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ARTS

Urto e il suo viaggio artistico



Blu Urto

Urto è un artista alla continua ricerca, ci racconta il suo viaggio artistico, passando dai muri ai treni, fino ad una consapevolezza più matura di ciò che vuole esprimere.

Come e perché ti sei avvicinato al mondo della street art/writing?  

Ho iniziato con una tag, poi sono diventate alcune, in ordine cronologico: Haze, Lupen III, Furto, Urto. Come tanti, ho continuato facendone tantissime altre, ho rovinato palazzi appena ristrutturati, marmi, treni, cartelli stradali e tanti altri supporti, perché era bello farlo, perché l’adrenalina saliva, perché era un modo per far sentire la tua voce.

A volte succede anche adesso, ma sempre meno. Il writer che vuole fare il “bomber” fa questo! Scrive più che può con tag, bombing, pezzi (lettere) su qualsiasi superficie. Scrive il suo nome ovunque.
Come ha suggerito Clet:

“ Il writer è come il cane che fa la pipì per marcare il territorio solo perché non ha il pollice opponibile e non riesce ad attaccare adesivi.”

Tutt’ora faccio parte di una crew (OCZB) che per molto tempo è stata tag sui muri e treni di diverse città. Catanzaro e Roma sono le prime testimoni. Un altro capitolo importante è stato entrare a far parte di una crew fiorentina Olè, dal 2009 al 2015 abbiamo scritto e dipinto tanto, poi le strade di tutti si sono divise.

Dopo un anno di stop ho intrapreso un percorso più solitario e in un certo senso più maturo. Non mi sento uno street artist, mi definirei più una persone che dipinge a volte su muri legali altre su quelli illegali, molto spesso però a casa. 

Quando mi concentravo sulle lettere ero visto come un vandalo che imbratta, da quando ho scelto di disegnare altro sono stato etichettato come “street artist”. La mia motivazione artistica però è sempre la stessa: esprimermi. In questo momento lo faccio sicuramente in modo più maturo e introspettivo. 

Foto: Urto

“La mia motivazione artistica è sempre la stessa: ESPRIMERMI.”

Urto

Cosa ti influenza o ti ha influenzato maggiormente nella tua ricerca?

Mi lascio influenzare da tutto quello da cui sono attratto, la musica, le emozioni di un momento, i colori. Sono affascinato da tantissimi artisti.
Per citarne qualcuno: Matisse, Depero, Picasso, Diego Rivera. Adoro la semplicità dell’arte primitiva, i batik africani e molto altro.

Lavoro come visual designer, per cui sono molto influenzato da tutto il mondo della grafica e dell’illustrazione, spesso infatti quello che propongo nei miei quadri prende ispirazione dal mondo della grafica e viceversa. 

Non amo ispirarmi alla società contemporanea, non mi piace sfruttare le notizie del momento per disegnare soggetti da dipingere, spesso tengo lontano le notizie in tv e quello che leggo sui giornali.

Credo che spesso tutto questo venga usato per essere più visibili, cavalcare la notizia è un atteggiamento molto furbo e molto “street art”, secondo me. Non è il caso di tutti, perché tanti artisti hanno portato un vero contributo alla critica sociale in modo molto intelligente e per nulla banale. 

“Lontano dai Mass Media”

Quello che provo a fare, a volte con molta difficoltà, è andare oltre. Quando raggiungo dei risultati spesso mi fermo e ricomincio da capo, mi piace mettermi alla prova cimentandomi anche in tecniche e soluzioni che non padroneggio, alla ricerca di una costante evoluzione.

Negli ultimi mesi ho abbandonato tutte le soluzioni e le tecniche che avevo consolidato negli anni precedenti, compresi i soggetti per i quali sono stato riconosciuto (i pesci). Erano diventati esercizi di stile svuotati di significato.

Ho provato a rimescolare le carte ripartendo dalle forme semplici, ho approfondito la ricerca sul colore ( il blu che amo alla follia) e ho creato delle nuove soluzioni fatte di sovrapposizioni che strizzano l’occhio al mondo della grafica.

Ho analizzato l’uomo, ho provato a trasferire sulla tela le emozioni, più che le forme “perfette”, gli stati d’animo e la mia quotidianità. Sto cercando di costruire un linguaggio nuovo, più sintetico, diretto e onesto, con meno fronzoli, senza nascondermi dietro le squame. 

Foto: Urto

Qual è il tuo punto di vista sugli artisti che passano da casa in strada e successivamente in galleria d’arte?

Ho diversi pensieri, credo che ognuno sia libero di fare quello che lo rende felice, quindi sono molto contento che tantissimi artisti si siano messi in gioco dipingendo in strada. Molti di loro hanno portato una ventata di freschezza e innovazione, da alcuni di loro ho imparato tantissimo e si è aperto un confronto molto costruttivo. 

Tanti altri hanno capito che essere presenti in strada è conveniente sotto tanti punti di vista. Il pubblico apprezza chi è più presente, ma qualità e quantità spesso non vanno di pari passo. 

Alcuni di loro a mio parere non hanno portato nulla di positivo alla scena street, alcuni hanno proprio affogato l’arte urbana. Per fortuna ci sono i writer che bilanciano con gli sfregi. 

“Se sei onesto e coerente puoi dipingere a casa, in studio o in strada e poi fare anche una mostra: è il più classico dei percorsi.”

Urto
Foto: Urto

Tanti altri invece si sono approcciati da subito alla strada, ma molti di loro ora che hanno capitalizzato con il loro lavoro dovrebbero fermarsi e continuare la loro ricerca.

Invece sono fermi a uno stencil o a uno sfondo colorato con delle silhouette, forse perché hanno l’approvazione del pubblico, poco istruito e poco curioso, o forse perché nella propria zona di confort ci stanno bene. 

Ovviamente questo è solo il mio punto di vista, forse l’importate è davvero esserci. Forse per questo non mi sento uno street artist, non sono mai stato così presente. 

Entrare in galleria fa parte di un percorso, non ci trovo nulla di male. Io stesso ho esposto in galleria, ma di sicuro quelle opere non si possono definire opere di street art, perché sarebbe un paradosso. Fare una mostra è un momento importante, hai la possibilità di mostrare il tuo percorso, i tuoi messaggi, il tuo linguaggio. 

Se sei onesto e coerente puoi dipingere a casa, in studio o in strada e poi fare anche una mostra: è il più classico dei percorsi.

Foto: Urto

Quando devi sviluppare un’opera, parti sempre da un progetto o ti piace improvvisare?

A volte ho un approccio molto tecnico e preciso: parto da uno schizzo, lo rielaboro al computer o su carta, faccio delle prove colore e poi arrivo all’opera compiuta. Anche se il più delle volte parto da un’idea che poi si traduce in un disegno e successivamente in un dipinto.

In tutto questo c’è sempre però una dose di istinto e di ispirazione che viene dal supporto: un muro scrostato o un pezzo di legno levigato dal mare hanno una storia da raccontare.

Ultimamente cerco di lasciar scorrere e di ascoltare, senza restare ancorato a dei soggetti o a delle forme, cosa che non ho fatto in passato e spero di non fare in futuro. Per me è divertente improvvisare senza pensare troppo al perché, è bello sporcarsi le mani, distruggere una tela o rovinare un muro. È bello sentirsi liberi, utilizzare la pittura come valvola di sfogo. Per me è una sorta di attività terapeutica. 

Hai progetti futuri che puoi svelarci?

Sto sviluppando e approfondendo il mio linguaggio. Sto provando ad abbandonare un po’ il blu e abbracciare tutti i colori, sto dedicando una parte del mio tempo a sviluppare tutto quello che mi piace e mi fa stare bene.

Ultimamente sto collaborando, grazie a Miles, con lo studio Nautilus di Carrara e sto dipingendo sulla ceramica. Un nuovo amore? Quello per il legno, ereditato da mio papà. Il prossimo anno mi iscriverò al corso di street art presso l’Istituto ANAS, per capire come fare delle linee perfette, trovare un messaggio semplice che tutti possono comprendere e diventare finalmente uno street artist pubblicitario. Poi chi lo sa, domani potrei smettere.