Andiamo subito ai “fatti”. E qui già le prime risate.
A Ottobre 2023 il gruppo rap milanese Club Dogo annuncia prima una serie di concerti, a dicembre viene annunciata ufficialmente l’uscita dell’omonimo disco. Quando ho visto poi l’anteprima della cover ho pensato: che pessimo gusto, di sicuro farà molto scandalo.
Pochi giorni fa l’album è uscito ed è molto bello, suona bene, sicuramente a mio avviso uno dei migliori dei Dogo, che riprende molti dei temi e delle sonorità di “Mi Fist“, il primo disco del trio milanese.
Ma della cover con la panetta di coca?
Di quella nessuno ne ha parlato.
Niet, nothing, nada, nessuno.
Nessuno parla del rapporto tra i Dogo e la coca, nessuno si domanda cosa dicono nei testi, qualcuno ride sui social (ho letto un commento su instagram che mi ha fatto sorridere: Guè riesce ad essere fatto e fare delle rime incredibili); tanti dopo la notizia che dopo aver messo in vendita i biglietti dei dieci concerti al forum, faranno anche un concerto a San Siro, pubblicano le grattugie, come dire: grattate e fate la grana!
Insomma, tutto giusto, tutto bello, ma nessuno dice un cazzo di quella merda di cover.
Neanche Famiglia Cristiana, neanche Giovanardi, neanche il senatore Gasparri che si arrabbia perché un personaggio di una fiction, il commissario Rocco Schiavone, si fa le canne.
Forse perché i dischi fisici, non si vendono così tanto come in passato e allora, alla copertina nessuno fa più caso.
A me le copertine dei dischi, dei cd e dei vinili mi sono sempre piaciute. Aprirle, guardarle, leggermi i testi, chi ha fatto le foto, la grafica, il mixaggio dei pezzi, persino vedere dove venivano registrati e da chi. Persino leggere i saluti degli autori, i props, si diceva una volta, ma va bene.
Però quell’immagine della cover è rimbalzata per giorni su tanti social, ripostata dai vari media.
Forse, sono stronzo io.
Probabile, tra l’altro.
Eppure l’Italia è il quarto paese in classifica per uso di coca in Europa.
La bamba è la droga del popolo, lo dice Saviano nell’incipit di Zerozerozero e qualche articolo di giornale ben scritto.
Un prodotto di massa, come la Coca-Cola o il Magnum Algida.
E non dico che uno inizia a drogarsi perché ascolta o compra l’album dei Dogo, o perché va ad uno dei loro concerti.
Non sono così bigotto, non sono Giovanardi.
Come chi legge Dylan Dog non compie gli omicidi, o chi gioca a GTA non va a rubare auto.
Non sono così stronzo.
Carissimi Dogo, io vi voglio bene.
Il vostro primo album l’ho comprato dalle mani di Jake La Furia al B-boy Event (una Jam di breakdance) nel 2003; “Cronache di resistenza” era un faro in tempi oscuri per il rap italiano, ma, oggi, nel 2024 avete rotto il cazzo.
Mettere quel panetto di bamba aperto in copertina, così bianco su nero, con il vostro logo sopra, dice: “Oh, sta roba è figa! È cool”.
Naturalmente voi non lo dite.
E sono sicuro che se interpellati voi direste che è una “narrazione”, che voi non siete questo, ma vi limitate a raccontare una cosa che c’è, esiste, è per le strade, nei locali, anzi nei cessi dei locali, nei festini privati e non, nelle case degli italiani.
La coca è la più amata degli italiani, come la Scavolini e la Cuccarini.
Però avete messo il vostro logo (bellissimo tra l’altro), sopra; non mi raccontate la puttanata della narrazione.
Non siete dei personaggi di un libro di Saviano e/o del Padrino.
La differenza tra loro e voi, è che sia nelle opere di Saviano, sia i protagonisti del Padrino sono dei perdenti, e spesso, fanno una vita di merda.
Mentre voi nelle vostre canzoni siete dei vincenti, spaccate il culo. E le vostre barre, nel vostro ultimo disco, spaccano davvero il culo.
E i ragazzi vi seguono, quelli delle periferie, ma anche quelli del centro. I ragazzi soprattutto i più giovani, siete per loro un po’ dei fratelli maggiori.
Perché mettere la bamba in copertina e celebrare la vita da pusher?
Perché non raccontate mai che questa roba fa andare in scimmia la gente, che ne diventa dipendente?
Che le persone che usano la bamba poi la controllano male la loro dipendenza, che sono costretti a mentire ai propri cari, a rubare, fino a diventare, nei casi più estremi, a loro volta spacciatori.
Una dipendenza di merda, come tutte le dipendenze, dal gioco d’azzardo all’alcolismo, dalle slot agli psicofarmaci.
La fresca, la bamba, il cocco, il gesso, la farina, la polvere d’angelo, la piscia di gatto, la barella, la svelta, la cubaita, la boliviana, insomma, c’era bisogno di farla diventare una copertina? Meritava un’ulteriore pubblicità?
Un “vostro fratello maggiore“, J-AX, lo spiega bene in una canzone intitolata “In mezzo“, uno di quei pezzi che non sono diventati singoli per l’estate, ma che ho apprezzato molto per il coraggio.
Un coraggio che ci vuole per non essere bigotti, per non sembrare Don Matteo amico degli sbirri.
Come mi sento io a scrivere questo pezzo oggi.
Vi voglio bene.
Ciao.