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Cinema

Don’t Look Up vs E noi come stronzi rimanemmo a guardare



SPOILER ALERT!!! In questo articolo si racconta il finale di entrambi i film; quindi guardateveli prima di leggere. Oppure no, non sono vostra madre.
Di recente mi è capitato di vedere due film che trattano argomenti simili: il primo è “E noi come stronzi rimanemmo a guardare”, ultima fatica di Pif con Fabio de Luigi, l’altro è “Don’t Look Up”, di Adam McKay.

Non voglio sperticarmi in una critica di come il cinema americano sia fatto meglio e quello italiano invece faccia schifo. Per prima cosa perché sono due modi molto diversi di fare cinema, e io li apprezzo entrambi; secondo, perché penso sia sciocco e inutile confrontare i due universi.

In questo caso, però, non è questione di mezzi, non è questione di attori, non è questione di effetti speciali fatti meglio: è pura e semplice scrittura. Questi sono, secondo la mia modestissima opinione di consumatrice, due film che possono insegnare come va scritto e come non va scritto un film.

Se volete una critica ben fatta sugli algoritmi e sull’influenza che i social media e le nuove tecnologie hanno sulla nostra vita attuale, guardatevi il film di Adam McKay, perché quello di Pif sembra scritto dal mostro finale dei boomer. Entrambi i film affrontano più di un tema, e lo fanno tramite l’utilizzo di diversi generi cinematografici. Ma.

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“E noi come stronzi” unisce una puntata di “Black Mirror” al tentativo di imitare l’estetica di “Blade Runner 2049”, ci infila in mezzo anche “Her” e “Minority Report”, ma comunque alla fine del film ti torna in mente solo Fabio de Luigi che se ne va in giro con l’armatura di Pegasus sulle spalle per un’ora e mezza (senza neanche trasformarsi), e non hai capito che cosa stai vedendo.

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A dieci minuti dall’inizio di “Don’t Look Up”, invece, hai già capito dove andrà a parare il film, e questo, dato che non stiamo guardando un thriller con Harrison Ford, è un pregio, visto che una volta afferrato il messaggio ti puoi godere tutto quello che viene infilato tra le righe (moltissimo). Sì, praticamente è un prequel di “Idiocracy”, esattamente quello che viviamo tutti i giorni. NB: “Idiocracy” è un film profetico del 2006, dell’amico Mike Judge (uno degli autori di “Beavis & Butthead” e “King of the Hill”).

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Entrambi i film usano il mezzo della commedia per raccontare una situazione tragica. In uno però ci sono battute terrificanti, faccette e personaggi che si imbarazzano a caso, ma soprattutto battute terrificanti pure SPIEGATE. Perché? Non vi fidate del pubblico? Perché uno sente il bisogno di spiegare una battuta? Oltre al parossissmo, oltre alle faccette, pure questo?

Nell’altro c’è semplicemente una scrittura intelligente e realistica. A parte ovviamente qualche momento estremo, sono tutte frasi sensate, tutta roba che potresti effettivamente immaginarti pronunciata da qualcuno. Un plauso peraltro al cinema di Adam McKay che riesce a fondere il surreale col realistico più o meno in qualsiasi situazione.

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Il finale. Entrambi i film finiscono male. In entrambi i film l’uso sbagliato della tecnologia/il social media/l’algoritmo, sebbene tramite percorsi differenti, porta al disastro. C’è però una grossa differenza che secondo me è fondamentale: l’essere umano.

Quello che quasi nessuno ha capito, guardando “Black Mirror”, è che la tecnologia, gli algoritmi, i social media non sono IL MALE. È l’essere umano e il modo in cui li utilizza a far sì che abbiano connotazioni negative se non addirittura disastrose. E Adam McKay questo invece l’ha capito benissimo, quindi mentre vediamo il film non ce la prendiamo con Facebook cattivo, o con le stories di Instagram, ma, come dicevo prima, assistiamo a una sorta di prequel di “Idiocracy”.

Nel film di Pif è evidente quanto sia netta la distinzione fra la tecnologia/male e l’essere umano/bene: anche se il messaggio veicolato non voleva essere quello, noi vediamo i poveri abitanti della terra in balìa del perfido “Steve Jobs” di turno che tira le fila delle nostre vite mentre noi non possiamo farci niente, perché siamo buoni e scemi.

Lo Steve Jobs di “Don’t Look Up”, invece, è cretino quanto può esserlo un qualunque essere umano che però ha un minimo di visione (e senza dubbio di genialità), ma che è accecato dalla semplicità di come vengono fatte le cose nel suo mondo, non rendendosi conto che la visione, spesso, non basta per far sì che le cose si mettano a posto da sole.

Concludo dicendo che “Don’t Look Up” secondo me non è un film geniale, ma ti spiega le cose bene.

Pif invece torni a Settembre.


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