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Chicks&Types: Isabelle



Che la tipografia (nel senso anglosassone del disegno dei caratteri – non in quello nostrano del posto dove si stampa) fosse una roba erotica, è cosa nota. Forse anche solo per una questione di vocabolario: perché si parla d’anatomia: di corpo, di grazie, di curve… di forme femminili, insomma. Che in inglese, poi, è ancora peggio – che i discendenti si chiamano legs, tipo – e non stupisce che ci sia chi traduce font al femminile (il dizionario lo permette) e dice “ho usato questa font“.

A contribuire poi al fascino porno(tipo)grafico è l’offrirsi delle suddette font in un catalogo di delizie. Perché i caratteri vanno scelti, capite. Per ogni grafico la palette di selezione dei caratteri in Illustrator è un po’ come il catalogo delle dame del Don Giovanni di Mozart. Quello che recita, per capirsi: “Chi ad una è fedele, alle altre è crudele…”. E difatti la monogamia non è certo facile per chi commercia coi caratteri, che tutti sanno che basta sentenziare cose tipo “D’ora in avanti userò solo l’Helvetica” per ritrovarsi a cedere alle lusinghe tutte seicentesche e libertine e francesi d’un Garamond…

Simone Massoni, questa cosa l’ha capita bene: la storia delle forme femminili, e delle grazie, e anche dell’inglese, e soprattutto del catalogo di delizie. Ha fatto un calendario che si chiama “Chicks & Types”, che è una gara di sensualità tra le curve femminili e quelle tipografiche. Ha invitato Cosimo Lorenzo Pancini, da lungo tempo malato delle medesime passioni, a scrivere attorno a questi disegni delle storie.

Isabelle

In amohre, come in guehra, scè la tactica e la stratesgia. – pontifica Isabelle graziosamente assisa a poppa, mentre io e Stanley ci s’arrabatta sui remi in sguaiato controtempo, ad alzare
nell’acqua spruzzi altissimi – la barchetta muovendosi lenta nel laghetto del parco di Kensington.
Ama sermoneggiare, la cugina francese, i capelli rossi raccolti in coda di cavallo e gli occhiali scuri da diva del cinema, mentre a noi tocca fornire alla barca la forza motrice, con grande sfoggio di adolescenti muscolaglie, mugugni maschi e malcelatissima gara per accapararsene le grazie.

Perché inutile dirlo: quel trionfo d’erre moscie e scivolossissime sgi dolci è per noi quindicenni una sorta di dinamitardo distillato di femminilità d’oltralpe, al cui fascino non si può contrapporre altro che il proprio infinito carico d’ormoni. Così il laghetto di Kensington in quel primo pomeriggio marzolino diventa campo d’un feroce combattimento all’ultimo sguardo, d’un esibizione di talento marinaro, d’un poco signorile sbeffeggiarsi a vicenda. E Stanley, di pochi mesi più vecchio e di molti più furbo di me, prende in giro soprattutto lei – che mette su un musetto ritroso e adiratissimo ad ogni “ascenno alla sua prononscia perfecta”.

Due giorni dopo – tatticamente – Stanley riesce a farla abbastanza arrabbiare a costringerla in una zuffa sul prato, dal cui iniziale strepito di urla e graffi se ne escono ridenti e vicinissimi. V’è stata quella notte una pioggia torrenziale, e il prato è ancora umido: Stanley come Wellington sfrutta il terreno di battaglia, ed io in quel momento so come s’era sentito Napoleone a vedere crollare i suoi in irreversibile disfatta.
Stanley e Isabelle si baciano”: chiudo gli occhi e lo vedo ancora oggi, in corpo 100 su quattro colonne, il ferale titolo del mio quotidiano mentale della settimana successiva.

Le guerre non finiscono mai. Quattro anni dopo, mi tocca persino di andarci in vacanza, coi due. Isabelle, crescendo, ha riempito ogni erre moscia con le giuste forme: tatticamente tengo il broncio per l’intera settimana, mentre il sole splende a picco sullo splòndido mar Esgeo.
Perché: d’una coda rossa ti puoi innamorare, ma un difetto ti pronuncia ti ruba il cuore per sempre.

Quello del greco mar è il fondo – così, quando dopo altri sei anni mi tocca sentire la mitragliata al cuore di quel “Davehro lo fahresti pehr noi, Victohr?”, riesco persino a sorridere.
Figurarsi se non mi fa piacere.
Il testimone.
Che onohre.
Le rispondo così, sul serio: – Sarebbe un onohre per me, Isabelle.
Stanley è così felice che mi abbraccia.

Sembra ieri quell’abbraccio, invece sono passati altri tre anni.
Gli errori tattici si pagano sul lungo periodo: Wellington lo sapeva.
Adesso che guardo Isabelle, distesa sul divano, seminuda e addormentata – i capelli rossi finalmente sciolti – ma ancora quel vezzo degli occhiali da diva – adesso che mi sto rivestendo lentamente, adesso lo so anche io.
Ché l’amore è come una guerra, una roba sporca e lunghissima, piena di alte voci e cariche nel fuoco. E in amore, come in guerra, ci sono la tattica.
E la stratesgia.