Spaghetti Does Surf! O come ho cavalcato le onde del Nicaragua
di Stefano Mietto18 Aprile 2012
Foto di Roberto “Lucha Libre” Garcia, www.nicaraguasurfreport.com
“Il surf è esattamente come fare l’amore. È sempre bello,
indipendentemente da quante volte l’hai fatto” — Paul Strauch
Niente rock o techno. Niente calcio o pizza. Niente messe o tribune politiche…
Solo ed esclusivamente due cose: una tavola e il mare!
Scoprire così tardi uno sport in perfetta sintonia con la mia personalità e i miei sentimenti può assumere il carattere di vera e propria rivelazione mistica. Da anni, ormai annoiato dalla monotonia dei più popolari sport di squadra, e sostanzialmente schifato da come il denaro e l’avidità li abbiano snaturati rendendoli delle arene per avvoltoi, mi sentivo poco vicino a tutto quel mondo fatto di tifoserie sfegatate e di cieca attrazione verso la palla. Allo stesso tempo, avevo sempre nutrito grande rispetto e ammirazione per quelle attività fisiche, meno popolari, ma forse anche per questo più affascinanti, caratterizzate da un rapporto diretto con la natura.
Uno degli sport che avevo sempre guardato con eccitazione e piacere era il surf, attività nata tra i popoli aborigeni della Polinesia nel ‘700, che poi prese piede nella West Coast degli Stati Uniti, e successivamente in tutto il mondo, Italia compresa. Ma forse perchè vivevo in città, e non avevo mai avuto un contatto diretto con quel mondo, lo avevo anche escluso dalla lista delle esperienze sportive papabili.
Ora, a 25 anni, trovandomi in Centro America, una delle zone più apprezzate dai surfisti per gli ottimi point, beach e reef break, per i prezzi modici e una stagione valida per surfare quasi tutto l’anno, non potevo esimermi dal provare questa mia fantasia, ormai quasi adolescenziale. Ma come prevedevo, da singola esperienza sono velocemente passato al vizio…
Non esiste infatti sensazione simile a quella di nuotare sulla tavola, guardando la spiaggia, ben sapendo che in pochi secondi l’onda arriverà da dietro, e la cavalcata comincerà. E seppure le prime volte sia complicato e difficile, la sensazione di riuscire a prendere la tua prima onda, dopo un perfetto pop up, stando in equilibrio fino alla fine… beh, è un’emozione che nessun goal o canestro sarebbe in grado di darmi.
Foto di Roberto “Lucha Libre” Garcia, www.nicaraguasurfreport.com
Parlando del Centro America con i surfisti, spesso americani e australiani, non è cosa insolita scoprire che ci sono dei veri e propri tour, basati sulla ricerca di spiagge e onde diverse, che coniugano turismo e attività fisica. In Nicaragua abbiamo le spiagge nei pressi di San Juan Del Sur, non lontano dal Costa Rica. In El Salvador quelle de La Libertad, considerate da molti una delle località migliori del mondo per il surf. E anche in Guatemala, Messico, Costa Rica o Panama non è difficile trovare eccitanti spot. A seconda della meta del viaggio è poi possibile tornare alle famose spiagge californiane o, per chi è diretto in direzione opposta, verso le onde peruviane e cilene.
Ma ciò che caratterizza questo sport, al di là delle location, è il suo rapporto così intimo, rispettoso, e al tempo stesso deciso e sfidante, con l’elemento acqua. Il mare non perdona. Bisogna sapersi guadagnare il rispetto dell’oceano o le conseguenze possono rivelarsi letteralmente disastrose. Umiltà e rispetto sono le parole d’ordine, anche se allo stesso tempo sicurezza e disponibilità a rischiare non possono mancare. La difficoltà è trovare il giusto bilanciamento, la differenza tra lo stare in piedi e il cadere, un equilibrio che per i veri professionisti corre addirittura fra la vita e la morte.
Essere abituati alle attività fisiche popolari in un paese come l’Italia rende questo sport un’esperienza totalmente diversa. Per una partita di calcio è sufficiente scendere in strada con una palla e due amici. E lo stesso vale per molti altri sport. Ma per il surf no. C’è da considerare il clima, la giornata, la destinazione. Si riscopre il valore del tempo, dell’attesa, della pazienza. L’appagamento nel trovare buone condizioni e nel saperle sfruttare è esponenzialmente superiore.
Foto di Roberto “Lucha Libre” Garcia, www.nicaraguasurfreport.com
Spesso colleghiamo il surf alle Hawaii o altri arcipelaghi del Pacifico. Ma anche se non c’è alcun dubbio che tale sport si è diffuso in primo luogo in quei paradisi naturali, non bisogna dimenticarsi che l’uomo, ovunque si sia trovato di fronte a spaventose ed affascinanti masse d’acqua in movimento, ha sempre avuto l’attrazione di sfidarle, lasciandosi accompagnare e trasportare da esse.
Detto questo, in Centro America il surf ha avuto una diffusione relativamente recente. Sono solo 20 anni che i locali si sono buttati in questo sport, condividendo con gli stranieri, spesso gringo, un modo nuovo d’intendere l’oceano. E se è vero che alcune località della costa centroamericana del Pacifico sono letteralmente invase da turisti, è altrettanto vero che la natura non appare contaminata da questo squilibrio demografico.
L’immagine delle comunità dei surfisti è viziata da tanti classici stereotipi, che li descrivono come un gruppo di para-alternativi, farciti di birra e di erba, che passano la loro vita tentando di evitare seri impegni personali o lavorativi, con il solo scopo di stare in spiaggia, vagabondando in cerca di onde sempre più perfette. Se in tutto questo c’è molto di vero, non bisogna però dimenticare un altro concetto chiave: il rapporto con il mare.
Foto di Roberto “Lucha Libre” Garcia, www.nicaraguasurfreport.com
Una delle caratteristiche più belle di questo tipo di turismo è infatti la sua elevata sensibilità ambientale. Tutti i surfisti sono ben consapevoli dell’importanza della natura e di quanto il loro comportamento possa influenzare il futuro della loro passione. Sulle spiegge che loro frequentano difficilmente si vedono rifiuti a fine giornata, schiamazzi o comportamenti poco rispettosi verso i locali, che solitamente sono invece ben felici di ospitare questi stravaganti stranieri, e si dimostrano molto spesso volenterosi nel condividere le proprie esperienze di surf con loro.
Volendo fare un paragone, uno sport vissuto con un etica simile al surf è il free climbing o l’arrampicata estrema in montagna. In quel caso l’elemento di riferimento non è più l’acqua sotto forma di onde ma la roccia delle pareti. Eppure, anche in quello sport, tutti i professionisti più navigati sottolineano quanto sia importante il rapporto e il rispetto per la montagna, visto che il successo è dato dalla capacità di diventare tutt’uno con la parete, fino ad esserne parte viva.
In entrambi i casi, attrezzatura e preparazione hanno tra loro un rapporto inversamente proporzionale. In teoria, basta poco per approcciare il mare: una tavola, una life guard e una maglietta anti rush. In pratica, serve preparazione fisica e continuo allenamento, fuori e dentro l’acqua. E un forte amore per l’oceano. Dobbiamo forse tenere presente che l’uomo è stato molto abile nel plasmare le superfici terrestri per adattarle ai suoi bisogni, ma resta un “pesce fuor d’acqua” nell’ambienti marittimo.
Hemingway, riferendosi alla pesca ne “II vecchio e il mare”, descrisse il ruolo fondamentale dell’attesa, della pazienza, del saper accettare senza frustrazione anche ciò che il mare ci può portare di crudele, duro, viscerale. Il surf non è poi così diverso. La sua natura itinerante lo rende un’opportunità di apertura mentale, di scoperta di luoghi e di genti diverse. Un’ultima, importante sfaccettatura di questo sport è la sua capacità di farti sentire parte di una comunità, di un gruppo la cui vita non muore con la fine della giornata in spiaggia, ma continua la sera stessa, nei giorni in cui non sei al mare, su internet, ovunque…
Kelly Slater, campione mondiale e vera leggenda del surf, ha sintetizzato bene questo sentimento: “È fatta, una volta che sei un surfista, è fatta. È come la mafia. Una volta che sei dentro, sei dentro. Non c’è via d’uscita. Tu NON ne uscirai più “.
EXTRA BONUS! “Centro Nicaragua” è un affascinante documentario sulla scena dei surfisti di quella nazione, realizzato dopo due anni di lavoro da Tyler Bliss, un filmmaker canadese. Qui sopra ne trovi un bel brano di oltre 5 minuti, dedicato a Oliver Solis, uno dei cinque surfisti di cui Bliss ha raccontato la storia. Sotto puoi vedere invece un paio di trailer. L’intero lavoro è disponibile in formato DVD sul sito della casa di produzione di Bliss: http://www.thirdbornentertainment.com.