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Politica e marijuana: L’Olanda sballata, la Spagna visionaria



Hai voglia di fumarti un bel cannone d’erba in santa pace? Chissà, forse fra breve, invece di saltare su un volo low cost per visitare uno dei celeberrimi coffeshop di Amsterdam, ti troverai molto più benvenuto in una delle calde cittadine dei Paesi Baschi spagnoli…

In Olanda, baluardo storico dell’antiproibizionismo europeo in materia di cannabinoidi, il parlamento ha infatti da poco approvato la cosiddetta legge “Weed Pass”, un provvedimento che rappresenta un drammatico passo indietro rispetto alla tradizione libertaria di quel paese. Voluta dal governo di centrodestra attualmente al potere, quella legge era stata promessa all’elettorato nel 2010 dai leader della coalizione conservatrice, Mark Rutte (del Partito Popolare per la Libertà e la Democrazia) e Geert Wilders (del Partito per la Libertà), per combattere il problema del “narcotraffico transfrontaliero”, quello del consumo di stupefacenti fra i minorenni, oltre alla piaga sociale del “turismo della droga”.

La normativa prevede la trasformazione dei mitici coffeshops olandesi – che attualmente sono più di 700 sparsi in tutto il paese – in Cannabis Social Club (CSC), cioè associazioni private, senza scopo di lucro, a cui potranno iscriversi solo i cittadini olandesi, con il permesso di organizzare la coltivazione professionale di marijuana unicamente per soddisfare i bisogni personali dei soci stessi. Assieme al divieto di vendere droghe leggere ai turisti stranieri, la legge impone inoltre ai CSC l’obbligo di non aver sede a meno di 350 metri dalle scuole, un cavillo che pare fatto apposta per rendergli la vita difficile nelle aree urbane.

Nonostante il governo Rutte & Wilders sia recentemente crollato per tutt’altre ragioni (è stato battuto in parlamento sul voto per la prosecuzione della missione in Afghanistan), l’iter d’attuazione della legge “Weed Pass” prosegue. Entro la prossima estate è probabile che sarà applicata in tutti i territori di confine, dove esiste effettivamente un vistoso problema di “traffico illecito”. Ad Amsterdam è invece possibile che finisca per slittare fino al 2013, perchè per entrare in vigore la normativa deve essere approvata anche dalle amministrazioni delle singole province, e la giunta municipale della città ha già espresso più volte parere contrario.

I rappresentanti degli abitanti di Amsterdam stimano infatti che la legge porterebbe alla chiusura di 187 coffeshop su 223 (a causa del divieto di vicinanza alle scuole), cosa che provocherebbe a sua volta un aumento automatico dello spaccio di droga per strada, con conseguente aumento della crimininalità e maggiori rischi per la salute dei consumatori. Anche sul problema della diffusione degli stupefacenti fra i giovanissimi, l’amministrazione locale ritiene che esistano misure ben più efficaci di quelle proposte dal governo centrale. Premesso che l’ingresso dei minorenni nei coffeshop è già oggi praticamente impossibile (i controlli dei documenti d’identità sono rigorosi), molte ricerche svolte in città hanno dimostrato che coinvolgendo ragazzi, genitori e scuole in iniziative di sensibilizzazione sui danni dell’abuso di droga si ottengono risultati migliori che con la mera repressione.

L’ultimo, importantissimo fattore che ad Amsterdam alimenta l’opposizione alla legge “Weed Pass” sono i milioni di euro che ogni anno il cosiddetto “turismo della droga” porta all’economia cittadina. In ballo ci sono migliaia di posti di lavoro. E non solo quelli dei dipendenti dei coffeshop, ma anche di tutti coloro che lavorano in hotel, ristoranti, locali e musei, campando (e neanche così male…) grazie al turismo straniero. Già si vocifera che la città accetterà di recepire quella legge solo se sarà prevista l’introduzione di un “Weed Pass” a pagamento per i visitatori stranieri, un’ipotesi che ci spinge a pensare come, in un periodo di crisi, laddove non arrivano le ragioni del buonsenso arrivano quelle del denaro!

Curiosamente, è proprio il desiderio di trovare soluzioni alternative alla crisi economica che pare alimentare un’altra notizia, in arrivo dalla Spagna, in totale controtendenza rispetto alle politiche in discussione in Olanda. Il quotidiano El Pais ci informa infatti che nel parlamento della regione autonoma dei Paesi Baschi, Euskadi in lingua locale, l’intero arco politico sta lavorando all’elaborazione di una proposta di legge sulle tossicodipendenze, che include il riconoscimento e la regolamentazione dei club privati di consumo della cannabis, con la prospettiva di aprire le porte in futuro ad una tassazione della produzione di marijuana.

Secondo El Pais, quella dei Paesi Baschi è già una delle comunità europee in cui il consumo della cannabis è più popolare. La regione è anche all’avanguardia sul fronte dei club privati di consumo – un fenomeno diffuso in tutta la Spagna, dove ne esistono più di un centinaio – e i politici locali si sono dati quindi l’obiettivo di offrire entro l’estate a queste associazioni una situazione di maggiore stabilità e sicurezza giuridica.

Ora, in Spagna, consumo, detenzione limitata e autoproduzione di marijuana per uso personale sono già tollerati a livello nazionale dal codice penale e dalla legge sulla sicurezza, pur rimanendo formalmente illegali. E il governo della comunità autonoma basca non è veramente in grado di legalizzare il consumo di cannabinoidi, perchè non ha potere legislativo in materia. Che cosa esattamente sta allora cercando di fare il parlamento euskadi? Partendo dal basso, ovvero dalla creazione di un quadro normativo per la coltivazione, la vendita e il consumo della marijuana all’interno dei Cannabis Social Club, i rappresentanti della regione autonoma indicano al resto della nazione una strada concreta per arrivare alla tassazione di questo commercio.

Questa scelta politica potrebbe apparire impopolare, in una nazione che dopo tutto ha appena eletto un governo nazionale di stampo conservatore, ma diventa molto più comprensibile nel contesto di una gravissima crisi economica, che non sta risparmiando neanche la ricca e benestante regione basca. Come ha spiegato fra gli altri Jesus Maria Fernandez, il numero due dell’assessorato locale alla sanità, visto che il consumo di cannabis è una pratica già consolidata, regolamentarlo è certamente piu saggio che vietarlo, anche perchè è il primo passo per portare alla luce del sole un mercato che pur facendo girare ogni anno immense quantità di denaro viene attualmente gestito dalle narcomafie, senza beneficiare quindi le casse statali in alcun modo.

La legalizzazione avrebbe inoltre l’ulteriore vantaggio di abbattere i costi economici della cosidetta “guerra alla droga”, con un immediato risparmio di fondi pubblici. E ancora: una circolazione regolamentata degli stupefacenti, tassata in modo simile a quella delle sigarette, dell’alcool o del gioco d’azzardo, permetterebbe di far pagare ai consumatori di quelle stesse sostanze il costo dei servizi sanitari per la lotta alla tossicodipendenza, invece di accollarli all’intera cittadinanza, come di fatto accade oggi (il disegno di legge basco prevede misure per la prevenzione e per il trattamento di vari tipi dipendenze, incluse quelle provocate dal gioco d’azzardo e dall’abuso delle nuove tecnologie digitali).

C’è ovviamente chi ha criticato l’iniziativa del parlamento euskadi, perchè appare motivata più dal tornaconto economico che da ideali etico-morali. E chi invece non è riuscito a digerire il fatto che il disegno di legge non prevede la piena legalizzazione della marijuana. Ma le associazioni locali che da sempre si battono per la riforma delle norme repressive in materia di droghe leggere hanno espresso invece un giudizio positivo. Vedere le autorità politiche che riconoscono nel consumo di cannabinoidi l’esistenza di un fenomeno sociale, e che esprimono la volontà portarlo alla luce del sole, è certamente un bel passo avanti.