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Cinema

L’inno si innalza dal fondo dell’abisso – “Annette” di Leos Carax



Se precipito in un abisso, è a capofitto, con la testa in giù e i piedi in su, 
e sono anzi contento di esservi caduto in maniera così degradante: lo considero bello! 
E quando sono al fondo della vergogna innalzo un inno.

(Fedor Dostoevskij“I fratelli Karamzov”)

Quando nel 2012 usciva nella sale il divisivo “Holy Motors”, la musa e compagna di Leos Carax, Katija Golubeva era deceduta, suicida, da circa un anno e l’elaborazione del lutto da parte del regista passava, anche, dal suo complesso film-essay; trovando spazio nella dedica a Katija a fine pellicola e nella sequenza ambientata sui tetti del Samaritaine, dai quali il personaggio interpretato da Kyle Minogue si getta, lasciandosi morire.

Curiosamente, Carax aveva deciso di mettere in scena il suicidio utilizzando la grammatica filmica del musical, sulle note di “Who Were We?” cantata da Denis Lavant e Kyle Minogue

Who Were We?

La morte di Katja, il senso di colpa per la perdita, si erano così innestati e legati alla riflessione sulla mimesi di cinema-arte-vita che si dispiegavano nella ricorsività dei viaggi in limo lungo i boulevard parigini di Lavant.
Un fil rouge maturato fino allo scorso Luglio, quando “Annette” ha aperto il Festival di Cannes.

L’enfant terrible dei registi-critici dei “Cahiers du Cinema” ha fatto i conti con quel legame germogliato in “Holy Motors”. 

Nella pellicola del 2012 oltre la camera dal letto del regista si risvegliava dal torpore una sala cinematografica. Oggi Carax è invece sveglio e vigile assieme a Nastya, la figlia di Carax e la Golubeva silenziosa al suo fianco, mentre ci intima di far silenzio. Perché “gli autori sono in sala” e “la respirazione non sarà tollerata”.

Solo a quel punto, “May We Start”.

So May We Start?

Se possiamo davvero iniziare lo sa Carax, lo sa Nastya, lo sanno gli Sparks, autori della colonna sonora, lo sanno Adam Driver, Marion Cotillard e Simon Helberg e in definitiva lo sappiamo anche noi mentre osserviamo ognuno prendere il proprio posto, indossare i costumi e dare il via allo show. Il sipario si alza e la mdp valica il vetro dello studio di registrazione. 

Anteticamente da quanto avveniva in “Holy Motors”, lo spettacolo non imita la realtà. Nessuna divina mimesis, dovuta al trucco e parrucco di un attore feticcio chino su eleganti sedili in pelle e nascosto da vetri oscurati, avviene sulla scena. Al massimo, la prospettiva può rovesciarsi: non siamo più nelle case e nelle strade dove vivono e muoiono regolarmente i Denis Lavant, ma celati assieme a lui nelle poltrone del cinema (che speriamo siano eleganti ed in pelle come quelli delle limousine e non sgraziate e di legno Ndr.) coperti dallo schermo nero, ad osservare lo spettacolo che si fa vita oltre di esso. Ultimo baluardo di una quarta parete destrutturata, riflesso opaco di una sospensione dell’incredulità programmaticamente rifiutata. 

Perché tutto, o quasi, in “Annette”, è spettacolo, e tutto ciò che è spettacolo è artificioso, deciso dai Carax, dagli Sparks, dai cast che preparano le scene ad hoc dietro le quinte. È artificiosa la risata alla quale Henry/Driver guida il pubblico nei suoi stand-up (“Ridere, ridere, ridere!”); la catarsi (e mi assumo tutte le responsabilità nell’usare questo termine, nei giorni in cui la voce di Valerio Mastandrea ci rammenta la sua similitudine con catarro Ndr.) che le eroine dell’opera cantate da Ann/Cotillard generano.

È artificiosa la messa in scena dell’amore di Henry ed Ann (e davvero “They Love Each Oher So Much“), raccontato per fermo-immagini dai rotocalchi, sballottato in una tempesta magnificamente posticcia. E posticcia è la vita che lo spettacolo può generare: Annette, la prole dei due, è una bambola, un burattino senza fili grottesco. Un Pinocchio che può aspirare ad essere un bambino vero solo per metà.
La vita spira in Annette solo nella voce di soprano ereditata dalla madre; capace di vibrare solo quando illuminata dalle luci che aspirerebbero ad essere quelle di luna e stelle. Ma che si riducono, di nuovo, a quelle della ribalta. 

We Love Each Other So Much

E se è ancora valido che la forma è il contenuto, il musical non poteva che essere l’unica confezione possibile e necessaria alla tesi di Carax. Il musical, uno dei primi grandi generi hollywoodiani. Non a caso, è il primo film del regista ambientato fuori dalla Francia, nella Los Angeles delle fabbriche dei sogni, dove i riferimenti cinematografici vengono prima di tutto dal cinema americano, passando dalla “Folla” di King Vidor per arrivare ai cadaveri galleggianti nelle piscine di “Viale del tramonto”. Ancora, anche nelle influenze visive, un altro scarto da “Holy Motors” dove imperavano, ad esempio, suggestioni dall’“Uomo con la macchina da presa” di Dziga Vertov.

Nel musical la realtà si trasfigura nell’innaturale propensione al canto e al ballo. L’unica conditio sine qua non con la quale mettere in scena il posticcio ed artificioso spettacolo della vita, inteso non come lo vuole il cinema del reale (al quale chi scrive è particolarmente viziato Ndr.), ma quasi come suo grottesco ribaltamento, preso, modellato, coreografato, diretto e schiantato su un palcoscenico.

Sul(lo) (s)fondo, il fantasma di Katija.
In “Annette” si muore sul palco come le Tosche e le Madame Butterfly, e si muore sbattuti dai mari in tempesta dello spettacolo; i cui venti e schiume sono l’invidia, il narcisismo, l’ego artistico spropositato e violento. Quell’amore che per Henry diviene “guardare dentro l’abisso”; tantoché Leos ne approfitta per immergersene e vivere la sua personale autoanalisi, elaborare il proprio lutto passando dalla riflessione sulla perdita a quella sulla paternità.

Annette-Leos_Carax-Goldworld

E allora, come da “Holy Motors” evolve il punto di vista, così muta la dedica della pellicola, da Katija a Nastya. Così come Kyle Minogue rovinava dalla cima dei Lamartine verso il basso, Annette viene invece dal fondo dell’abisso e, assieme a Carax e Nastya, guarda in su, verso il padre: non c’è più niente da amare, nessun inno da innalzare.


Annette

Dir. Leos Carax
Prod. CG CinémaTribus P Films InternationalArte France CinémaThéo FilmsUGCDetailfilmScope PicturesWrong MenRTBFEuro SpacePianoGaridi Films.
Con Adam Driver, Marion Cotillard, Simon Helberg.
Francia, USA, 2021.