, Worlds, Double Entendre). “Talk to me” è una mostra tutta da sperimentare e con cui interagire (in perfetto stile USA), un’occasione (chiamatela pure invito o una provocazione) per capire che l’high tech non più solo qualcosa che riguarda nerd smanettoni, ma ha ormai imboccato una direzione sociale che ci tocca tutti, più o meno da vicino, e con cui volontariamente o inconsciamente abbiamo imparato (o dobbiamo imparare, esplorandone le potenzialità) a fare i conti.

Dentsu London: Suwappu (2011); foto Dentsu London

A dare il benvenuto ai visitatori ecco allora Talking Carl, un’applicazione per i-Phone e iI-Pad, ideata nel 2010 a Yann Le Coroller, che somiglia tanto a un “grillo parlante” resuscitato dai giochi anni ’80 della Clementoni, visto che, rispondendo al suono e al tatto, ripete parola per parola quello che la gente dice mentre gli passa accanto. In mezzo alle sale espositive arrivano poi i Tweenbots, robottini in cartone che si fermano a chiedere – loro! – informazioni. Ancora: decidi di ordinare qualcosa al Caffè2 del Moma, il punto ristoro della mostra? Baker Tweet, un’applicazione per Twitter che interagisce con cuochi e camerieri, ti avvisa quando la tua ordinazione è servita, attraverso il mega schermo della caffetteria, oppure direttamente sul tuo cellulare.

A sinistra – Shigeru Ishitsuka di MegaHouse Corporation e Misako Kirigaya di Bandai Co.: Mojibakeru (2010); prodotto da MegaHouse Corporation, foto © Bandai. A destra – Chie Mitsuyama di Ginghami Co.: Kaoiro (2009); prodotto da Kikuchi Mfg Co., foto Tomo Kitano.

Questo dialogo, che si muove lungo i canali comunicativi di ultima generazione, comprende codici QR e hashtag Twitter per ciascuno degli oggetti in mostra, cosi che i visitatori possono accedere a maggiori informazioni su ognuno di loro, tanto mentre si trovano dentro al museo ma anche dopo essere tornati a casa.

Insomma, ora forse si capisce meglio il senso del titolo della mostra: “Talk to Me” è sia l’invocazione, la preghiera, il sentimento condiviso dal pubblico quando si rivolge ai gadget tecnologici che gli stanno intorno, ma è anche la provocazione e la supplica degli oggetti “in cerca di fruitore”, che tentano di stabilire un contatto vitale con un potenziale utente.

Sascha Nordmeyer: Communication Prosthesis Portrait Series (2009); foto Sascha Nordmeyer

Oggi, infatti, anche gli oggetti sembrano rivendicare un loro status esistenziale, facendosi spazio, cercando la nostra attenzione, e interagendo con noi attraverso l’uso di testi, diagrammi, interfacce visuali, a volte persino profumi o livelli diversi di temperatura. I curatori dello show spiegano che a quegli stessi oggetti, a cui un tempo bastava sfoggiare una certa funzionalita’ ed eleganza formale, adesso e’ richiesto di avere una personalita’. Insomma, cosi come Dio dopo aver creato Adamo gli alito’ la vita e quindi la capacita’ di parlare, i designer contemporanei non si accontentano piu’ di lavorare solo sulla funzionalita’ – a cui corrisponde necessariamente una data forma – ma vanno ben oltre, elaborando degli script che permettono alle cose di sviluppare un dialogo con le persone. Dall’antica preoccupazione di connettere forma, funzione e significato, si e’ passati a concentrarsi sullo scambio di informazioni, e persino di emozioni.

A sinistra – Chris Woebken e Kenichi Okada, Design Interactions Department Royal College of Art: Animal Superpowers (2008); foto Chris Woebken. A destra – Jeroen Beekmans e Joop de Boer di Golfstromen: Gentrification Battlefield (2010); foto Golfstromen e Coen Rens.

E sulla scia dell’emozione ecco che la mostra si chiude quasi con un amarcord: la macchinetta che vende i biglietti nelle stazioni della metropolitana di New York City, progettata nel 1999 da Masamichi Udagawa e Sigi Moeslinger, di Antenna Design, assieme a David Reinfurt e Kathleen Holman. Quel bigliettaio virtuale sfoggia un’interfaccia touch screen cosi’ intuitiva e cosi’ elegante che ti fa quasi scordare che il suo scopo è quello di succhiarti quattrini (offre biglietti singoli e ogni tipo di abbonamenti, permette di pagare con monete, banconote, Bancomat o carte di credito) e in questa occasione propone un’edizione speciale delle tesserine. Chi l’avrebbe mai detto che un biglietto potesse diventare un oggetto da collezione?

Masamichi Udagawa e Sigi Moeslinger di Antenna Design, con David Reinfurt e Kathleen Holman: MetroCard Vending Machine (1999); prodotta per MTA New York City da Cubic Transportation Systems, foto © Scott Rudd.