Una questione etica | Riflessioni sulla comunicazione e la pubblicità pt. 2
di Emilia Giubasso19 Settembre 2023
Quando si parla di etica nella pubblicità, la questione diventa spinosa.
Un altro tema che si aggiunge a quelli affrontati nel precedente articolo “Una questione etica pt.1”, è quello della necessità della comunicazione di adattarsi a movimenti sociali come la body positivity o il no gender e la tendenza al voler risultare sempre più etica, autentica e trasparente.
Il brand, in quanto sempre più simile a una persona, è chiamato continuamente a prendere una posizione e comunicarla, e nel far ciò non mancano i fail o le accuse di strumentalizzazione da parte dell’utenza.
Gli utenti sono in grado di valutare in modo critico l’attinenza al brand a tale contenuto, la correttezza della forma espressiva usata e l’attinenza ai nuovi termini correlati. Hanno sviluppato un’avversione rispetto all’advertising e sono sempre pronti a scovare le “trovate pubblicitarie”, poiché costantemente bombardati da questo tipo di contenuti.
C’e chi però riesce ad assecondare lo stato d’animo dei consumatori rispetto alla “cattiva” pubblicità. Sul tema, vi riporto un caso studio che trovo significativo.
Si tratta di VeraLab, un brand creato nel 2015 da Cristina Fogazzi, per la cura della pelle e del corpo.
Da un centro estetico a Milano al blog “L’estetista Cinica“, questa imprenditrice ha conquistato fiducia e successo tra le sue follower. La sua competenza e la sua schiettezza le hanno permesso di trasformare il modo di promuovere la beauty experience, anche per il suo brand.
Ecco quindi che VeraLab fa breccia nel sentire comune delle donne e inizia a raccontare verità che raramente sono oggetto di comunicazione di un brand di prodotti di bellezza. VeraLab, esibisce gli inestetismi del corpo e sbugiarda le narrazioni immaginifiche e poco credibili di molti dei suoi competitor.
Le persone sono quindi sempre più alla ricerca di brand etici, specialmente le nuove generazioni. L’audience ha il potere di skippare i contenuti, commentare e mandare feedback. Si potrebbe dire che ha proprio il dovere di essere consapevole ed esercitare un sano spirito critico.
Cosa possiamo fare quindi per produrre una comunicazione quanto più etica possibile?
Una questione centrale è quella del dover dichiarare che stiamo facendo un’operazione di vendita. È fondamentale che questo sia chiaro, per poter dare gli strumenti al consumatore per crearsi una barriera di difesa e quindi dargli modo di scegliere anziché subire.
Non creare messaggi mistificanti, ovvero che utilizzino modi, linguaggi e strumenti che lascino intendere altro rispetto all’obiettivo finale, quello della vendita di un prodotto o servizio.
Trovare il giusto equilibrio tra l’esigenza di accontentare la committenza e quello di aiutare il consumatore a scegliere.
Anche utilizzare categorie di persone con una situazione precaria per vendere un prodotto, è uno dei tanti esempi di comunicazione la cui etica è fortemente discutibile.
I pubblicitari non sono chiamati a decidere direttamente cosa è buono comunicare, ma possono comunque usare la pubblicità come un servizio al fianco del consumatore, anziché uno strumento a totale disposizione dell’azienda.
Naturalmente i pubblicitari usano poi degli artifici creativi per comunicare, e allora dov’è il confine oltre il quale il messaggio della comunicazione inizia ad essere inesatto o fuorviante? Non è forse vero che il modus operandi pubblicitario faccia un uso strategico delle emozioni in funzione di alcuni aspetti a volte oscuri del marcato?
Queste sono solamente alcune delle infinite contraddizioni sul tema dell’etica della pubblicità, e probabilmente saranno sempre oggetto di dibattito; tuttavia possiamo sicuramente produrre racconti che siano universali, evocativi, profondi, e che riescano perfino a raccontare grandi verità.