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L’EQUIPAGGIO È SACRIFICABILE
STYLE

Come il Pitti Uomo 81 mi ha cambiato la vita



Come posso dismettere i panni del lercio e ignorante loser da studente fuori sede a Bologna?

Non sono servite le minacce di amici, genitori, professori e persino della fidanzata. Non sono servite le rigide direttive dei vari datori di lavoro, con serie minacce di licenziamento. Provo allora con il ritorno nella patria toscana, trasferendomi a Firenze, noto fulcro del benvestire.

Ecco, magari è la volta buona…

Tutti sanno cos’è il Pitti, no? Sono lustri che chiunque veda un notiziario o legga un qualsiasi quotidiano sa che in quei giorni la città fiorentina diventa la meticolosa “capitale della moda”.

Mi viene quasi per caso proposto di addentrarmi in “Pitti Immagine Uomo 81“, ossia ne “La piattaforma più importante a livello internazionale per le collezioni di abbigliamento e accessori uomo e per il lancio dei nuovi progetti sulla moda maschile”, come cita l’orgoglioso disclaimer sul sito. Ben conscio di essere fuori dal meccanismo della moda e delle sue relative manifestazioni ed happening, considero immediatamente la possibilità di andare a curiosare in quello che è a pieno titolo “l’ombelico del glamour” dei fashion addicted di tutto il mondo.

Magari imparo qualcosa, mi dico.

La mia prima esperienza al Pitti si svolge in compagnia di Frengo, audace e stiloso collega fotografo col mustacchio. Incaricati da Omar a fare un collage di impressioni, il giorno 11 ci incamminiamo.

Foto di Frengo

Rimango subito impressionato dalla serietà e dall’organizzazione che noto all’interno della cancellata della Fortezza. Decine di Patrick Bateman con l’accento milanese e preziosi taccuini, di giapponesi con reflex imponenti e di hipster malvestiti che corrono ovunque dentro e fuori dalla sala stampa.

Sembra di essere in “Toby Dammit” di Fellini, con più Vuitton e meno uomini di chiesa.

La sala stampa meritava per i succhi di frutta, la ragazza che ce li serviva e le stampe a tutto muro delle fotografie del fiorentino Marco Poli. Inoltre era curioso constatare le murate di cartelle stampa dei vari brand che sembrava nessuno avesse notato, nonostante l’impegno dai grafici delle varie aziende.

Scendiamo e ci addentriamo tra i roboanti cortili della rassegna, quasi delusi nel vedere che le nostre aspettative erano state un po esagerate forse.

Ci aspettavamo sosia di Alba Parietti nell’89, seguaci di Karl Lagerfiel e sneaker-maniaci muniti di Jordan IV in fibra di platino e New Era in pelo di zebra, ma non è così. La fauna invece è molto sobria, molto su di età e composta per lo più da rampanti uomini d’affari accompagnati da giovinastre che attendono solo di raggiungere le vette della moda grazie a qualche qualità che non è dato conoscere. Soprattutto le persone sono li per farsi fotografare da qualcuno o per fotografare qualcun’altra: spesso si sorride vedendo che ci si scambia scatti offerti a vicenda, quasi fosse una silenziosa gentilezza o segnale d’apprezzamento.

Sembra impossibile riuscire a guardare tutti i 59.000 mq di superficie espositiva, per circa 1.073
marchi e collezioni. Infatti procediamo per lo più ad esplorare le sezioni “Ynformal” ed “Urban Panorama“, quelle meno legate al glamour e alla moda generalmente considerata, ambiti che considero più interessanti per me e che meglio si addicono a questo spazio goldiano.

Foto di Frengo

Da una parte marchi ormai affermati come Eastpack che presentava una nuova collezione “Artist Studio” del suo classico Padded Pak’r, gli sfrontati Phonz Says Black e le loro giacche molto rock’n’roll, le Dr. Martens che sono sempre le più stilose e desiderate, quelli tamarrissimi di Superdry che inondavano la kermesse di house grazie al dj accanto all’ingresso del padiglione e Carhartt, i più sobri eppure i più realistici ed intensi.

Dall’altra parte una schiera di artisti emergenti o underground dei quali mi sento di citare i romani di Bakuto893 ed il suo simpatico responsabile, che ci ha spiegato quanto è importante la cura di ogni dettaglio, anche nella ricerca ossessiva di elementi del passato per creare un look vintage ma dal taglio sartoriale moderno. Le creazioni di Gemma Shiel per Lazy Oaf, dallo spiccato gusto pop e coloratissimo. Degni di nota le creazioni gioiellistiche di Mario Pini, che metteva sotto gli occhi teschi, ragni e borchie in gioielli molto curati. Interessanti anche le riedizioni di slip on e all stars per mano di Gienchi, che violenta il tutto con brillantini e borchie.

Degni di nota anche due progetti paralleli: il “It’s Graphic Now!” e il “New Project! Tokyo Fashion Week in Italy“. Elementi non propriamente legati alla moda ma probabilmente più alla comunicazione. Il primo include 14 giovani graphic designer che allestendo le loro opere giganti nel piazzale della fortezza, definiscono il layout del Pitti, arricchendolo di una comunicazione visiva che parte dalla parola e guarda al futuro. Il secondo, porta 20 marchi giapponesi tra i più interessanti della scena creativa nipponica, molto poco sobrie e ad alto contenuto modernistico.

In conclusione un evento naturalmente molto d’impatto, senza particolari eccessi o entusiasmi, quasi fosse ormai adagiato sulle lodi tessute in questi anni. Personalmente credo che ci si possa aspettare di più da quello che è considerato un evento di importanza così assoluta, magari osando di più nelle proposte e selezionandole meglio. Si ha spesso l’impressione che si sia fatto un melting pot poco ragionato di tutto quello che il mondo del fashion rappresenta.

Beh, sicuramente d’ora in poi io passerò più tempo davanti lo specchio per ragionare sugli abbinamenti coi quali uscire. Magari mi comprerò anche un Woolrich o un paio di Hogan (seh, come no…). Yeah, non sono più un lercio e ignorante loser. Ok, almeno non più lercio o ignorante.

Foto di Frengo

PS: ci hanno anche messo tra i Pitti’s Best People!!