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Cinema

Sbatti il mostro su YouTube. Fai 80 milioni di view. E poi?




Joseph Kony, nella parte del mostro.

Diciamolo subito: “Kony 2012” e’ un capolavoro. Riuscire a sfondare tutti i record di YouTube in una settimana, con un video che non contiene nemmeno un gattino che fa cose strane, anzi che va avanti per mezz’ora filata, raccontando la storia di un’allucinante tragedia africana, che ha per protagonista uno dei piu’ efferati criminali di guerra della storia, e’ un risultato cosi’ incredibile da meritare la massima ammirazione.

Non mi credi? Non sai di cosa sto’ parlando? Vivi su uno strano pianeta, senza Facebook, senza giornali, senza nessun amico che ti ha mandato un link a questo video? Beh, allora guardalo… Ma poi ritorna a leggere questo articolo. Perche’ la storia non e’ finita…

Adesso dimmi la verita’: non e’ forse vero che quando sei arrivato alla fine del video avevi i lucciconi agli occhi? Se sei un essere umano, e non un pezzo di marmo, sono sicuro di si’. E che magari quel video lo hai gia’ ripostato, ritwittato, rilanciato a un sacco di gente che conosci. Questa reazione e’ esattamente la ragione per cui Jason Russell, lo sconosciuto filmmaker californiano di 33 anni che lo ha realizzato, e’ un genio.

Certo, anche senza gattini, gli ingredienti del mix che lui ha messo assieme sono fenomenali. C’e’ un mostro dalla faccia nera, ovvero Joseph Kony, creatore e leader della Lord’s Resistance Army, che piu’ mostro di cosi’ non si puo’. La storia della sua milizia ribelle, o forse bisognerebbe dire del suo surreale culto sanguinario, che terrorizza per 26 anni le regioni piu’ remote dell’Africa centrale (giungle esotiche e misteriose), che rapisce bambini per trasformarli in piccoli soldati senza scrupoli morali (gli fa’ ammazzare i genitori!), che rapisce bambine per farne delle schiave sessuali (attenzione: non vittime di abusi ma “schiave”), che fa sfregiare e mutilare a colpi di macete chiunque gli si opponga (zombi ambulanti ad ammonimento degli altri), e’ talmente macabra e disgustosa che nemmeno il peggior cattivo di un film dell’orrore gli si potrebbe avvicinare.


Jason Russell, nella parte dell’eroe.

Poi, a far da contro altare, ci sono proprio i bambini. Non solo le povere vittime di colore, come Jacob, traumatizzate al punto di affermare che preferirebbero morire (una delle scene piu’ strazianti del documentario), ma il figlio dello stesso Russell, Gavin, cosi’ biondo, cosi’ carino, cosi’ innocente, cosi’ affettuoso, cosi’ spontaneamente spiritoso da riempirci il cuore di simpatia emotiva (con un piacevole effetto doccia scozzese, ovvero un interludio sorridente, nel contesto di una storia che altrimenti sarebbe solo atroce).

E ancora, ecco la progressiva aggregazione di un’esercito di giovani attivisti attorno a una ONG, Invisible Children, dal marchio altamente evocativo. Armati non di fucili ma solo di idealismo, computer, “Mi piace”, pochi dollari risparmiati dalla paghetta settimanale. E poi c’e’ Russell, cosi’ bravo a bucare la schermo, cosi’ pieno di energia e di caparbia determinazione. E i cameo delle grandi star (provaci tu a convincere George Clooney ad apparire in un tuo video). E Luis Moreno-Ocampo, il giudice della Corte internazionale di giustizia, che ha messo Kony in cima alla lista dei ricercati per crimini contro l’umanita’, che parla inglese con accento straniero ma sembra saggio come un nonno, con la barbetta bianca e abiti casual. E i vari potenti della politica americana, di destra e di sinistra, tutti una volta tanto uniti, sotto la pressione dei ragazzi di Invisible Children, nell’affermare che il mostro va catturato, che giustizia dev’essere fatta.


Jacob, nella parte dell’innocente da salvare.

Infine, il lieto fine. Che non e’ garantito, come in una pellicola hollywoodiana, ma comunque promesso, se solo tu ti attiverai, sharando questo video, unendoti alla crociata per rendere il mostro “famoso”, donando qualche spicciolo, bombardando di messaggi la tua star preferita perche’ scenda in campo anche lei, comprando un apposito kit di propaganda (costa solo 30 dollari!)…

Ecco, dico che Russell e’ un genio perche’ un mix cosi’ straordinariamente emotivo in rete non si era mai visto prima. E infatti, da quando lui lo ha postato su YouTube e Vimeo, lunedi’ 5 marzo, quel video e’ esploso come un virus ultra contagioso. Secondo le analisi degli esperti di Google, la sua popolarita’ e’ stata alimentata da un livello di sharing senza precedenti fra teenager e ventenni sui social network (persino un funzionario del Dipartimento di stato americano, rispondendo alla domanda di un giornalista, ha confessato di averlo visto solo perche’ gli era stato segnalato dal figlio di 13 anni).


Gavin Russell, nella parte dell’angioletto.

Il numero degli hit e’ quindi esploso nella stratosfera quando diverse star dello spettacolo (come Rihanna, Ryan Seacrest e la celeberrima conduttrice televisiva americana Oprah Winfrey), sotto sollecitazione dei loro fan piu’ giovani, ne hanno parlato nei loro feed su Twitter. Da li’ la notizia e’ rimbalzata sulle prime pagine di molti giornali, e’ stata ripresa dai notiziari televisivi, e’ diventata argomento di discussione in diversi talk show, dilagando poi a livello internazionale come l’esempio di un nuovo, clamoroso, ammirevole modo di fare attivismo su una questione spesso dimenticata come quella dei diritti umani. E negli uffici di San Diego di Invisible Children si e’ scatenato il pandemonio, con centinaia di migliaio di dollari — forse milioni — di donazioni in arrivo, e una marea inarrestabile di ordini per gadget della campagna anti Kony.

Adesso, ad una settimana di distanza dal lancio del video, cominciano a farsi sentire anche delle voci diverse. Un parola ricorrente su molti vecchi media per cercare di dare un senso a questo fenomeno e’ slacktivism, attivismo da slacker, ovvero una modalita’ d’impegno politico e sociale che non richiede di alzarsi dal divano (basta cliccare qualche link, piazzare qualche “Mi piace”, ritwittare all’infinito nella camera d’eco della rete, al massimo spendere qualche soldo per farsi spedire un paio di braccialettini e qualche sticker). A me personalmente questa definizione derisoria non piace, perche’ trovo che tradisca la stizza di molti “esperti” di fronte a qualcosa che non capiscono e certamente non sono stati in grado di prevedere.


Giovani miliziani della Lord’s Resistance Army, nella parte dei cattivi sanguinari.

Eppure devo ammettere che c’e’ una bella differenza fra il fenomeno “Kony 2012” e tutti gli altri recenti movimenti che sono stati alimentati dai social media. Senza Facebook, senza Twitter, senza internet e’ molto improbabile che la Primavera Araba, o il movimento degli “indignados”, o il fenomeno di Occupy Wall Street sarebbero gonfiati fino a far tremare il vecchio ordine costituito. Ma e’ anche altrettanto vero che in tutti quei casi la forza collettiva maturata nella rete si e’ poi riversata nelle piazze e nelle strade, dove il rischio di essere manganellati, arrestati, o addirittura ammazzati a fucilate non era piu’ un giochetto virtuale.

Che cosa ci propongono invece Jason Russell e Invisible Children? Di rendere Joseph Kony cosi’ “famoso” da costringere i governi del mondo (a cominciare da quello americano) a dargli veramente la caccia, cosa che a sua volta si dovrebbe tradurre nell’invio della giungla di truppe armate (marines e forze speciali americane in testa), come in un western dove alla fine arrivano gli eroi della cavalleria a fare secco il cattivo (e a noi, gli spettatori, non resta altro che applaudire comodamente seduti in poltrona).


Ragazzi di Invisible Children, nella parte degli idealisti buoni.

Purtroppo la situazione sul campo, nelle giungle dell’Africa centrale, e’ molto piu’ complicata. Che Joseph Kony sia un manigoldo della peggior specie non lo mette in dubbio nessuno. Ma fra chi conosce quella realta’ in modo un po’ piu’ approfondito ci sono anche parecchie perplessita’ che l’approccio di “Kony 2012” sia davvero utile. C’e’ chi ha osservato ad esempio che anche le forze armate ugandesi sono state ripetutamente accusate di atrocita’ verso i civili (una verita’ scomoda che, almeno in parte, forse spiega perche’ fra i residenti dell’Uganda settentrionale la Lord’s Resistance Army abbia potuto godere in passato di una certa omerta’). C’e’ chi ha tenuto a precisare che quella milizia e’ ormai da un bel po’ di tempo in declino, ridotta ad una banda di forse 200 persone, braccata dai soldati di diverse nazioni, tanto che ha abbandonato completamente il territorio ugandese da almeno otto anni, per rifugiarsi in zone ancora piu’ impenetrabili, al confine fra il Congo, il Sudan e la Repubblica Centroafricana, teatro a loro volta di guerre civili, massacri e conflitti a non finire, dove distinguere fra buoni e cattivi e’ ancora piu’ difficile.

Tutto questo ovviamente nel video di Russell non c’e’. E lui non crede affatto che sia un problema. “Nessuno vuole guardare un documentatio noioso sull’Africa,” ha spiegato al New York Times: “Forse dobbiamo renderlo pop e dobbiamo renderlo cool.” E ancora: “Noi ci consideriamo la Pixar delle storie sui diritti umani.” Russell ha detto inoltre di aver ricevuto molte congratulazioni da produttori di Hollywood: “Ci stanno mettendo in contatto con gli Academy Awards. Vogliono questo video candidato per un Oscar. E noi siamo pronti a renderlo ancora piu’ grande. Siamo in attesa che Jay-Z si metta a promuovere la nostra causa.” Alle crtiche di chi sostiene che Invisible Children pare avere un occhio di riguardo per l’esercito ugandese ha risposto invece Jedediah Jenkins, il responsabile delle publiche relazioni dell’organizzazione, sostenendo che rimanere completamente neutrali in una situazione di guerra e’ spesso impossibile: “In Africa c’e’ un problema enorme di corruzione politica. Se volessimo essere cosi’ puri da non avere nulla a che fare con chiunque sia corrotto, non potremmo stringere partnership con nessuno.”

Eppure per Alex de Waal, il direttore della World Peace Foundation, questa idea che il fine giustica i mezzi e’ profondamente errata. Il un lungo post, pubblicato su AllAfrica.com, lui ha sostenuto che la campagna di Invisible Children rischia di gonfiare ancora di piu’ proprio quell’immagine mitica, quasi soprannaturale, che Joseph Kony sfrutta per mantenere un controllo assoluto sulla sua banda di piccoli killer. Secondo de Waal e’ anche falso dire che i governi non hanno mai fatto nulla per catturare Kony. Nel 2002, dopo che gli Stati Uniti avevano bollato la Lord’s Resistance Army come un’organizzazione terroristica, l’esercito ugandese ottenne il consenso del Sudan per lanciare un’operazione a tenaglia sui due lati della frontiera. Nel 2006, dopo l’emissione del mandato di arresto internazionale contro Kony come criminale di guerra, un contingente di caschi blu’ dell’Onu di stanza in Congo, formato da commandos guatemaltechi esperti di controguerriglia nella giungla, riprovo’ a catturarlo. E nel 2008 contro di lui si mossero gli eserciti dell’Uganda, del Congo e del Sudan in un operazione coordinata. Eppure tutte queste missioni fallirono piu’ o meno tragicamente (i caschi blu’ dell’Onu finirono addirittura per ammazzarsi fra di loro).

La triste verita’, sempre a sentire de Waal, e’ che i generali di tutti questi paesi, e forse anche i loro governanti, non hanno un autentico interesse ad eliminare un mostro come Kony, perche’ il mito dei suoi orrori serve a giustificare sostanziosi budget militari, su cui loro si arricchiscono, oltre ad un clima di emergenza marziale, utile per reprimere il dissenso politico. Anzi, concentrare l’attenzione del mondo su una figura cosi’ diabolica, ma tutto sommato marginalizzata (negli ultimi dodici mesi la sua milizia e’ stata accusata di aver ucciso 98 persone e rapite 477), serve a far dimenticare che l’Africa e’ piena di capi di stato, warlord e dittatori che sono responsabili della morte di centinaia di migliaia, se non milioni, di loro concittadini.

Ok, come tanti fan del video di Russell, tu mi potresti dire: da qualche parte pero’ bisogna cominciare. Sempre Alex de Wall risponde che la soluzione finale per la miriade di conflitti violenti che continuano a dilaniare l’Africa passa per lo sviluppo economico, l’educazione, la lotta alla corruzione, la creazione di istituzioni veramente democratiche, tutti processi lenti, a basso tasso di glamour, che non si realizzano a colpi di click del mouse. Io mi permetto di aggiungere che questo dibattito suona comunque un po’ strano perche’ rimane confinato fra noi occidentali. Capire cosa pensano gli ugandesi di un video come “Kony 2012” purtroppo e’ quasi impossibile, perche’ la penetrazione di internet in quel paese e’ assolutamente minimale (in molte zone non arriva nemmeno la corrente elettrica, figuriamoci Facebook o un video di mezzora postato su YouTube!).

Ma fra i pochi privilegiati che in Uganda hanno accesso alle forme di comunicazione digitale che noi diamo per scontate c’e’ Rosebell Kagumire, una giornalista che ha seguito quella tragedia da vicino per 10 anni. E la sua reazione alla campagna di Invisible Children, diffusa anche via Twitter, e’ stata nettamente negativa: “La consapevolezza va bene, ma questa e’ la consapevolezza sbagliata. La campagna contro Kony suggerisce che la volonta’ politica e militare dell’occidente sia tutto quello che serve per mettere fine a questo conflitto. Ricordate che nel 2008 l’esercito ugandese, con assistenza americana, lancio’ un’operazione contro l’LRA che porto’ al massacro per vendetta di 300 congolesi. Questo puo’ succedere di nuovo. Invisible Children non accetta la complessita’ della situazione.”

“Questo e’ un altro video dove vedo uno straniero che cerca di essere un eroe salvando bambini africani,” dice ancora Kagumire. “Ma se tu mi mostri senza voce, senza speranza, se non mi lasci alcuno spazio per raccontare la mia storia, vuol dire anche che non credi che ho il potere di cambiare la situazione.” La conclusione? Chissa’… Forse, come si augura Russell, Joseph Kony sara’ arrestato davvero prima della fine del 2012. Forse il geniale talento dimostrato nella confezione di “Kony 2012” aprira’ al suo autore una brillante carriera cinematografica. Forse la diffusione virale di quel video sollecitera’ un po’ di gente ad imparare qualcosa di piu’ su conflitti lontani. Ma cambiare la storia del mondo? Come dice Russell nel video? Quella sara’ un’impresa parecchio piu’ lunga e laboriosa…