E’ un articolo troppo bello.. Dovevo postarlo…
di Benedetto Ferrara da “La Repubblica – Firenze” del 04 ottobre 2008
Un giorno di fine primavera lui se n´è andato via. E quel giorno noi abbiamo respirato lacrimogeni e rabbia, polvere e disperazione. Sì. Un amore interrotto. Un sentimento che all´improvviso è salito su un treno per andarsene altrove. E noi stavamo a guardare quel treno che lentamente si allontanava, lasciandoci lì come degli scemi, amanti solitari con gli occhi puntati nel vuoto e la testa frullata di ricordi, fotografie, dribbling veloci, sorrisi appassiti e illusioni che non siamo mai riusciti a cancellare del tutto dalla memoria del nostro hard disc interiore. Così andò per Roberto Baggio, quel ragazzino dallo sguardo furbo e dai piedi incantati che una vita fa era il nostro futuro e che invece nel giro di un soffio divenne passato imperfetto e arrabbiato, anche se poi uno passa il resto dei giorni a far finta di niente, perché l´orgoglio è orgoglio e un tradimento l´orgoglio te lo tira fuori a litri. Buffo ripensarci oggi. E ricordare che quel dieci col codino, adesso pensionato milionario, è stato un bel po´ in giro: Juve, Milan, Bologna, Inter, Brescia. Il nord, in pratica, se lo è girato più di Bossi. Però, alla fine, c´è qualcosa che ha lasciato qui.
Forse perché qui c´era la sua giovinezza. Quella vera. E innocente, viva, complicata da un guaio della vita che lo portò a pregare coi suoi amici davanti a una pergamena: il buddismo (quello di tradizione giapponese della Soka Gakkai), che in quei giorni esplodeva tra le strade di Firenze, coinvolgendo anche Baggino e la sua voglia di uscire dall´ombra, di crescere campione così come la legge della vita aveva deciso prima di un terribile crack e di quella cicatrice che gli attraversava la gamba come la trincea abbandonata di una guerra vinta.
Grande Roberto, in quei giorni di preghiere, di gol e di sogni coccolati con dolcezza. Oggi, per fortuna, basta un clic su youtube per ripassarsi un po´ di lezioni di calcio del ragazzino, per ricordarci di quei giorni felici: Napoli, Milano e tantissime altre storie. E poi quel giorno caldissimo a Licata, quando Baggio dribblò mezza Sicilia, prima di mettere a sedere il portiere con qualche finta e segnare un gol degno di una standing ovation lunga cinque minuti. Anche la nonnetta con la finestra affacciata sul campo mise la testa oltre i panni stesi per non perdersi quel tributo al campione. Beh, ce ne ritornammo a casa che quasi non ci credevamo.
Dopo Giancarlo unico dieci avevamo ritrovato un altro fenomeno. Era nostro. Tutto nostro. Ma per poco, perché il vento di un inverno antipatico girò all´improvviso la pagina di quella sceneggiatura che parlava d´amore, cambiando i ritmi della sua storia e della nostra vita. Firenze addio: sì, no, forse. Sì. Sì e basta. Via da tutto, dalla giovinezza, dalle coccole, da quella maglia che doveva essere sua per sempre, dai tifosi disfatti e dagli amici disperati. E il delirio non finiva mai.
Un giorno, grazie a David Guetta e alla sua radio, rimettemmo insieme un´intervista in cui Baggio raccontava le sue difficoltà a Torino. C´era nostalgia vera nelle sue parole. Come quella di una ragazza che ti lascia e poi ti cerca. Ma tu sai che è finita.
Tutti sanno che è finita tra Baggio e la Fiorentina, anche se poi c´è un rigore non tirato, una sciarpa raccolta sul bordo del campo. Quel giorno, negli spogliatoi, eravamo tutti accalcati intorno al grande ex. Nel mucchio si fece largo la facciona arrossata del «Viva», ragazzo che amava la Fiorentina e Baggio con tutto se stesso. E ancora lui non ci voleva credere. Aveva pregato con Roberto. Diviso le sofferenze, le vittorie e tanto della sua vita. No, non era possibile. Non può esistere un Baggio in bianco e nero. Il «Viva» era grande e grosso, ma dentro quel corridoio in cui non c´era spazio per girarsi, lui cercava di farsi largo, urlava il nome di Roberto e piangeva come un bambino che all´improvviso si ritrova solo dentro una stanza buia.
Poi arrivò il distacco vero. Sono rimasti i pensieri a distanza. Baggio che segna, Baggio che soffre, che litiga, che riemerge e sparisce di nuovo. Beh, qui non lo avremmo mai maltrattato così. Questa era casa sua. E lui lo sapeva.
Baggio una questione d’amore e d’orgoglio
E´ per questo che quasi ogni anno si tornava a parlare di lui. Baggio che torna a Firenze, dalla sua gente, perché là fuori c´è un pallone d´oro ma non tutti lo capiscono. E intanto il pensiero di sbiadisce un po´. I colori si fanno più tenui. Baggio va altrove, Baggio scivola via e dice addio al calcio senza essere prima ripassato dalle strade della sua giovinezza.
Storia finita. Lontana. Poi all´improvviso la notizia: Roberto torna a casa. Non per combattere in nome di un pallone ma in nome della vita. C´è una maglia viola. C´è la voglia di dare tutto per Stefano Borgonovo e per quelli che soffrono come lui. Di certo Roberto Baggio quella sera avrà la testa piena di pensieri. Di certo anche molti di noi cadranno in una strana trance. Un wireless emozionale che metterà in contatto ricordi e sentimenti di tutti. Robertino ritroverà il campo dove in coppia con Stefano fece impazzire la gente. Intorno a lui ci sarà chi per amore lo ha applaudito e chi per amore lo ha fischiato. Ma stavolta saranno solo applausi.
Grande Roberto, che un po´ nostro lo sei sempre stato: hai giocato nelle nostre emozioni, in mezzo alle cariche della polizia e alla rabbia, tra le lacrime per un addio e le grida bagnate di pianto del «Viva», tifoso e amico che oggi non c´è più.