A fine maggio si è tenuta l’inaugurazione a Ferrara dello Spazio Antonioni: il nuovissimo museo che propone al grande pubblico e agli appassionati un viaggio nell’universo intellettuale e creativo di uno dei padri della cinematografia moderna.
“Michelangelo Antonioni è uno dei più grandi artisti del XX secolo, un poeta del nostro mondo che cambia, un pittore del labirinto delle nostre emozioni, un architetto della nostra ambigua realtà” (Martin Scorsese)
Per la costante ricerca sul potere di seduzione delle immagini e per la capacità di radiografare le inquietudini della contemporaneità, la sua opera cinematografica è considerata tra le più innovative e influenti del Novecento e ha posto interrogativi che risultano tuttora attuali.
Il suo sguardo raffinato e innovatore, capace di creare atmosfere e trasfigurare le inquietudini della realtà contemporanea, ha affascinato generazioni di cineasti e ha anche stabilito un fitto dialogo con le arti figurative di ieri e di oggi.
Spazio Antonioni invita a riscoprire l’originalità e l’attualità dell’opera del grande regista ferrarese. Il progetto, a cura di Dominique Païni già direttore della Cinémathèque Française, è stato sviluppato, su input di Vittorio Sgarbi e in sinergia con la moglie Enrica Fico Antonioni, dal Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e dalla Fondazione Ferrara Arte.
L’idea portante è quella di creare un museo vivo, un luogo di formazione e di scoperta, dove esplorare le preziose testimonianze del lavoro di Antonioni e approfondire i molteplici nessi con artisti, registi, intellettuali che l’hanno ispirato o che continuano a trarre nutrimento dal maestro.
Costituito da oltre 47.000 pezzi, l’Archivio Antonioni è stato oggetto di un ambizioso progetto di valorizzazione realizzato grazie alla Regione Emilia-Romagna ed è una testimonianza unica dell’orizzonte estetico ed intellettuale del regista, che permette di addentrarsi nel suo cinema e, più in generale, in tutta la sua attività, anche quella critica, letteraria e artistica: film, manifesti, sceneggiature, fotografie, disegni e dipinti di Antonioni, i suoi libri e i suoi dischi, i premi e l’epistolario intrattenuto con i maggiori protagonisti della vita culturale del secolo scorso (da Roland Barthes a Umberto Eco, da Federico Fellini ad Andrej Tarkovskij).
Questo prezioso patrimonio è arricchito dalla visione delle sequenze dei film di Antonioni e dal confronto con opere visive che le hanno ispirate, a partire dal lavoro di maestri italiani come Giorgio Morandi, Filippo de Pisis o Alberto Burri.
Il percorso museale si sviluppa cronologicamente ripercorrendo le stagioni del cinema di Antonioni lungo tutto il secondo Novecento: dagli esordi nell’ambito del neorealismo al superamento di questa stagione con i film di cui è protagonista Lucia Bosè, fino alla “trilogia della modernità” legata a Monica Vitti (L’avventura, L’eclisse, La notte).
Quindi l’avvento del colore ne “Il deserto rosso“, e poi “La conquista del West” con le pellicole angloamericane testimoni dell’esplosione della cultura pop e hippy – “Blow Up” e “Zabriskie Point” –, e l’evasione africana in “Professione: reporter“, per concludere con “Il ritorno in Italia” e le opere che recuperano il legame con le radici. Un capitolo a parte è riservato alla produzione pittorica del regista e agli spettacolari paesaggi onirici delle “Montagne incantate“. Infine, un ampio spazio polivalente è dedicato a rassegne, incontri, esposizioni dossier nello spirito del dialogo tra le arti.
Il progetto architettonico, firmato dal prestigioso studio internazionale Alvisi Kirimoto, in coordinamento con la progettazione esecutiva e direzione dei lavori del Servizio Beni Monumentali del Comune di Ferrara, prevede un percorso espositivo chiaro, fluido e dinamico che ricorda uno dei piani sequenza di Antonioni.
Al piano terra cinque setti monolitici scandiscono i capitoli del racconto per culminare nelle sale immersive dedicate ai film di Antonioni. Al progredire dell’esperienza corrisponde il climax cromatico in scala di grigio delle pareti che plasmano uno spazio astratto, richiamando le atmosfere ricercate dal regista nei suoi film.
I setti espositivi sono progettati per assolvere a funzioni diversificate, mettendo in dialogo medium differenti: pareti piene per l’appendimento di dipinti e manifesti si alternano a monitor integrati e ad ampie vetrine per l’esposizione di oggetti, documenti e foto. Al primo piano, un’“esplosione spaziale” innescata da pannelli che traslano e ruotano consente di modulare la grande sala, aperta e versatile, in base alle diverse necessità funzionali della programmazione museale.
FERRARA E GLI ESORDI
La prima sezione evoca le origini del regista, che nasce a Ferrara nel 1912. Il suo violino, la racchetta da tennis, libri e riviste raccontano gli interessi giovanili coltivati in compagnia degli amici Giorgio Bassani e Lanfranco Caretti, mentre si fa strada la passione per la settima arte rivelata da disegni e cartoline che ritraggono dive e attori hollywoodiani e dagli articoli di critica cinematografica.
La prima produzione documentaria, avviata dopo il trasferimento a Roma nel 1940, riflette ancora la fascinazione per il paesaggio ferrarese e le sue nebbie (“Gente del Po“) e mette a nudo le contraddizioni sociali sullo sfondo delle ambientazioni urbane o rurali del neorealismo (“N.U. – Nettezza urbana, Superstizione“).
IL TRAMONTO DEL NEOREALISMO E LUCIA BOSÈ
Risalgono all’inizio degli anni Cinquanta i primi lungometraggi di Antonioni, “Cronaca di un amore” e “La signora senza camelie“, di cui è protagonista la giovane Lucia Bosè. La fotografia dai forti contrasti di luci e ombre contribuisce a mettere a nudo la psicologia dei personaggi e la mondanità nichilista e oziosa della borghesia del dopoguerra, sottolineando l’eleganza di costumi e ambientazioni.
Foto di scena, scritti, lettere, manifesti, opere visive di Antonioni e di maestri del Novecento raccontano la stagione di transizione dal neorealismo a un cinema che riflette sulla capacità di rispecchiare la realtà e la sua disgregazione, aprendo la strada alla Nouvelle vague francese. Un capolavoro come “Il grido” affida la muta angoscia del protagonista al paesaggio del Delta del Po, in sintonia con il lirismo pittorico di Filippo de Pisis.
LA TRILOGIA MODERNA
La trilogia costituita da “L’avventura” (1960), “La notte” (1961) e”L’eclisse “(1962) sancisce la maturità stilistica di Antonioni e rappresenta una pietra miliare nella storia del cinema moderno. La trama narrativa passa definitivamente in secondo piano lasciando la parola alle immagini, spesso ispirate alle arti visive, come sottolinea la presenza della Natura morta di Morandi in prestito dal Mart a evocare l’opera ripresa da Antonioni in una scena de “La notte“.
“L’avventura” è il capolavoro che inaugura questa svolta verso un’ “opera aperta”, come rimarca Umberto Eco, dove le sequenze si succedono con nessi apparentemente casuali invitando il pubblico a interrogarsi sull’atmosfera sospesa e quasi minacciosa che allude alla condizione di isolamento distintiva della tarda modernità. Le foto di scena si soffermano sugli iconici volti della nuova musa, Monica Vitti, e di star internazionali come Marcello Mastroianni, Jeanne Moreau e Alain Delon, ma anche sulle architetture moderne della società del boom economico, che diventano co-protagoniste del cinema maturo di Antonioni.
IL DESERTO ROSSO E LA CRISI DI UNA CIVILTÀ
Il percorso al piano terra si conclude con la sezione dedicata a uno dei film di Antonioni più radicali e attuali, “Il deserto rosso” (1964), Leone d’oro al Festival del cinema di Venezia. Il regista mette in campo per la prima volta il colore per raccontare una civiltà lacerata dai conflitti sociali, assediata da una meccanizzazione disumanizzante e condannata a un inquinamento irreversibile.
Il lungometraggio fotografa il disagio psicologico di una giovane donna, sullo sfondo brumoso e irrespirabile del porto e del polo industriale di Ravenna. L’uso sperimentale del colore segna una convergenza con la ricerca materica di Alberto Burri, testimoniata da due opere in prestito dalla Fondazione Burri e dalla Fondazione Prada.
LA CONQUISTA DEL WEST
Nella seconda metà degli anni Sessanta Antonioni lascia l’Italia, attratto dall’energia travolgente delle culture pop e giovanili, affermandosi sulla scena internazionale con pellicole che fanno scuola. Nel 1966 la Swinging London è l’effervescente teatro di “Blow Up“: un fotografo di moda è l’inconsapevole protagonista di una crime story che mette in discussione l’influenza dei media nella rappresentazione della realtà.
A sua volta “Zabriskie Point” “(1970) si sviluppa tra i due poli dell’America consumista agitata dalle rivolte studentesche e il panorama incontaminato del deserto californiano, all’insegna della visione liberatoria dell’erotismo, della controcultura hippy e del rock psichedelico dei Pink Floyd e dei Grateful Dead. Infine, in “Professione: reporter“, l’esperienza straniante del deserto africano è il preludio a una impossibile fuga da sé e, allo stesso tempo, la sublime metafora di una realtà che appare sempre più indecifrabile.
ALTROVE
L’esplorazione di continenti e culture lontane dal contesto europeo spinge Antonioni fino in Asia, dove torna a dedicarsi al cinema documentario. Girato nel 1972 nella Repubblica Popolare Cinese, “Chung Kuo, Cina” racconta la vita e le abitudini di una civiltà praticamente estranea allo sguardo occidentale. L’obiettivo di Antonioni si concentra sui volti, i gesti, gli ambienti con un atteggiamento antropologico di rispettosa distanza. “Kumbha Mela” (1989) è invece dedicato alla più importante festa religiosa indiana che ogni 12 anni attira in pellegrinaggio milioni di fedeli.
RITORNO IN ITALIA
Negli anni della tarda maturità Antonioni torna a lavorare in Italia, riannodando il legame con le proprie radici. Da “Identificazione di una donna” (1982) ad “Al di là delle nuvole“, girato insieme a Wim Wenders (1995), fino allo “Sguardo di Michelangelo” (2004), il maestro continua a interrogarsi sul misterioso potere delle immagini, nella maestosa cornice dei panorami romani e veneziani, delle vestigia della Ferrara estense o dei capolavori del Rinascimento. Acclamato da intellettuali, cineasti e artisti, vincitore di Palme, Leoni d’oro e Oscar, il regista continua a prestarci il suo sguardo contemplativo sul mondo.
LO SPAZIO POLIFUNZIONALE E LE MONTAGNE INCANTATE
Il percorso si conclude con un vasto ambiente polifunzionale dedicato ad approfondire aspetti nel cinema di Antonioni particolarmente significativi, attraverso rassegne cinematografiche, seminari, eventi e mostre dossier di artisti e correnti posti a confronto.
Accanto allo spazio polivalente è presentata la serie delle “Montagne incantate“, piccoli dipinti realizzati a partire dagli anni Settanta e in seguito sviluppati su grande formato con la tecnica dell’ingrandimento fotografico dando vita a spettacolari paesaggi onirici. La ricerca figurativa di Antonioni è strettamente connessa alla produzione cinematografica e come quella si alimenta della ricerca sulla materia, sulla forma, sul colore, esaltando il potere dell’immaginazione.
Spazio Antonioni
Corso Porta Mare 5
44121 Ferrara
Aperto dal martedì alla domenica 10.00 -13.00 / 15.00 – 18.30
Intero: 6 €
Ridotto: 4 €
Gruppi: 4 €
Per prenotazioni: qui
Ufficio Informazioni: qui
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Tel. 0532 244949