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Cinema

La zona d’interesse è un segnale d’allarme



Venerdì sono andato allo spettacolo pomeridiano di The Zone of Interest (La zona d’interesse per il mercato italiano), film uscito a Cannes che vinse il Premio della Critica (che tendenzialmente ai festival mi interessa sempre più del premio principale) e che ha fatto incetta di candidature per i prossimi premi Oscar.

Più o meno in contemporanea, a Pisa e a Firenze, veniva messa in scena la sequenza più brutta del film di questa legislatura italiana, che neanche troppo lentamente, sta riportando in auge pensieri e comportamenti che non possono che rimandare ad un Italia del primo novecento. Sto parlando ovviamente delle cariche dei celerini e del pestaggio degli studenti che volevano manifestare pacificamente in un corteo pro Palestina.

Da quando sono uscito dalla sala non riesco a non vedere un parallelo tra questi due mondi (il film e il pestaggio) apparentemente così distanti.

Ma andiamo per ordine. “La zona d’interesse” è un film su Auschwitz distintamente violento nonostante l’assenza di scene crude visive, morti o torture. Narra la vita quotidiana del comandante Rudolf Höss e della sua famiglia, separati dal terrore del campo di sterminio solo da un muro grigio.

Il regista Jonathan Glazer usa una linea orizzontale per dividere lo schermo: il giardino sereno degli Höss sotto, le ciminiere del campo sopra. Le grida e gli spari di sfondo diventano un rumore di sottofondo, simbolo della banalità del male (il sonoro è forse il vero protagonista del film).

Il film, deliberatamente tedioso, costringe lo spettatore a riflettere sulla trivialità della vita degli Höss in contrapposizione all’orrore alle loro spalle, provocando un senso di colpa e impotenza.

I titoli di coda lasciano una sensazione di disagio, spingendo a interrogarsi sulla futilità delle proprie quotidianità se messe a confronto con le tragedie globali attuali.

E infatti il disagio si è fatto sempre più spazio, soprattutto in relazione ai fatti avvenuti a Pisa, ma anche di fronte ai post entusiasti di questo febbraio primaverile in cui si può già andare a fare il bagno al mare.

Infatti questo film non è un film sulla shoah (o meglio, non solo), ma è un film che usa la shoah per parlare del presente.

Quello che ha fatto Elio Germano con il suo spettacolo teatrale La mia Battaglia, che poi abbiamo riadattato insieme per il VR in Segnale d’Allarme segue la stessa logica, ovvero quella di utilizzare una delle più grandi tragedie dell’umanità, il nazifascismo, per identificare il Male.

Infatti è difficile trovarsi a proprio agio davanti alla bandiera nazista o di fronte ai fatti di Auschwitz, ma è sicuramente più facile rifugiarsi nell’ipotetico divorzio dei Ferragnez (ottima mossa di misdirection marketing) piuttosto che affrontare la preoccupante deriva che abbiamo visto a Pisa e a Firenze o fare qualcosa per fronteggiare il cambiamento climatico.

“La zona d’interesse” è un capolavoro cinematografico concettuale come non se ne vedevano da anni, consiglio a chiunque di guardarlo e di farsi travolgere dal disagio che accompagnerà per giorni, possibilmente con l’intenzione di far germogliare qualcosa che permetterà di allargare la propria zona d’interesse.