Come Apple TV Plus mi ha fatto far pace con la serialità televisiva
di Omar Rashid6 Maggio 2022
Ok, al contrario di quanto scritto nel titolo, forse non ha più senso chiamarla serialità televisiva, dato che questo formato narrativo oramai vive prettamente su piattaforme digitali come Apple TV, ma ci siamo capiti.
Chi mi conosce sa quanta poca stima io abbia verso le serie, prevalentemente perché sono appassionato di storie e, tra scegliere di seguirne una che dura venti ore o dieci dalla durata di due ore, ho sempre preferito il formato cinematografico.
Ovviamente ci sono molte eccezioni, serie televisive che ho seguito ed adorato (per citarne alcune del passato Lost, Breaking Bad o How I Met Your Mother), perché chiaramente alcune storie, soprattutto quelle corali, hanno bisogno di più di due o tre ore per essere raccontate, ma tendenzialmente la mia scelta era di ignorarle.
Questa visione miope è stata sicuramente condizionata da scelte produttive scadenti, come quella di portare avanti dei racconti senza che ce ne fosse una vera ragione, se non quella di allungare il brodo (come è successo per esempio con Dexter, che poteva avere una chiusa spettacolare con il finale della quarta stagione), oppure quell’altra tendenza odiosa della cancellazione perché il prodotto non ha ottenuto gli obiettivi fissati sullo share.
Nel cinema, a parte quando si parla di saghe cinematografiche, la storia viene raccontata, più o meno, nella sua interezza; nella televisione (si, ok, nelle piattaforme) invece è sempre più frequente trovare serie composte da una stagione che si concludono con un cliffhanger che non verrà mai più esplorato.
Questo trend orripilante che purtroppo si è affacciato anche nel panorama cinematografico, come nel clamoroso caso di Maze Runner di cui esistono quattro film e che si è interrotto alla prima parte del capitolo finale (lo spiego meglio perché è assurdo: si sono fermati alla prima metà del quarto capitolo che era previsto in due film, come se Harry Potter e i doni della Morte non avesse avuto una seconda parte).
Sicuramente Netflix ha accentuato questa fenomeno, grazie alle loro produzioni super scadenti portate all’eccesso perché funzionanti da un punto di vista di pubblico (come l’orribile Casa di Carta) contro le cancellazioni illustri di prodotti di qualità ma poco compresi (come l’interessantissimo The OA).
In tutto questo panorama c’è da aggiungere anche il moltiplicarsi della concorrenza delle piattaforme che hanno relegato Netflix nella posizione di essere l’equivalente del McDonald della narrativa audiovisiva (si, perché se sulle serie hanno compiuto mosse discutibili, sul fronte cinematografico, tranne delle perle di rara bellezza, hanno sfornato una serie di brutture inenarrabili).
Ma se Netflix vive solo ed esclusivamente grazie alle sottoscrizioni degli abbonati, Amazon Prime, Apple TV Plus e Disney Plus ripongono nelle piattaforme streaming solo parte del loro business e quindi possono permettersi un approccio totalmente diverso e quindi più a servizio del contenuto.
Infatti, come oramai sentiamo dire da Google da vent’anni: Content is King.
L’approccio di queste ultime, proprio perché non hanno l’esigenza di sfornare prodotti incessantemente, è qualitativamente più alto e molto più traghettizato.
Apple TV Plus
Ed è così che, dopo aver fatto la sottoscrizione ad Apple TV Plus per recuperare l’unico film che non avevo visto tra quelli nominati agli Oscar, il bellissimo MacBeth di Joel Coen, ho iniziato a dare un’occhiata al catalogo, iniziando a recuperare la tanto osannata serie Ted Lasso. Strepitosa.
Dopo averla divorata, ho provato a vedere la serie fenomeno di cui tutti stavano parlando, Scissione, diretta prevalentemente da Ben Stiller. Anche questa pazzesca.
Infine ho dato un’occhio ad altre tre serie, Mythic Quest, Servant e Calls (quest’ultima veramente geniale).
Tutte ben fatte e superconvincenti.
Diciamo che ho provato a spaziare nei generi delle serie e ho finalmente trovato ciò che proprio non sono mai (o quasi) riuscito a scovare nel catalogo Netflix: prodotti di qualità che raccontano storie di cui mi importa qualcosa.
Quindi, come dicevo nel titolo, questo tipo di contenuti mi ha fatto far pace con il mio pregiudizio che da tempo mi faceva schivare le serie a prescindere, anche se continuo e continuerò comunque a preferire i film.
Ora, non sono pagato da Apple TV (purtroppo) e non mi interessa promuovere per forza la piattaforma, ma il punto cruciale è un’altra massima di Google, che più che mai ha senso di esistere in questo periodo complesso e di riscrittura delle priorità: Less is More.
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