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La bizzarra invadenza del bisticcio politico all’italiana




Illustrazione di Edoardo Bussetti.

Vivendo nel Sud est asiatico, ogni volta che torno in Italia mi diverto molto a fare il turista a casa mia. Il gesticolare della gente, l’abitudine di prendere il caffè in piedi al bancone, la pausa pranzo dei negozianti, gli incolonnamenti disordinati delle auto ai semafori, la posizione ortogonale della luna rispetto all’orizzonte, sono solo alcune delle tante pennellate che colpiscono la mia attenzione. Ogni volta che l’aereo atterra a Fiumicino è bello immaginare come tutto sia cambiato, ma è ancora più bello scoprire che molto è rimasto come prima.

Di questi tempi fra le cose che invece noto cambiate, o quanto meno acuite, c’è un grigiore e un pessimismo di fondo nelle persone, sempre più suscettibili, sempre più aggressive. Senza fare retorica, io lavoro in paesi in via di sviluppo, che sulla carta dovrebbero stare molto peggio di noi, eppure, paradossalmente, lì le persone ridono, sperano, si entusiasmano e sognano molto più che qua.

Ultimamente la cosa che mi colpisce più di tutte è però quanto siano politicizzati gli italiani. Tutti sofisticatissimi politologi, tutti che hanno qualcosa da recriminare, tutti che ne sanno troppo e forse troppo poco. Arrivo all’aeroporto e il tassista, nel tragitto verso casa, sfoga le sue frustrazioni esistenziali additando la classe politica. Entro in un bar e il barista si lamenta che gli affari non vanno come dovrebbero a causa ovviamente della politica. In treno è sufficiente chiedere al vicino di posto un semplice “Come và?” per innescare un diluvio di lamentele contro l’Italia, la sua classe politica e il sistema in generale.

Ormai la politica è entrata con tale prepotenza nelle nostre vite quotidiane che parliamo dei politici come se fossero delle super star hollywoodiane, discutendo con un pizzico d’invidia delle loro vacanze alle Seychelles o alle Maldive, delle signorine 30 anni più giovani che si portano appresso, e magari dei costumini rosa a fiori che indossano per l’occasione. Ho notato anche che il fascino morboso della politica ha contagiato molti dei miei amici che sono rimasti a vivere in Italia. Alcuni ci si sono buttati dentro a testa bassa, rendendola un lavoro. Altri invece hanno cominciato pure loro a dare la colpa alla politica tutte le volte che qualcosa non và.

Con il passare dei giorni tutto questo non mi meraviglia più così tanto. Capisco che i media ne sono totalmente monopolizzati. Accendo la televisione e le trasmissioni che approfondiscono temi politici spuntano in prima serata come funghi in un bosco umido. Le prime pagine dei giornali sono sempre e comunque occupate dalla politica. I giornalisti che vengono considerati di spessore sono quelli che trattano esclusivamente temi di politica nazionale. Allora, camminando con le mani in tasca, abbasso gli occhi e immagino: E se un asteroide proveniente dallo spazio fosse in rotta di collisione con il nostro pianeta? Chissà, forse si riuscirebbe a trovare un risvolto politico anche in quello, e i soliti politici di professione verrebbero subito invitati nei salotti televisivi per spiegarci come stanno “davvero le cose”.

Ma la politica è davvero la causa o la panacea di tutti i mali? E chi ha detto che è la forma più aulica del pensiero di una società? E perchè l’elite politica di questo paese pare autorizzata a parlare di tutto e tutti? Che fine hanno fatto, alla radio e in televisione, oppure nelle conversazioni attorno alle tavole da pranzo e nei salotti, la scienza, la filosofia, l’astronomia, la fisica, la psicologia, l’antropologia, la musicologia, la tecnologia, la biologia, l’archeologia, la medicina, e tante altre discipline fondamentali per una società progredita?

Non è possibile che tutto venga spiegato con una logica politica. C’è una asimmetria mediatica e culturale che sorvola i veri motori del cambiamento e di sviluppo. Inizio a temere che qui in Italia la politica sia una strada a senso unico, se non un vicolo cieco, dove vengono fagocitati anche i nostri uomini migliori.

Ho insomma l’impressione che in Italia le persone ripongano troppe aspettative nella politica. E’ ancora forte l’idea che siano i programmi politici a cambiare un paese, ad alzare i salari, a migliorare la qualità di vita. Se così fosse basterebbe esportare nei paesi arretrati i programmi politici dei paesi più avanzati e si azzererebbe ogni divario.

Ma un cacciatore, per ammazzare una preda, non deve solo prendere la mira, deve avere anche un’arma all’altezza della situazione. Se si spara con un fucile difettoso, o di calibro inadeguato, la preda non la si prenderà mai. Ecco, per me, il cacciatore rappresenta la politica e il fucile è la vera ricchezza di un paese. Quella ricchezza è costituita da efficienza, competitività, ricerca, produttività, competenze, creatività, imprenditorialità, innovazione, organizzazione, meritocrazia, saperi comuni e valori condivisi.

Questi fattori sono i veri produttori di ricchezza e i veri motori del cambiamento. La politica al contrario non produce ricchezza. Può solo distribuirla o indirizzarla. Mi fa strano come la gente in questi giorni scenda in piazza a protestare per i salari, per le pensioni, per la casa o per l’occupazione. Intendiamoci, tutte cose sacrosante. Ma queste sono gli effetti e non le cause del problema. Limitarsi alla distribuzione della ricchezza vuol dire battersi solamente per ottenere più degli altri, non per migliorare davvero la situazione di tutti.

Assistendo allo sproloquio e ai bisticci quotidiani dei nostri politici mi viene in mente un libro particolarmente illuminante di Jared Diamond: “Guns, Germs and Steel”. Diamond è uno scienziato che, attraverso un’analisi poliedrica e multidisciplinare, arriva a delle conclusioni sorprendenti su cosa muove davvero la storia. Ovvero non tanto le gesta dei sovrani e dei condottieri (i politici), ma l’adozione di certe tecnologie e addirittura la propagazione di certi microbi.


Illustrazione di Marco Goran Romano.

Insomma, non mi sembra giusto dare troppo peso ad una sola componente della società. Oltretutto ho sempre pensato che è da fanatici considerare un qualcosa tanto più importante da superare qualsiasi altra cosa. Per comprendere e quindi eventualmente risolvere un problema è sempre bene osservarlo da diverse angolazioni.