Fin dall’antichità le maschere sono state utilizzate come cassa di risonanza per comunicare un certo senso del sacro, sia concettualmente che materialmente, poiché permettevano di fare sentire più forte la voce di un attore e allo stesso tempo di trasmettere un effetto di straniamento, utile per enfatizzare anche visivamente i dialoghi. Victor Castillo, artista di origine cilena, ma ormai connaturato losangelino, ha fatto di questo strumento il proprio simbolo distintivo, scegliendo di rappresentare personaggi che indossano esclusivamente maschere dalle fattezze caricaturali in stile cartone animato.
Questi volti, congelati dal candore del bianco, ma allo stesso tempo resi divertenti grazie al rosso brillante dei nasi, che ricordano quelli dei classici pagliacci, si declinano in forme umane ed animali all’interno di scenari fortemente caratterizzati, come foreste e paesaggi naturali che incorniciano perfettamente le sagome delle apparizioni fantasmagoriche in questione.
In particolare, Castillo ha deciso, in occasione della sua mostra presso la Jonathan Levine Gallery di New York, di concentrare lo sguardo sulla “Giungla” moderna in cui siamo immersi quotidianamente, ossia sulle vicissitudini dell’attuale crisi socio economica, con i risvolti violenti che questa ha avuto a livello di protesta globale. Influenzato dai fumetti e dai cartoni animati, l’artista interpreta i messaggi dei media tramite il linguaggio espressivo dei bambini (le figure sono infatti per lo più ritratti di piccoli giovani intenti nelle proprie marachelle in situazioni tragicomiche), e consegna larga parte dell’effetto drammatico all’uso delle luci che caratterizzano, con la propria incisività, da sempre ampiamente il suo lavoro.
Se infatti i visi dagli occhi atoni (perchè sempre vuoti, privi di iride) rappresentano il focus indiscusso di tutte le sue composizioni, è molto interessante vedere come invece il buio, le atmosfere dark a tratti inquietanti, contrapposti alla brillantezza di abiti e oggetti volutamente in risalto, si alternino con giochi chiaroscurali di grande impatto visivo. L’impressione generale è quella di piccoli teatrini dell’orrore, dove presenze ammiccanti sono in combutta per qualche gioco pericoloso…
L’eco di Goya e il sapore delle animazioni di un tempo ormai andato si mescolano in una narrativa vivace e irriverente, che oltre a vedere protagonista l’alternarsi del buio e della luce, suggerisce visioni allegoriche apocalittiche e potenti. Il mistero celato dietro ogni maschera si amplifica nei gesti grotteschi dei personaggi, che vengono colti spesso nell’atto di girarsi verso lo spettatore, che altrimenti è come se si trovasse a spiare situazioni segrete e incomunicabili. Anche se le maschere livellano l’espressività dei volti, indiscusso resta l’impatto emotivo che ogni quadro si riserva di avere, tramite l’atmosfera da incubo irrisolto che puntualmente viene proiettata sulle tele.