Che la tipografia (nel senso anglosassone del disegno dei caratteri – non in quello nostrano del posto dove si stampa) fosse una roba erotica, è cosa nota. Forse anche solo per una questione di vocabolario: perché si parla d’anatomia: di corpo, di grazie, di curve… di forme femminili, insomma. Che in inglese, poi, è ancora peggio – che i discendenti si chiamano legs, tipo – e non stupisce che ci sia chi traduce font al femminile (il dizionario lo permette) e dice “ho usato questa font“.
A contribuire poi al fascino porno(tipo)grafico è l’offrirsi delle suddette font in un catalogo di delizie. Perché i caratteri vanno scelti, capite. Per ogni grafico la palette di selezione dei caratteri in Illustrator è un po’ come il catalogo delle dame del Don Giovanni di Mozart. Quello che recita, per capirsi: “Chi ad una è fedele, alle altre è crudele…”. E difatti la monogamia non è certo facile per chi commercia coi caratteri, che tutti sanno che basta sentenziare cose tipo “D’ora in avanti userò solo l’Helvetica” per ritrovarsi a cedere alle lusinghe tutte seicentesche e libertine e francesi d’un Garamond…
Simone Massoni, questa cosa l’ha capita bene: la storia delle forme femminili, e delle grazie, e anche dell’inglese, e soprattutto del catalogo di delizie. Ha fatto un calendario che si chiama “Chicks & Types”, che è una gara di sensualità tra le curve femminili e quelle tipografiche. Ha invitato Cosimo Lorenzo Pancini, da lungo tempo malato delle medesime passioni, a scrivere attorno a questi disegni delle storie.
Celestine
C’è che Herb è costante, in certe cose. Da Upper&Lower, ad esempio, vuole sedersi sempre allo stesso tavolo, quello accanto alla finestra circolare, ritagliata dai rampicanti. Ad Herb piace quel posto. Gli piace appoggiare la nuca allo schienale, chiudere gli occhi per un istante con entrambe le mani sul pomello avorio del bastone, e riaprirli sul meraviglioso broncio di Celestine.
-Herb. Sentimi la fronte. Sto bruciando di febbre.
-È solo che è venuto fuori un po’ di sole ed hai camminato…
-No. Devo togliermi qualcosa, subito. Sto morendo.
-Buona idea, ’stine. C’è solo metà ristorante che ti sta guardando, spogliarti sarebbe un ottimo modo per raddoppiare il tuo pubblico.
-Sei un uomo senza cuore, Herb. Io. Sto. Morendo.
-Vuoi una cosa da bere? E no, niente cosmopolitan a pranzo. Qualcosa di fresco. Un gelato. Vuoi un gelato?
-Che gusti hanno?
-Mmh. Fragole e limone.
–Limone? Io muoio, specie di insensibile. Sappilo.
Herb è stato un bambino smilzo, un ragazzo atletico, un uomo dalle spalle grandi. Chi l’ha visto dirigere ricorda ampi gesti, urla sovrumane, energia inesauribile. Del fisico d’un tempo mantiene adesso solo la postura dritta e, nel volto largo dal naso aquilino, gli occhi come braci accese. Alle bizze di Celestine contrappone una compita eleganza dei gesti: la ascolta con la devozione d’un fedele alla messa, ogni tanto annotandosi cose sul taccuino dalla copertina nera. Lei, che ha ancora addosso i vestiti di scena a scoprirle il corpo che diresti poco più che adolescente, s’agita smaniosa, indecisa se rimirarsi le mani o il riflesso nel vetro della cascata rossa di capelli. Tra di loro: un tavolo apparecchiato, e un abisso d’anni.
-Herb, sarà mica che ho un’attacco dei miei?
-Quali attacchi?
-Quelli, sai, quando improvvisamente non posso fare a meno di…
Lui la fissa.
-Celestine, che ti ho detto?
-Che in pubblico no? – fa lei spalancando gli occhi e portando le mani al petto e al ventre, estendendo le dita in una parodia di pudore spudoratamente impudica.
Lui non risponde. Scuote la testa e si segna qualcosa sul taccuino.
Lei allunga la testa, poi glielo sottrae con uno scatto.
Legge con un mezzo sorriso, glielo rende.
–Parodia di pudore. Non allitterare troppo, che poi t’arrapi… – gli fa maliziosissima.
Ogni tanto Ginzburg, il maître, si avvicina premuroso a chiedere se va tutto bene. La sua deferenza non è solo mestiere. Ha letto i libri di Herb, ne conosce la fama giovanile, i capolavori controversi, le vicende dolenti. Ha applaudito, quasi mezzo secolo prima, i suoi spettacoli d’avanguardia dove recitava la moglie bambina. Solerte, riempie il bicchiere davanti a lui e quello all’altro lato del tavolo. Quanto può durare un incendio? – si chiede, mentre torna verso le cucine.
-Un giorno ti stuferai di me, Herb – fa lei, seria, d’un tratto.
-No che non lo farò.
-Un giorno troverai qualcun’altra e mi dimenticherai.
-Ci ho già provato, a dimenticarti. Non mi riesce. Quindi non lo farò.
-Che cosa carina. Tipo che mi ami per sempre perché sei incapace di fare altrimenti?
-Tipo.
Lui si segna la frase sul taccuino, che suona bene.
-Sai che se tu fossi di trent’anni più giovane ti sposerei, Herb?
-Se fossi di trent’anni più giovane, ti sposerei io, ‘Stine.
-Di nuovo?
-Di nuovo.
Ginzburg guarda il vecchio Herb seduto al tavolo che sorride. Come ogni lunedì, da quasi due decenni, è da solo. Dall’ultimo giorno in cui ha pranzato davanti a quella finestra con Celestine. Tom, il cameriere nuovo, si avvicina a Ginzburg dalla sala, picchiettandosi la tempia con l’indice. Ginzburg lo fulmina con uno sguardo. Decide che gli affiderà l’ultimo turno di pulizia, stanotte.
-Herb?
-Sì?
-Non è vero che sei un uomo senza cuore, sai.