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Rap

“Nicolás”, oltre l’album



“Nicolás” è il nome del nuovo disco di Egreen, uscito lo scorso 25 Febbraio. Il progetto, come molti sapranno, era stato anticipato dal singolo “Incubi”, un brano che è riuscito decisamente a smuovere le acque; e crediamo che questa cosa sia stata percepita da molti.

In questo nuovo progetto il rapper non si è affatto risparmiato. In tutte le tracce, che risultano molto varie, sia a livello di suono che di flow e argomenti, Egreen ha messo moltissima energia. Il risultato è un gran disco, oggettivamente, poi i gusti sono personali.

Egreen – “Nicolás”

  1. “Nicolás” (prod Big Joe)
  2. “Matematica” (prod. Big Joe)
  3. “Diario di bordo PT. I “Cosa è rimasto”” (prod. Seife)
  4. “Il problema” (prod. Zonta)
  5. “Fuck That” (prod. Shocca)
  6. “Cornici” (prod. Wokem Bemo)
  7. “Diario di bordo PT. II “Giugno 2019″” (prod. Seife)
  8. “Il ballo del perdente” (prod. Seife)
  9. “It is what it is” (prod. Shocca)
  10. “Incubi” (prod. Fid Mella)
  11. “Skyline” (prod. Neazy Nez)
  12. “Ridere piangendo” (prod. Wokem Bemo)
  13. “Diario di bordo PT. III “La 25esima ora”” (prod. Seife)
  14. “Non mi scordo” (prod. Wokem Bemo)
  15. “Intro” (prod. Cope)
  16. “Il Mare” (feat. Davide Shorty) (prod. Wokem Bemo) (Bonus track)

Un disco in cui il rapper si mette completamente in gioco, ancora una volta; accompagnato solo dal sound realizzato su misura da moltissimi producer, tra compagni di lunga data e nuove leve.

“Nicolás” ha risvegliato in noi ricordi, sensazioni e passioni che erano in letargo da molto, forse troppo tempo. Ci siamo confrontati parecchio e abbiamo ascoltato approfonditamente il disco. Abbiamo letto anche moltissime interviste che il rapper ha fatto con nostri colleghi e abbiamo proposto a Egreen questa chiacchierata.


Ciao Nicholas, come dicevamo, abbiamo letto moltissime interviste e articoli di colleghi riguardo al disco e crediamo che moltissimo lo abbia già detto tu stesso al suo interno.

A Billboard hai detto: “Fare rap rappresenta per me l’unica vera esigenza, l’unica costante nella mia vita da quando ho quattordici anni. C’è sempre stato, con un rapporto estremamente conflittuale, di amore/odio”.  (Link)

Il rap lo fai attivamente e questo è ovvio, ma oggi cosa si ascolta Nicholas? E cosa ha ascoltato nei momenti più duri per trovare la forza per andare avanti?

Diciamo che in questi anni mi sono tenuto sempre molto informato sulle release statunitensi di un certo tipo. C’è talmente tanta offerta che è davvero difficile stare dietro a tutto in maniera profondamente attenta. Quindi mi sono trovato un segmento del Rap USA che mi è piaciuto parecchio e in quello mi sono specializzato per un discorso di continuo aggiornamento e ricerca.

Egreen“Incubi” (prod. Fid Mella)

A livello di Rap Italiano invece, ascolti qualcosa?

Per quanto riguarda il Rap Italiano, ne parlavo con un altro giornalista la scorsa settimana… non è per pormi a un livello superiore di altri, ma il Rap Italiano, in ogni sua sfumatura, mi ha letteralmente stufato.
È una roba che molto spesso mi fa venire la nausea. Mi fa venire la nausea un certo tipo di Rap Conscious Italiano, come il Cantautorato Tecnico Italiano; paradossalmente mi fa venire meno la nausea il pezzo più pop di Guè.

Io e quelli come me, uno come Ensi per citarne uno, veniamo da una generazione che ormai è quasi estinta. Quella generazione che ha mangiato per anni Rap Italiano a colazione, pranzo e cena. Io mi sono proprio sfondato di Rap Italiano, di quel rap che mi ha cresciuto.
Poi ovviamente a un certo punto della mia vita sono stato più concentrato sul farlo che sull’ascoltarlo.

Oggi convivo tranquillamente senza sapere troppo di quello che sta succedendo nella scena italiana. Perché purtroppo l’Italia è circoscritta da delle dinamiche fortemente provinciali, e più o meno ci conosciamo tutti. Al solito tempo magari io non mi ritrovo nelle parole o nel linguaggio più giovane e quindi gli do probabilmente meno dell’attenzione che si merita.

Questo è un discorso che fanno in tanti comunque.
Lo stesso Kaos, per citarne uno, lo ha detto in un’intervista a Esse Magazine (Link). Per chi fa rap ovviamente è tutto un altro discorso rispetto a chi lo ascolta, crediamo che sia un ragionamento condivisibile.

Eh capito? Io credo che sia sicuramente un discorso discutibile, ma che allo stesso tempo abbia un suo perché.

Anche perché da sempre c’è quella cosa che: “Occhio ad ascoltare troppo Rap Italiano, specialmente quello fatto bene, perché poi finisci inconsciamente per ispirarti troppo”. Per fare un esempio, ovvio che se uno si ascolta Guè dieci ore al giorno, tutti i giorni, finirà quasi inevitabilmente a seguire la sua narrativa. 

I rapper che nella mia vita, un po’ tra le righe o meno, ho citato di più sono Bassi Maestro, Neffa e Fabri Fibra.
Io sono cresciuto in contesti internazionali, ma anche di provincia. Un disco come “Turbe Giovanili”, a differenza di “MR Simpatia”, è un disco di provincia; che per dei ragazzi come noi, nel quale ci siamo tutti rivisti, è stata una roba forte.

Si, tutt’ora ho dei capisaldi che mi stimolano e che mi tirano fuori dalla merda, però sono quelli storici.

“Questa è la stessa merda che m’ha salvato vent’anni fa”
“Skyline” –
Egreen

Vedo che escono dischi, ma è una roba che non mi interessa. Paradossalmente oggi per me, “per salvarmi”, è più importante avere una metodologia e autodisciplina; svegliarmi presto, fare le cose e stare sul pezzo. Credo che l’ultima volta che ho scritto un disco intero di notte era quando avevo 18, 19 anni…

Adesso faccio le cose che devo fare su dei beat che scelgo io, perché devo mandare avanti un progetto; lo faccio come se fosse un lavoro vero e proprio. Il tempo è fisicamente meno per fare tutto, quindi anche per dedicarlo agli ascolti di altri. Poi ci sono già io che scrivo come un matto.

Egreen-Nicolás_oltre_L_album-goldworld
Egreen

Anni fa, nel pezzo Amen”, dicevi: “Ci manca solo che un backpacker venga a farmi la morale…”
Oggi il Rap, rispetto a quegli anni, viene sicuramente preso in maniera meno seria.

Parlando per stereotipi, la mia concezione di un backpacker è quella di un certo tipo di persona della mia generazione e o quella precedente; il backpacker è quello che rompe ancora i coglioni sulla roba “Old School”. Il backpacker arriva da quello stereotipo newyorkese, oppure losangelino, degli anni ’90, in cui queste persone sono sempre in giro con lo zaino, con le cuffie, sono conscious… Diciamo che è gente che si mette in bocca la parola Hip Hop come se fosse una roba sacra, una sacra religione; e io mi riferivo proprio a quelli.

In molti casi, sono proprio quelli della vecchia guardia che a suo tempo non hanno avuto, non dico un po’ di lungimiranza, ma un po’ di apertura. Come quelli che, adesso credo che si siano estinti pure loro, dicono: “No guarda, dopo il ’98 non è uscito niente di meritevole”. Ehm no. Forse se non trovi nulla dal ’98 a oggi il problema magari sei tu. Le solite persone che nonostante tutte le underground hit che ha fatto KRS One nella sua carriera, suonano ancora e sempre e solo “Sound of da Police”. Credo che di pezzi fighi KRS ne abbia fatti giusto forse altri due o tre, altri venti o trenta.

Sono state proprio queste contraddizioni interne all’ambiente che a un certo punto hanno creato problemi. Io nel 2011 mi ascoltavo i Diplomats e c’erano quelli che dicevano: “Ma minchia quella è merda, quella è merda”. E invece no, non è merda, perché se vai a studiare dietro ai Dipset c’è tutto un discorso ad Harlem.

E oggi riesci davvero a non curarti più dei “backpackers”?

Sì, totalmente. Quando i problemi cominciano a diventare altri, le priorità shiftano.
Finché i problemi sono quelli è sintomo che non hai altri problemi nella vita. Ci sarà sempre qualcuno che dice una roba di troppo, una roba fuori posto. Ci sarà sempre qualcuno che ha un’opinione non al 100% attendibile. Ma finché il problema è dare addosso a sta gente… I problemi sono altri.

Credo che se oggi, dopo un disco così personale, mi preoccupassi di uno che rivendica delle cose, sarebbe come una mancanza di rispetto nei confronti di questo progetto. E ce l’ho per di più con la gente dell’Hip Hop che con gli altri. Con gente che ha fatto la storia di questo paese vent’anni fa, che ha ancora i beat nel computer ed è convinta che quei beat siano oro colato; e convinta che a prescindere per questo gli si debba essere dato un rispetto.

Il rispetto va dato alla gente che butta fuori le robe, alla gente che si mette in gioco. Alla gente che cerca di capire come si sta evolvendo la situazione, alla gente che sta al passo coi tempi. Perché stare al passo coi tempi non vuol dire per forza fare un pattern di ritmi con un 808 e accendere l’autotune.

Qualche settimana fa negli States è uscito il pezzo “Diet Coke” di Kanye West e Pusha T che è una bomba clamorosa. Ci sono Dj Mugs e Alchemist sono 3/4 anni che fanno uscire dischi con rapper della nuova leva underground statunitense ogni tre mesi. Li caricano su Bandcamp e via. Non sono li a dire: “Ah ma io ho fatto “Return of the Mac” con Prodigy, io ho fatto “1st Infantry”; oppure io ho fatto “Temples of Boom”.

Egreen“Nicolás” su Spotify

Forse a un certo punto è mancato il supporto sano e vero della fanbase, la connessione della comunità, della scena e dell’industria.

Nella cerchia dei presumibilmente veri, oggi, c’è molta più informazione e gente che si informa, grazie al cielo. Ci sono stati anni in cui anche in quella cerchia lì c’era un tasso di disinformazione altissimo.

Il problema è stato quello, non sono stati i primi live in discoteca nella seconda decade degli anni 2000. Il problema è stato che dall’altra parte è andata a scemare sempre di più la quantità di concretezza sull’altro piatto della bilancia.
Dall’altra parte non c’era niente o c’erano solo dei quasi anziani che erano abituati al ’98; ma non era più il ’98, le cose erano e sono cambiate. Poi se ci si pensa, anche nel ’98 c’erano i sucker, i fake, i babbi, quindi… voglio dire…

Tutte queste frasi fatte sull’Hip Hop, questi stereotipi e questi dogmi… Non a caso la mia generazione è stata decimata, letteralmente annientata, in fosse comuni da quelle precedenti. Della nostra generazione chi cazzo è che si è salvato? Sì, si sono salvati quelli intelligenti, che hanno fatto delle scelte, opinabili o meno, quelli che hanno fatto il botto.

Sempre da Billboard: “Shocca mi ha detto che se “Incubi” fosse uscito due anni fa avrei fatto la figura del boomer” (Link). Paradossalmente, è probabilmente vero, ma oggi, il risultato è decisamente diverso. Cosa è cambiato per te in questi anni?

Cito un amico che mi ha detto una cosa molto intelligente quando gli ho fatto sentire il brano.

Forse questa potrebbe essere la chiave di volta, o la chiave di svolta *ride*; nel senso, siamo arrivati a un punto in cui questa bolla del rap italiano, che è sembrata ingrandirsi sempre di più negli ultimi anni, forse da qualche parte sta avendo qualche piccola valvola di sfogo.

Io non so se musicalmente siano maturati i tempi. Non so se tutto questo rappresenta una curva infinita, piuttosto che un ciclo, perché anche questo è un altro dibattito molto interessante; però siamo arrivati a un punto in cui, credo, ci sia una saturazione ambivalente. In primis fra contenuto e contenitore e in secondo luogo, in maniera equamente importante, fra verità e dispensatore del vero.

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Egreen e DJ Shocca – Foto di Manolo Sinibaldi

Forse ora più gente ha voglia di ascoltarsi qualcosa di vero, ma proprio di vero vero.

Non lo so.

Io sono stato molto sorpreso dal fatto che sia stato recepito così intensamente quel pezzo (“Incubi” n.d.r.). Perché cioè raga, è la mia storia, che però è anche la storia di tanti altri, come in molti mi stanno scrivendo; ed è un pezzo di dieci minuti… Questo mi fa riflettere. Cazzo, siamo così alla frutta che una roba del genere piace così tanto?

Abbiamo trovato molto interessante il discorso che hai fatto sulla blockchain a Redbull (Link); non tanto per questa nuova tecnologia di per sé, ma per le possibilità che può fornire.

Io sono molto legato a questa sorta di principio etico che c’è dietro il concetto di Internet 3.0, di blockchain, al concetto di decentralizzazione. Questo secondo me è un momento particolare; che poi si collega anche alla DeFi, però lì è un discorso un po’ più di finanza.

Io credo che tutto sta e starà nel come un artista, un imprenditore, un’azienda riuscirà a comunicare in maniera diretta le sue intenzioni al suo interlocutore. Quindi questo, applicato a tutto questo nuovo mondo, secondo me è molto interessante; perché si parla di accorciare drasticamente il tragitto fra l’utilizzatore e chi propone un’opera d’arte, un servizio o una canzone.

Infatti è molto interessante la possibilità che darà di connettersi 1 a 1, così da tagliare tutti gli intermediari, non più necessari.

Questa cosa per me è fondamentale e il taglio netto dei middleman, dei mediatori, dei faccendieri, dei terzisti è quello che serve per arrivare alla gente nella maniera più diretta possibile. Ed è lì che poi si va a unire questo discorso digitale della blockchain. A quel punto le lettere “n”,”o”,”i” acquisiscono un valore reale.

È una cosa alla quale mi sono avvicinato inconsapevolmente attraverso il crowdfunding nel 2015/2016. Il discorso era quello, poi tutto il focus mediatico si è concentrato sul mezzo Music Raiser, che era la piattaforma con cui ho lanciato la raccolta. Forse era troppo presto e non sono riuscito a veicolare il messaggio che avrei voluto passare, nonostante l’operazione sia stata un successo; senza togliere niente alla piattaforma.

Infatti non a caso d’ora in poi farò delle attività, nel mio piccolo, per sensibilizzare a Bandcamp; ma non perché è Bandcamp, perché come servizio trattiene solo il 10% di royalties sul mio disco. Disco che tra l’altro ho in vendita in formato digitale a 1€ sulla piattaforma.

Interessante anche la scelta di aver conservato, sino a Venerdì scorso, la bonus track “Il Mare” con Davide Shorty, per chi ha acquistato la versione digitale del disco su Bandcamp; supportandoti direttamente.

È importante che la gente capisca che, in un’epoca in cui è bombardata di informazioni, di cliché, di stereotipi, di narrative allucinanti per venderti un disco; non è Music Raiser, è il crowdfunding, non è Ethereum, è la blockchain. Non è Bandcamp ma è l’opportunità per me artista di guadagnare in maniera fair, in maniera equa.
Quello è il vero concetto.

Tra l’altro secondo me questo tipo di modus operandi, senza middle man, nella mia visione romantica della musica e della vita, rappresenta oggi l’underground. Un underground che ormai non esiste più; perché se vai a vedere oggi ci sono tantissimi ragazzini o “artisti urban” che con neanche 1000 follower in bio hanno scritto: management… booking… C’è qualcosa che non va.

Io non dico che sia una cosa sbagliata, però è allarmante che non ci sia dall’altra parte un contrappeso metaforico a questa cosa. Un contrappeso reale. Poi ovvio, ogni artista è diverso, alcuni lavorano bene in major, altri no. Non c’è niente di male nei servizi offerti da terzi, ma nel mio caso, ora come ora, non funziona. 

Egreen – Bandcamp (Link)

Abbiamo letto anche dei problemi finanziari legati all’esperienza precedente.
Nonostante questa brutta esperienza pensi che torneresti in major?

Mah, il paradosso di quella situazione è che io non mi sono trovato male in major. Ho gestito male io le cose finanziariamente.

In questo momento il carico di stress legato a un’operazione da indipendente è alto, ma lo vivo in maniera molto più serena, perché ho tutto sott’occhio. Vedo cosa succede e vedo fino a dove posso spingermi. Lavorare con la gente che arriva dal mio retaggio e dalla mia epoca, in un contesto di questo tipo, è molto più semplice; e in questi casi è più difficile che subentrino terze parti che possono rallentare il tutto. 

Non precludo niente, ma sinceramente non so tra quanto vorrò lavorare a un progetto musicale che mi ponga il dubbio sul cosa fare in questi termini. Cioè, sicuramente vorrei fare “LO VE 2″ con Nex Cassel e, perché no, magari un altro mixtape; ma questi sono due tipi di progetti molto diversi da un disco personale come “Nicolás”. Sono progetti che so di saper gestire completamente, progetti che hanno una mole di lavoro molto diversa da un disco ufficiale.

Come detto prima: io non precludo niente, se dovessero arrivare proposte vediamo; è molto più facile lavorare con i soldi degli altri che con i propri.

Però pensiamo che la soddisfazione da indipendenti, specialmente se i risultati sono questi, sia elevata.

Sì, totalmente. Anche perché se tutto va bene è merito tuo e se tutto va male è colpa tua; ma non è né colpa di uno, né merito dell’altro.

In questo disco nulla è stato fatto senza il mio totale benestare. Sono stato insieme al grafico, insieme agli stampatori e ho mixato con il fonico; tutte attività che, per come sono fatto io, devo avere tutto sotto controllo e ora rappresentano per me l’unica maniera di fare le cose.

Nella traccia “Il Problema” dici “Immagina la Jugoslavia dei Novanta tutti i giorni. Immagina firmare per la leva, ma non sai se torni. A me ‘sta roba ha cambiato la percezione”.

Questa non è probabilmente la sede più adatta per parlare di determinati temi; ma cosa significa vivere quelle situazioni? Quanto ti cambiano e cosa ti lasciano addosso?

Io sono sempre stato informato su quello che è successo nella storia degli anni della Colombia, che è il mio paese. Ho una storia particolare e sono sempre stato molto legato a quello che è successo là in quegli anni. Il fatto di essere stato lì l’anno scorso e parlare più volte con persone della gioventù studentesca, gente di media borghesia colombiana, mi ha permesso di sensibilizzarmi ancora di più sulla causa.

Citando esattamente quelle barre, è un paese dove respiri ininterrottamente la guerra; che ha avuto varie fasi e protagonisti negli ultimi 70/80 anni. È quasi normale ormai…

Sono situazioni in cui, se sei una persona come me, non riesci proprio rimanere imparziale o impassibile. Vivere determinate cose è stato un reminder che mi ha sempre ricordato che il mondo è grande e che in alcuni posti ci sono vari privilegi. Vivere in un paese del genere ti cambia il punto di vista delle cose.

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Egreen – Foto di Gregorio Díaz

Arriviamo al post disco.
Hai annunciato le date di Milano, Bologna e Treviso. Le prime due sono già sold out, hai già in programma altre date?

C’è il calendario aperto, anche sul lato booking abbiamo intrapreso un rapporto di gestione diretto. Stiamo vagliando varie situazioni, ma diciamo che questo momento di congestione degli eventi in Italia sembra che stia arrivando alla fine.

Per i locali non è semplice e stanno facendo una fatica pazzesca. Non è semplice suonare in giro ma vediamo un po’.

Hai recentemente lanciato il Digipack del disco presto uscirà anche il Merch. Stamperai anche il vinile di “Nicolás”?

Sì, certamente, anche se negli ultimi anni l’industria del vinile ha avuto grossissimi problemi.
Sicuramente appena sapremo qualcosa in più lo comunicheremo sui nostri canali.

Grazie del tuo tempo e per il disco Nicholas, in bocca al lupo e alla prossima!

Ciao ragazzi, ci vediamo ai live!


Intervista e Articolo a cura di Ottavo Colle e Pietro Raheem.


Le tracce “Nicolás”, “It is what it is” e “Skyline” sono presenti, o sono state presenti, in Keep Playin’, la Rap Radio Playlist di Goldworld su Spotify!
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