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Nuvole smascherate. Alla scoperta di BilBolbul



Avrei tanto voluto intitolare questo articolo “Cronache dal sottovolto. Cosplayers e identità fumettistiche a Bologna”. Titolone misterioso, da fascino del sommerso. Ma sarebbe stato falso. I giovani (e meno giovani) mascherati da eroi dei fumetti non hanno preso d’assedio la città in questa occasione. Sono altre le piazze più ambite, perché più adatte all’emulazione ludica. BilBolbul non è una “fiera” del fumetto, come la vicina “Mantova Comics” o le più note “Romics” e soprattutto “Lucca Comics & Games”. BilBolbul è qualcosa di diverso.

BilBolbul è un Festival internazionale di fumetto, che si tiene ogni anno a Bologna e di cui recentemente si è conclusa la VI edizione (1-4 marzo 2012). Questo evento ha dunque un’altra funzione, più ampia: intende mettere in primo piano non solo gli autori e le opere, ma anche il linguaggio fumettistico in generale e i messaggi di cui il fumetto si fa portavoce. Tale definizione e le suddette finalità hanno fatto sì che, se da una parte BilBolbul ha perso (inevitabilmente) qualcosa rispetto a una classica fiera fumettistica affollata da fans con travestimenti multicolore, di certo ha guadagnato in qualità e attenzione verso idee e realizzazioni. Il pubblico è stato infatti «catapultato» in una varietà di narrazioni per immagini, di storie sospese tra fumetto, illustrazione, grafica e animazione.

L’edizione del 2012 è stata dedicata al tema del confine, come luogo di scambio e contaminazione. Pertanto sono stati messi in primo piano i confini tra le arti, che nel fumetto contemporaneo sono sempre più indefiniti. In esso si ritrova una trasversalità di fondo tra discipline, formati e tecniche. Il fumetto dimostra la sua vitalità nella sua diversificazione e nel rapporto attivo con le altre arti.
Così il festival, che prende il nome dal vecchio (ma se è un bambino!) personaggio dell’omonima serie a fumetti del “Corriere dei piccoli” (ideata da Attilio Mussino) capace di trasformarsi nelle metafore che commentavano le sue vicende, quest’anno ha proposto una serie di iniziative davvero ad ampio spettro: mostre, proiezioni, workshops, incontri con gli autori e conferenze, dislocati in più zone del centro e anche fuori, in biblioteche, musei, cinema, centri sociali, librerie e botteghe. Insomma si è trattato di un evento culturale che ha coinvolto gran parte della città. E la partecipazione è stata sorprendente, nonostante i momenti di pioggia. Data l’affluenza, i cosplayers dovevano esserci; semplicemente stavolta non indossavano la maschera.

Ma più dell’organizzazione della “quattro-giorni” a noi interessano i suoi contenuti.

La tematica affrontata durante questa edizione ha riguardato appunto il confine, inteso in primo luogo come relazione con le altre arti. Incontri con artisti di fama internazionale hanno dimostrato come il fumetto abbia raggiunto la sua maturità, esprimendo a pieno le sue potenzialità. Significativa a tal proposito è stata la conferenza tenutasi nel bellissimo auditorium della Sala Borsa, che ha visto contrapporsi e sovrapporsi le figure di Atak e Blexbolex. L’interessante incontro pubblico (con esilaranti siparietti tra gli autori e le loro traduttrici: Atak è tedesco, Blexbolex francese) è l’esito naturale dell’incontro artistico tra i due. La loro collaborazione, apparentemente improbabile, si è rivelata fruttuosa. I due artisti sono molto diversi nello stile grafico, nella concezione dell’opera e nell’approccio al disegno. Atak realizza tavole stracolme di personaggi, vulcaniche, confessa una progettazione da artista-artigiano e rivela un “romantico” attaccamento all’unicità dell’opera d’arte (rispetto alla sua riproducibilità); Blexbolex utilizza unicamente programmi di grafica computerizzata (guardando solo al risultato stampato) e in tal modo costruisce figure essenziali, evocative nella loro semplicità bidimensionale perché associate a idee significative e a particolari caratteristiche fonetiche o visuali. I due artisti sembrano rappresentare due opposte visioni dell’arte e del fumetto. Eppure nel loro dialogo sperimentale gli autori hanno saputo oltrepassare la divisione tra generi e linguaggi, combinando in modo nuovo, originale e condiviso tecniche, stili e registri differenti. Un “assaggio” del loro avvicinamento è stato proiettato in sala a ciclo continuo: le immagini, che dapprima apparivano stilisticamente e tematicamente divergenti, hanno mostrato pian piano (grazie a una sorta di processo ipnotico!) affinità e connessioni.

BilBolBul ha svolto quindi il ruolo di importante vetrina del fumetto italiano e internazionale, ma soprattutto di confronto della nona arte con le altre arti e con se stessa.

Ma non c’era solo sperimentazione e mistura di generi al BilBolbul. Anche ricostruzioni biografiche, racconti spensierati, attività pratiche, genesi di un fumetto e storia del fumetto. Il festival ha proposto proiezioni animate russe degli anni Settanta e Ottanta e svelato finanche il “dietro le quinte” del fumetto, aprendo al pubblico l’«officina creativa» di Francesca Ghermandi, una delle più originali e poliedriche autrici italiane. Così, tra bozzetti, appunti e disegni preparatori, è stato possibile ripercorrere un intero processo artistico fino ad ammirare, insieme sorpresi e consapevoli, l’opera ultimata.

Con BilBolbul si entra dentro i meccanismi del fumetto. Sono state fornite spiegazioni dettagliate e dimostrazioni pratiche. Addirittura con “Fumettinbici” il festival ha dato l’opportunità di partecipare a un tour per le strade di Bologna in cui, oltre a pedalare, si potevano tracciare schizzi e prendere appunti per creare su due piedi (e due pedali) una tavola a fumetti originale. Freewheeling drawing!

Infine la sezione «romanzi grafici» ha sfornato due opere eccezionali: l’attesissimo “Sweet Salgari” di Paolo Bacilieri e la rivelazione (qui, non in Francia) “L’Uomo Bonsai” di Fred Bernard.

Bacilieri, alla presentazione del nuovo libro, ha spiegato struttura e aneddoti della sua ricostruzione -accurata e accorata- della vita dello scrittore Emilio Salgari. La conferenza, esaustiva e piacevole, ha mostrato come Sweet Salgari sia un lavoro di studio, rivisitazione e geniale rielaborazione dei documenti e delle storie legati alla vita di Salgari. L’esperienza dello scrittore veronese, maestro del romanzo di ambientazione esotica pur non essendo mai andato all’estero, ne risulta decostruita e ricostruita abilmente grazie a una dolce commistione di spunti biografici e idee letterarie, atmosfere borghesi e sete d’avventura.

L’Uomo Bonsai è invece una «favola» avventurosa e adulta, una leggenda dei sette mari, che trascina il lettore sulle onde di un racconto visionario e lo culla con la gentile freschezza delle immagini. La storia, narrata da un esperto capitano in una bettola portuale, ripercorre le vicende di Amédée il Vasaio, divenuto per caso o (meglio) per destino l’ Uomo-Bonsai, eroe al tempo stesso tragico e leggendario. L’opera di Bernard, intensa e struggente, mescola sorprendentemente fiaba (nei toni narrativi), racconto d’avventura occidentale (storia di marinai e pirati con qualche sottile rimando alle tematiche supereroistiche, qui ribaltate o rese mature), insegnamenti orientali («chi riesce a dominare se stesso possiede la forza», la Vita del Tutto sopravvive alla vita del singolo), tragedia greca (destino inevitabile del protagonista) e cinema contemporaneo (tecnica del finale aperto che si ritrova in molte opere attuali e che qui conclude la “sovratrama”).

Le tante sfaccettature emerse nel ripercorrere lo spettro artistico proposto a Bologna mostrano come il linguaggio fumettistico stia vivendo oggi un momento di nuovo riconoscimento e di slancio creativo.
Così il multiforme BilBolbul è riuscito di fatto a conciliare complessità e semplicità d’arrivo in un unico volto maturo.

Grazie a questa iniziativa il fumetto, anche in Italia, è diventato adulto.