Crescita zero? Liberalizzateci dal male che ci pensiamo noi!
di Benedetta Cosmi19 Aprile 2012
Vignetta di Gianfalco: www.gianfalco.it
Cambia il mercato del lavoro e i giovani sono pronti a coprire le nuove fasce orarie.
Nei giorni scorsi ha fatto molto scalpore la notizia di una nuova campagna di “recruiting” promossa dalla catena di supermercati Pam e rivolta proprio ai giovani studenti. “Sei studente? Lavora con noi la domenica”. L’idea è stata lanciata subito dopo l’ultimo round di liberalizzazioni varate dal governo, che permettono fra l’altro di tenere i negozi aperti anche nei giorni festivi. I vertici dell’azienda hanno dato il via libera ai responsabili delle vari filiali, al fine di assumere giovani con regolare contratto part-time. Molti studenti potranno così lavorare la domenica, senza togliere tempo allo studio e alle lezioni infrasettimanali. I turni saranno di otto ore. E permetteranno di racimolare un discreto stipendio mensile.
In America il fenomeno degli studenti lavoratori part-time è molto frequente. Ma anche in Italia, complice la crisi, il numero dei giovani che cercano un lavoretto durante il percorso universitario sta crescendo. Perchè non puntare di più su questa carta? Perchè continuare a raccontare l’economia solo come melodramma? O come conflitto generazionale? Se si scegliesse di valorizzare certe abitudini tipiche dei giovani, come ad esempio “il tirar tardi”, non avremmo forse tanto “movimento” in più, e quindi anche tanti nuovi posti di lavoro? Invece si pensa solo agli straordinari, come se esistesse solo una fetta di uomini e donne su cui far gravare tutta l’attività economica.
Ma non stupiamoci neppure troppo. Qualche anno fa, un collega che studiava informatica mi ha detto che lavorava in un supermercato di notte. Che bello, ho pensato, se quando rientro a casa alle dieci di sera potessi provvedere alla spesa. Invece quello studente aveva mansioni da magazziniere. Ma se il supermercato di notte tiene le luci accese per far lavorare i magazzinieri, perchè non potrebbe tenere aperte anche le porte, con il doppio vantaggio di aumentare il fatturato e i posti di lavoro per i cassieri? Ecco: si dovrebbe pensare ad assunzioni, paradossalmente anche a posto fisso, con orari atipici! Alcuni potrebbero lavorare solo la notte, altri solo nei weekend, altri ancora nelle fasce orarie in cui in genere si sospendono le attività per la pausa pranzo.
Allargando la prospettiva, penso a quante occasioni di lavoro, ancora più qualificanti, potrebbero nascere in tanti altri settori, a cominciare dall’industria culturale. Ma qui troviamo, letteralmente, le porte chiuse. I dieci musei più visitati d’Italia, quelli che convogliano il 75% delle affluenze (con al primo posto i Musei Vaticani, i cui proventi non vanno neanche allo stato italiano), chiudono sempre con lunghe file davanti alle loro porte. Ogni giorno, ad esempio, la Galleria Borghese manda indietro circa quindicimila persone, che non possono entrare neppure facendo la fila, perché non hanno prenotato il giorno prima. Tutti quegli esclusi alle 18 non possono nemmeno prenotare per l’indomani, perché gli uffici ormai sono chiusi! Questo mi sembra particolarmente perverso, se si considera che secondo le statistiche di permanenza un turista resta in media a Roma due giorni e mezzo. La Galleria Borghese accoglie al momento circa 500.000 visitatori all’anno (un numero bassino che l’attesta al sesto posto tra i musei più visitati di Italia). Ma se invece di chiudere alle 18 restasse aperta fino a tarda sera forse quel numero potrebbe raddoppiare, o no?
Al secondo posto nella classifica dei musei più popolari d’Italia ci sono gli Uffizzi, che si trovano nel centro di Firenze, una città che per qualsiasi amante dell’arte è nel suo insieme un grande museo a cielo aperto. Se proviamo a metterci nei panni di un turista non mi pare che ci voglia molto a capire che durante il giorno, nelle ore del sole, lui starebbe meglio in giro per le strade della città, mentre la sera starebbe benissimo in giro tra affreschi e quadri. Un orario d’apertura prolungato porterebbe non solo maggiori introiti ma anche un maggiore impiego di personale, oltre ad offrire un servizio migliore. Se ne avvantaggerebbero anche le strutture meno note, perchè smaltendo le code si darebbe la possibilità ai turisti di visitare anche i musei più piccoli. Adesso, invece, visto che gli orari delle istituzioni culturali sono più o meno sempre gli stessi, e si sovrappongono anche a quelli dei negozi, nell’arco delle prime otto ore della giornata un turista ha l’imbarazzo della scelta fra troppe cose da fare, e poi nelle altre otto ore, quelle che in genere dedichiamo proprio al tempo libero, trova tutto chiuso.
Al di la’ del turismo, oggi l’accesso al sapere trova ostacoli, perchè i luoghi non si aprono alla collettività. A differenza dei “non luoghi virtuali”, che risultano molto più accessibili, nei “luoghi fisici” troviamo continuamente “barriere architettoniche” negli orari di fruizione. Perchè non ripensare ad esempio le possibilità di utilizzo delle biblioteche comunali, lasciandole aperte almeno fino a mezzanotte, come sale di lettura e non solo? Immaginate una bella possibilità che lancio qui per la prima volta: perché non farle diventare centri di produzione e distribuzione di libri personalizzati? Utilizzando opere di cui sono scaduti i diritti, o risultano fuori commercio, o con un mix di poesie e brani e testi presi da altri libri, nella misura in cui ne è consentita la riproduzione, come quando ci si reca a fare fotocopie per una ricerca scolastica?
Ci si potrebbe ispirare addirittura a quello che avviene per i fiori con Interflora, creando occasioni di regalo di libri a distanza, per gli studenti fuorisede, alla mamma o alla nonna al sud, a una amica a Parigi o a un collega a New York, per i loro compleanni, per una ricorrenza speciale, magari anche fiori e libri in coppia, come la festa di San Giorgio a Barcellona, una rosa e un libro…
La cultura merita insomma una “politica dell’offerta” più costante, che forse potrebbe imparare qualcosa dal successo nelle “Notti Bianche”. Una politica di orari diversa potrebbe stimolare il passaggio da un consumo culturale passivo ad una pratica della creatività, offrendo spazi alla ricerca, per i famosi lavori di gruppo, grazie a “luoghi del silenzio” ma anche “del contagio”. E pensate quanto sarebbe diverso se su tutto il territorio nazionale ci fosse garantito un palinsesto sociale – fatto di cineforum, letture collettive, dibattiti pubblici e altre attività culturali – con un’offerta così massiccia da far concorrenza alla programmazione tv (un’eccellente realtà in questa direzione è Il Circolo dei lettori di Torino).
Ma chi si dovrebbe occupare di queste cose? Ecco l’assenza di rete, di correlazioni, di una lobby del bene comune. Tutti sembrano più preoccupati di non perdere posizioni che di fare dei passi avanti. E poi si dice: “L’Italia è in recessione, l’Italia non cresce”… Ci credo! No, grazie.
Per saperne di più…
Benedetta Cosmi
Liberalizzaci dal male. Orari, mercato del lavoro, trasporti-reti: come, quando, chi, dove e perché.
2012, Rubettino, € 8